Botta e risposta tra il presidente della VII Commissione del Senato e quello dell’Anief sulle nuove regole per il concorso a cattedra a rischio di incostituzionalità. Una sola certezza, saranno ancora una volta i tribunale a decidere per colpa di una politica irresponsabile, mentre sale la protesta contro la Regionalizzazione della scuola
Per il senatore leghista, presidente della VII Commissione Istruzione, coloro che vorranno partecipare al reclutamento non dovranno cambiare la residenza, circostanza su cui si potrebbe invocare l’incostituzionalità ma solo “sostituire la residenza con il domicilio professionale, di ispirazione europea, che è indipendente dalla residenza. Si può infatti eleggere nella regione preferita in libertà, e rappresenta una scelta di vita e un primo fattore di equilibrio”. Replica del leader dell’Anief: Costringere un insegnante a rimanere fermo per cinque anni, pur in presenza di posti liberi, cozza con la Costituzione, nelle parti che tutelano il diritto alla famiglia e al lavoro, punti centrali per ‘il pieno sviluppo della persona umana’. Non è casuale che il Quirinale e il Senato abbiano già detto no alle modifiche che si volevano introdurre al decreto semplificazioni.
Mentre la Lega spinge il Governo per approvare la regionalizzazione, nella scuola si sta cercando di realizzare più di una fuga in avanti attraverso iniziative legislative. Come la volontà di associare il “domicilio professionale” alla regione dove un aspirante docente ha intenzione di concorrere per essere selezionato e immesso in ruolo. Il bizzarro progetto leghista – con cui si vorrebbe dire basta ai trasferimenti forzosi – prevede che il candidato scelga la regione in cui svolgere il concorso e si impegni anche a rimanervi per un periodo predefinito di tempo. È una decisione preliminare che l’insegnante potrebbe fare rispetto ad una serie di variabili: il proprio grado di preparazione, la media degli iscritti, i posti probabilmente disponibili.
Il TAR del Lazio ha dato piena ragione all’Anief sul diritto del personale ATA nella domanda di aggiornamento/inserimento delle graduatorie “24 mesi” a vedersi riconosciuto, per il servizio svolto nelle scuole paritarie, il medesimo punteggio attribuito al servizio svolto nelle scuole statali. Marcello Pacifico (Anief) dichiara: “Abbiamo nuovamente dimostrato in tribunale di saper correttamente interpretare la normativa e il Miur non ha più scuse. La pubblicazione dei nuovi bandi “24 mesi” con il permanere dell’illegittima discriminazione nei confronti di chi ha svolto servizio nelle paritarie sarà nuovamente impugnata da noi in tribunale con l’apposito ricorso che abbiamo promosso anche quest’anno”. Anief ricorda ai propri iscritti che l’adesione al ricorso scade il prossimo 15 aprile
Il TAR Lazio, infatti, dopo aver già concesso l’Ordinanza cautelare lo scorso anno che aveva permesso ai ricorrenti Anief di ottenere già l’intero punteggio per il servizio svolto nelle scuole paritarie, ha emanato nei giorni scorsi la relativa sentenza confermando in toto quanto sostenuto dall’Avv. Elena Boccanfuso e ribadendo come “In armonia col delineato sistema equiparativo il D.L. n. 255 del 3.7.2001, convertito con L. n. 333/2001, ha stabilito l’equiparazione nella valutazione del servizio prestato nelle scuole paritarie e nelle scuole statali nei termini e limiti temporali che seguono: “I servizi di insegnamento prestati dal 10 settembre 2000nelle scuole paritarie di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali”. I provvedimenti del Miur, dunque, nella parte in cui attribuiscono al servizio prestato presso scuole paritarie un punteggio pari alla metà di quello attribuito allo stesso servizio prestato, invece in scuole statali, sono stati dichiarati dal Tribunale Amministrativo del Lazio “illegittimi per violazione della l. n. 62 del 2000, della l. n. 107 del 2015, del d. m. n. 94 del 2016 e inosservanza dei principi di parità di trattamento e divieto di ingiusta discriminazione”.
Anief accoglie positivamente il senso di realismo espresso dal vicepremier Luigi Di Maio, che ha ipotizzato un inserimento in Def di risorse per i docenti precari: “Sono parole che ci riempiono di speranza – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – perché significa che all’interno del Governo ci sono anche dei ministri che ragionano con senso pratico: quella delle supplenze di lunga durata è diventata una prassi per la scuola pubblica italiana. Nessun Paese europeo si ritrova ad ogni inizio di anno scolastici con oltre 120 mila supplenti annuali, con l’aggravante di avere pure selezionato e formato altrettanti maestri e insegnanti per poi, però, obbligarli a fare i precari di lunga data, anche a vita, perché nel frattempo il loro canale di stabilizzazione, le GaE, è stato chiuso senza una motivazione valida”.
“Sul percorso da intraprendere – sottolinea il sindacalista autonomo – non vi sono dubbi: da una parte ci sono da assumere i vincitori dei vari concorsi, dall’altra, tutti gli abilitati all’insegnamento che attraverso le GaE troverebbero quell’accesso al ruolo oggi invece negato da norme ingiuste e discriminanti o ancora attraverso l’estensione del doppio canale di reclutamento alle graduatorie d’istituto. È chiaro che, come Anief, continueremo la nostra battaglia per fare assumere a tempo indeterminato, con automatismo, tutti i supplenti che operano su posto vacante da almeno 36 mesi e prevedere pure adeguati risarcimenti per l’attesa indebita”.
“Parallelamente – conclude Pacifico – il sindacato continuerà a difendere strenuamente i maestri con diploma magistrale, conseguito fino al 2002, che sono stati ingiustamente licenziati, sia supplenti sia di ruolo, con la più grande battaglia giudiziaria conosciuta dallo Stato italiano che citeremo al tribunale di Roma, pure in giudizio per violazione della stessa normativa comunitaria.
“Al di là degli annunci e delle promesse di volere introdurre stipendi europei – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – il nostro timore è quello di aver ripreso a vivere un’altra stagione di fermo contrattuale, con la sola applicazione dell’indennità di vacanza contrattuale a contrastare il peso dell’inflazione: chi ci governa fa finta di non sapere che stiamo parlando di un comparto, quella della scuola, i cui lavoratori percepiscono le buste paga più basse della PA. Sul lungo periodo, la perdita è diventata abissale: basterebbe ricordare che negli anni trenta un maestro guadagnava il triplo di un operaio e la metà di un senatore, mentre oggi lo stipendio base di chi insegna è più basso di un dipendente del settore privato e dieci volte inferiore a quello di un politico che siede in Parlamento”.
“La mancata consistenza degli stipendi dei docenti – continua Pacifico – è tipica dell’Italia. Basterebbe ricordare che rispetto alla Francia il divario salariale medio per chi sta dietro la cattedra, a sostanziale parità di impegni didattici settimanali e di funzioni da condurre, è salito in media a 8 mila euro annui. Un divario che a lungo andare assume connotati ancora più vistosi: alla primaria i neo-assunti transalpini percepiscono infatti una cifra non molto diversa dai colleghi italiani, pari a 22-23 mila euro lorde, mentre a fine carriera un maestro francese si ritrova con quasi 11 mila euro in più l’anno: 44.500 euro contro 33.700 euro. Eppure la professione è la stessa”, conclude il sindacalista autonomo.
Si è svolta
l’audizione presso la VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione in merito
all’esame della proposta di legge “Istituzione dell’insegnamento
dell’educazione civica nella scuola primaria e secondaria e del premio annuale
per l’educazione civica” AC n. 682 e abbinati. Il presidente nazionale del
sindacato, Marcello Pacifico, a capo della delegazione composta anche dalle
prof.sse Daniela Rosano e Chiara Cozzetto ha proposto l’introduzione
dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione italiana e dell’Unione
Europea, con un minimo annuale ulteriore di 33 ore rispetto ai vigenti quadri
orari, con insegnamento affidato a docenti A046 e priorità al potenziamento, e
l’estensione dell’oggetto degli studi alle istituzioni europee. In tal modo
potrebbero essere anche utilizzati proficuamente i 5 mila insegnanti della A046
attualmente impegnati nelle scuole.
Il sindacato ha più
volte sottolineato come lo studio dell’educazione civica, unitamente al diritto
comunitario, possa giovare alla nostra scuola, poiché rappresentano l’emblema
dei principi necessari alla crescita e alla formazione delle nuove generazioni.
Nello Statuto delle studentesse e degli studenti adottato con DPR 249/1998, la
scuola è stata definita come “comunità di dialogo, di ricerca, di
esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della
persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella
diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza”. Lo
studio di Cittadinanza e Costituzione è stato introdotto dalla legge 169/2008.
non come disciplina autonoma, ma come oggetto di iniziative di
sensibilizzazione e di sperimentazione nazionale e attualmente non è presente
come materia autonoma all’interno dei quadri orari, ma sviluppato all’interno
dell’area disciplinare storico-geografica e storico sociale nel monte ore
complessivo.
L’art. 1, co. 7,
lett. d), della L. 107/2015 ha inserito fra gli obiettivi del potenziamento
dell’offerta formativa lo sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza
attiva e democratica attraverso la valorizzazione dell’educazione
interculturale e alla pace, il rispetto delle differenze e il dialogo tra le
culture, il sostegno dell’assunzione di responsabilità nonché della solidarietà
e della cura dei beni comuni e della consapevolezza dei diritti e dei doveri.
L’art. 2, co. 4, del d.lgs. 62/2017 ha disposto che nell’ambito del primo ciclo
sono oggetto di valutazione le attività svolte nell’ambito di Cittadinanza e
Costituzione; ciò si è applicato già dall’a.s. 2017-2018. A sua volta, l’art.
17, co. 10, ha disposto che il colloquio previsto nell’esame di Stato
conclusivo del secondo ciclo accerti anche le conoscenze e competenze maturate
dal candidato nell’ambito delle attività relative a Cittadinanza e
Costituzione.
La proposta avanzata
da Anief vuole l’istituzione della disciplina come materia autonoma, con un
minimo annuale aggiuntivo di non meno di 33 ore per la scuola primaria e 66 ore
per la secondaria. Per la scuola primaria e secondaria di primo grado la
disciplina andrà impartita dai docenti dell’area storico-geografica, per la
scuola secondaria di secondo grado è necessaria una preparazione specifica dei
docenti; per tale motivo, vengono indicati gli appartenenti alla classe di
concorso A046 con utilizzo prioritario dei docenti che si trovano su
potenziamento per valorizzarne le specifiche professionalità. Inoltre Anief
vuole estendere l’oggetto degli studi alle istituzioni europee: a livello
europeo, si ricorda, anzitutto, che la Raccomandazione del Parlamento europeo e
del Consiglio del 18 dicembre 2006 (2006/962/CE), relativa alle competenze
chiave per l’apprendimento permanente, delinea 8 competenze chiave, tra cui le Competenze
sociali e civiche. In particolare, “la competenza civica dota le persone
degli strumenti per partecipare appieno alla vita civile grazie alla conoscenza
dei concetti e delle strutture sociopolitici e all’impegno a una partecipazione
attiva e democratica”. Più nello specifico, “la competenza civica si
basa sulla conoscenza dei concetti di democrazia, giustizia, uguaglianza,
cittadinanza e diritti civili, anche nella forma in cui essi sono formulati
nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nelle dichiarazioni
internazionali e nella forma in cui sono applicati da diverse istituzioni a
livello locale, regionale, nazionale, europeo e internazionale.
Marcello Pacifico,
presidente nazionale Anief, ricorda che “non si possono formare cittadini
consapevoli e responsabili se non in una prospettiva più ampia che vada oltre i
confini nazionali e conduca verso una coscienza eurounitaria; infatti è di
primaria importanza la condivisione di temi come l’educazione civica, il
diritto comunitario, partendo dalle Carte fondamentali e dai Trattati Europei.
La promozione di equità, coesione sociale e cittadinanza attiva grazie
all’educazione scolastica è anche uno dei principali obiettivi individuati
dalle Conclusioni del Consiglio su un quadro strategico per la cooperazione
europea nel settore dell’istruzione e della formazione del 12 maggio 2009.
L’importanza strategica dell’educazione civica nelle scuole è stata ulteriormente
sottolineata nella dichiarazione sulla promozione della cittadinanza e dei
valori comuni di libertà, tolleranza e non discriminazione attraverso
l’istruzione adottata durante la riunione ministeriale informale tenutasi a
Parigi il 17 marzo 2015, con la quale i Ministri dell’Istruzione hanno lanciato
un appello ad agire a tutti i livelli di governo per consolidare il ruolo
dell’istruzione nel promuovere i valori condivisi di una cittadinanza europea
attiva. Siamo dunque certi che l’introduzione e la sua promozione sia
necessaria e porterà certamente i frutti sperati”.
Prende
forma il
testo del ddl contenente la legge delega con la quale il Parlamento
assegna al Governo il compito di riformare alcune materie relative a scuola ed
università. All’interno del documento ci sono molte novità per la scuola: dagli
organi collegiali regolati dal DPR 416/74 ai rapporti con i dirigenti, dalla
modulistica semplificata alla razionalizzazione degli enti scolastici di
valutazione e molto altro.
LA PROPOSTA IN ATTO
Per
quanto riguarda gli organi collegiali, sintetizza la rivista Orizzonte
Scuola, il testo della legge delega invita il governo a ridurre il numero
dei componenti degli organi degli enti sottoposti alla vigilanza del Miur. A
proposito degli organi collegiali territoriali della scuola, si punterà ad
eliminare sovrapposizioni di funzioni e ridefinire la relazione e le competenze
con i dirigenti scolastici, dopo l’approvazione della scuola autonoma.
Il
testo prevede anche che le funzioni e i compiti amministrativi in tema di
cessazioni dal servizio, progressioni e ricostruzioni di carriera, trattamento
di fine rapporto del personale della scuola, nonché di ulteriori compiti e
funzioni non strettamente connessi alla gestione della singola istituzione
scolastica siano riallocati.
Il
disegno di legge prevede, inoltre, che vengano soppressi o fusi enti ed
agenzie, preposte alla valutazione di scuola e università, per essere
trasformati in uffici dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche. Infine,
per quanto riguarda lo sport a scuola, il testo prevede un riordino e la promozione
dell’attività sportiva inclusa la creazione di una federazione nazionale.
LO STUDIO ANIEF
Anief
ha provato ad anticipare le conseguenze dell’eventuale approvazione del testo
così come si compone oggi e sul quale il Governo appare molto determinato
perché si approvi al più presto. Premesso che si tratta di un testo molto
generico, ancora privo di proposte dettagliate, il sindacato ritiene che per
quanto riguarda gli organi collegiali, il ddl invita il Governo a ridurre il
numero dei componenti degli organi degli enti sottoposti alla vigilanza del
Miur. La novità si collocherebbe all’interno di una complessa revisione delle
norme vigenti, a partire dal Testo Unico, il decreto
legislativo 297 del 1994.
Per
quanto riguarda gli organi collegiali territoriali della scuola e l’intenzione
di eliminare sovrapposizioni di funzioni e ridefinire la relazione e le
competenze con i dirigenti scolastici, Anief ribadisce la necessità di tenere
ferma la gestione collegiale delle decisioni.
Ignorate nell’autorizzazione dei 14 mila posti autorizzati agli Atenei a pagamento dei candidati (3 mila euro) le effettive esigenze degli organici. Anief attiva il ricorso gratuito al Tar Lazio per impugnare il bando (DM 92/19) e allargare il numero dei posti programmato nelle regioni. Adesioni entro venerdì 8 marzo. Per Pacifico è scandalosa la distribuzione che ignora i diritti di alunni, famiglie, insegnanti precari
Solo 200 posti per i
corsi di specializzazione in Piemonte, 260 in Liguria, 320 in Emilia Romagna,
110 in Trentino, addirittura zero al I e al II grado a Palermo rispetto al
migliaio tra Marche e Molise. Nella sola provincia di Torino sono state circa
tremila le supplenze quest’anno su sostegno, quasi tutte assegnate a docenti
non specializzati per assenza di personale con titolo specifico. In Sicilia,
Anief aveva ottenuto l’annullamento della circolare degli organici dell’USR per
palese violazione delle effettive esigenze dei 24 mila alunni con handicap
certificato. Per tutta risposta, dal Miur è arrivata la doccia gelata
dell’attivazione di un numero di posti del tutto insufficienti, in diverse
regioni, a coprire il fabbisogno di docenti specializzati, probabilmente perché
si è tenuto conto soltanto dell’offerta formativa degli Atenei e non delle
effettive esigenze che, comunque, rimangono falsate nella definizione
dell’organico di diritto e in deroga. Basta guardare le Gm e le Gae esaurite in
molte regioni del Nord, nonché il numero delle supplenze, per comprendere
l’irragionevole distribuzione dei posti. Per tutte queste ragioni, ANIEF attiva
il ricorso per aumentare i posti per violazione delle disposizioni normative
relative all’accesso al numero programmato, di cui al comma 1 e 2 dell’art. 5
del DM 249/10 come richiamato dal DM 948/2016.
“Il Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca definisce annualmente con
proprio decreto la programmazione degli accessi ai percorsi di cui agli
articoli 3 e 13. Il numero complessivo dei posti annualmente disponibili per
l’accesso ai percorsi è determinato sulla base della programmazione regionale
degli organici e del conseguente fabbisogno di personale docente nelle scuole
statali (seguivano alcune parole non
ammesse al “Visto” della Corte dei conti)
deliberato ai sensi dell’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n.
449, previo parere del ministero dell’economia e delle finanze e del ministro
per la pubblica amministrazione e l’innovazione, maggiorato nel limite del 30%
in relazione al fabbisogno dell’intero sistema nazionale di istruzione, e
tenendo conto dell’offerta formativa degli atenei e degli istituti di alta
formazione artistica, musicale e coreutica”.
“Una simile assurda
suddivisione dei posti – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief – è uno
schiaffo agli studenti, alle famiglie, alle scuole, ai docenti e anche
all’amministrazione scolastica delle regioni svantaggiate. Ancora una volta
siamo costretti a rivolgerci ai tribunali per garantire il diritto
all’inclusione degli studenti disabili in diverse regioni del nostro paese”.
Una situazione
inaccettabile per ANIEF, che avvia una specifica azione legale anche in sede
giudiziaria, per garantire alle regioni svantaggiate un numero di posti
adeguato alle loro reali esigenze.
È possibile aderire al
ricorso gratuitamente dal portale ANIEF fino all’8 marzo. Durante l’adesione è
necessario scaricare e inviare la diffida e l’istanza di accesso agli atti per
conoscere il reale fabbisogno di posti nelle singole regioni.
Una
maggiore flessibilità in presenza di alunni con disabilità, per le pluriclassi
e nelle scuole montane, in piccole isole o a rischio, organici legati alle
esigenze del territorio, recupero dei tagli al dimensionamento, all’insegnamento
modulare nella primaria, al personale Ata con l’attivazione dei profili C ed
As, riapertura delle GaE e stanziamento dei 10 miliardi risparmiati nella
scuola alla contrattazione.
Questi
sono i temi degli emendamenti illustrati da Marcello Pacifico, presidente
nazionale Anief, durante l’audizione presso la VII Commissione Cultura, Scienza
e Istruzione di Montecitorio sulla proposta di legge AC 877 Azzolina
“Disposizioni concernenti la formazione delle classi nelle scuole”, dopo un
preliminare giudizio positivo sul testo.
Il
sindacalista che dalla XIV legislatura interviene spesso in Parlamento ha
rimarcato l’importanza di questi momenti di dialogo a cui non si può sottrarre
un sindacato come Anief, oggi ancora di più, dopo aver ottenuto la
rappresentatività nell’ultima campagna RSU.
Le
proposte sono state suddivise in due gruppi: il primo relativo a esigenze di
maggiore flessibilità nella proposta di formazione delle classi come da
modifiche dell’articolo 1 al comma 1 dell’articolo 64 della legge 133/2008, il
secondo relativo a diverse modifiche al DPR 81/09 sul dimensionamento
scolastico come già emendato dall’articolo 2.
Anief
ha precisato come sia importante questa proposta innanzitutto perché,
finalmente, dopo dieci anni di tagli e risparmi realizzati all’indomani
dell’approvazione della prima legge italiana orientata al pareggio di bilancio
(legge 133/2008) imposto dagli accordi europei, sotto la scusa di una maggiore
efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione che ha fatto chiudere 10
mila plessi, una sede di presidenza e direzione amministrativa su quattro,
ridurre il tempo scuola di quattro ore settimanali, il personale ATA del 17% e
gli organici nella primaria del 30%, innalzare di un punto il rapporto
alunni-docenti, si intravede un profondo cambiamento di orizzonte. Ma questo da
solo non basta. Bisogna essere più coraggiosi e trovare le risorse che già ci
sono.
Da qui
la ragione delle proposte emendative illustrate.
Nei
primi tre emendamenti, si è chiesto di derogare ai limiti minimi nella
formazione delle classi rispetto alla proposta di 20 alunni in presenza di
alunni con disabilità grave e certificata, e di ritornare ai criteri del DM
331/98 sulla formazione delle pluriclassi consentendo in generale ulteriori
deroghe per le scuole montane, delle piccole isole o in zone a rischio o alto
flusso migratorio o in zone economicamente depresse.
Una
proposta specifica tende, anzi, a cambiare le regole sul dimensionamento per
recuperare le scuole chiuse o accorpate e per finalmente attribuire gli
organici non più in maniera lineare ma in base alle esigenze del territorio.
Territorio e non Regioni, perché le scuole sono autonome all’interno di un servizio
d’istruzione garantito dallo Stato in ogni parte della Nazione (vedi le ragioni
dello sciopero del 27 febbraio). In questo modo potrebbero essere recuperate
anche le 4 mila presidenze e direzioni amministrative tagliate nell’ultimo
decennio ponendo fine allo scandalo di dirigenti scolastici costretti a reggere
anche 20 plessi distanti tra loro.
Nella
formazione delle classi nella scuola primaria bisogna ritornare
all’insegnamento modulare abbandonando definitivamente il concetto di maestro
unico, specie nella nuova ottica che vorrebbe introdurre l’insegnamento di
educazione motoria che dovrebbe essere affiancato all’insegnamento
specialistico in lingua inglese. Abbiamo la prova con i rapporti PIRLS che è
necessaria una svolta per migliorare gli apprendimenti dei nostri
studenti.
Ma non
vi è un problema di sovraffollamento delle classi. Bisogna anche recuperare il
taglio al personale ATA recuperando quel 17% dei posti fuori le classi e quei
20 mila posti mai attivati nei profili di coordinatore degli assistenti
tecnici, amministrativi e dei collaboratori scolastici, autorizzati da
vent’anni.
Innalzare
di un punto, poi, il rapporto alunni / docenti necessita l’adozione di nuove
assunzioni che combinate con i pensionamenti anticipati, il ricambio del turn
over, le attuali cattedre vuote, impone un piano straordinario di assunzioni di
130 mila precari. Per fare ciò bisogna riaprire le Gae al personale abilitato e
abilitare chi da 36 mesi presta servizio per lo Stato.
Certamente
ci vogliono risorse ma queste potrebbero essere facilmente reperibili dai
risparmi di spesa della mancata piena attuazione della quota 100 se è verso che
meno della metà dei potenziali lavoratori non presenterà la domanda di pensione
anticipata, liberando così subito 3,5 miliardi.
Se poi
non si ha il coraggio di tornare indietro e recuperare tutte le risorse
sottratte all’istruzione, conclude Marcello Pacifico, allora si dovrebbe almeno
richiedere al Governo di attribuire alla contrattazione quel 30% previsto dalla
legge (art. 64, comma 9, legge 133/2008) dei risparmi di spesa avvenuti nella
scuola (30 miliardi tra il 2009 e il 2021) per la carriera del personale
docente e mai stornati per via del blocco del contratto tra il 2009 e il 2015.
In questo modo, almeno, al tavolo per il rinnovo del nuovo contratto per il
triennio 2019-2021 si potrebbe ottenere l’allineamento degli stipendi del
personale della scuola alla media europea.
La
Commissione Cultura, Scienza e Istruzione di Montecitorio riceverà in audizione
informale i rappresentanti dei sindacati del comparto Scuola, tra cui l’ANIEF,
proprio nell’ambito dell’esame in sede referente della proposta di legge C. 877
Azzolina: Disposizioni concernenti la formazione delle classi nelle scuole.
Marcello Pacifico (Anief): Occorre debellare una situazione vergognosa, tutta
italiana, che intacca la formazione degli alunni, a partire dai disabili, e mette
a dura prova la professionalità dei docenti
Quello
delle classi con un alto numero di alunni, le cosiddette classi “pollaio”, è
uno dei punti su cui il governo giallo-verde, in particolare il M5S, si è
impegnato pubblicamente. Nei giorni scorsi, in un video su Facebook, l’on.
Luigi Gallo (M5S), presidente della VII Commissione della Camera, ha dichiarato
che sono moltissimi gli istituti non a regola.
I NUMERI PARLANO DA SOLI
In
base ad alcune anticipazioni, risulta che il fenomeno è più vasto di quanto si
pensi, con circa 20 mila classi oversize: per la scuola dell’infanzia, ad oggi,
vi sono 4.899 classi con 26-30 alunni; 88 classi con 31-34 alunni; 212 classi
con più di 34 alunni. Per la scuola primaria: 4.945 classi con 26-30 alunni; 29
classi con 31- 34 alunni; 19 classi con più di 34 alunni. Per la scuola
secondaria di I grado: 7.251 classi con 26-30 alunni; 65 classi con 31-34
alunni; 15 classi con più di 34 alunni. Per la scuola secondaria di II grado:
1.310 classi con 31-34 alunni; 267 classi con più 34 alunni.
Sul
piano pratico, queste situazioni si realizzano con dei casi limite che non
hanno bisogno di commenti: la classe-record formata da 37 alunni a Milano,
quella con 30 allievi nel Vicentino in presenza di un alunno con disabilità
grave, e altre situazioni critiche sulla costa adriatica, oltre a Genzano, in
Lucania, con un’aula che ospita 26 alunni in presenza di precarie condizioni di
sicurezza.
L’AUDIZIONE ALLA CAMERA
Proprio
su questo tema, su come stroncare una volta per tutte il fenomeno delle classi
pollaio, la VII Commissione Cultura della Camera sta esaminando una proposta di
legge attraverso la quale si vorrebbe introdurre un limite tassativo, pari a 22
alunni per classe, peraltro da ridurre in presenza di uno o più alunni
disabili, specie se con disabilità certificata grave: si tratta del ddl n. 877,
a prima firma dell’on. Lucia Azzolina (M5S), presentato nel luglio scorso.
LE PREMESSE DI MARCELLO
PACIFICO (ANIEF)
Marcello
Pacifico, presidente nazionale Anief, ricorda che “occorre fare di tutto per
debellare una situazione vergognosa, tutta italiana, che intacca la formazione
degli alunni e mette a dura prova la professionalità dei docenti; il fenomeno
registra, purtroppo, circa 500 classi che accolgono oltre 34 studenti,
generando rischi per la sicurezza ed esponendo anche i dirigenti scolastici a
un accentuarsi delle loro responsabilità. Senza dimenticare che le cosiddette
classi pollaio vanno a calpestare i diritti degli alunni diversamente abili,
che necessiterebbero di spazi adeguati, diverse programmazioni, azioni
educative e valutazioni personalizzate”.
La
scuola è sempre più al centro degli interessi del Paese: imperversano i numeri
e anche questi ci dicono che gli stipendi sono troppo bassi. In queste ultime
ore, è stato infatti riproposto l’ultimo rapporto Ocse, l’organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi, che ogni anno nel suo
rapporto Education at a glance mette a confronto i sistemi educativi dei 35
Paesi membri. A farlo è stato il quotidiano Il Messaggero che ha ricordato il
numero di ore passate dai docenti dietro la cattedra, in classe con gli alunni,
da cui emerge “un impegno leggermente inferiore a quello medio dell’area Ocse”.
Ad esempio, “nella primaria il confronto è di 752 ore contro 794”.
Il
disavanzo di ore si scopre che è veramente minimo: dividendo l’impegno per le 33
settimane minime di didattica annuale, emerge infatti che i nostri maestri
insegnano tra una e due ore a settimana in meno. Se il gap si colloca attorno
al 5%, allora è normale guadagnare meno? Niente affatto, perché la differenza
economica rilevata è eccessiva: a dirlo è la stessa Ocse che mettendo a
confronto gli stipendi a fine carriera evidenzia il differenziele economico dei
nostri docenti rispetti a quelli dei singoli Paesi e della media Ue. A fronte
di un impegno in classe quasi identico, a fine carriera il compenso dei nostri
docenti è in media circa del 20% in meno. Con alcuni Paesi, come la Germania,
dove sono quasi doppi rispetto ai nostri.
“Senza
contare tutte le altre ore obbligatorie funzionali all’insegnamento – incalza
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal –
che ora l’Aran vuole innalzare, inserendovi nuove mansioni in cambio di aumenti
farsa. Non va meglio per chi comincia a insegnare, il cui compenso annuo medio
è inferiore del 6,5% rispetto a quanto si percepisce per lo stesso lavoro
nell’area Ocse. Invece di cercare di ridurre la forbice, con il nuovo contratto
si mantiene l’attuale assetto generale. Anzi, cercando pure di introdurre delle
norme che vogliono assimilare chi insegna nella scuola ad un semplice
impiegato”.
Anche
secondo la rivista Orizzonte Scuola, “la premessa necessaria è che nel
contratto di lavoro degli insegnanti italiani, a parte le 40+40 ore destinate
alla partecipazione a collegi docenti e consigli di classe, non viene messo
nero su bianco quante sono le ore destinate all’attività lavorativa al di fuori
dell’orario di cattedra. E questo complica tantissimo le cose. Né si prevedono
miglioramenti in tal senso nel nuovo Contratto, in queste settimane oggetto di
trattative tra ARAN e sindacati”. Il nuovo contratto, infatti, non contiene
nulla di buono.
“Come
se non bastasse tutto questo – continua il sindacalista autonomo Anief-Cisal –
dalla bozza di nuovo contratto collettivo nazionale proposta dall’Aran si
evince che non si recepiscono le sentenze della Corte suprema sulla parità di
trattamento tra personale precario e di ruolo, né si elimina il raffreddamento
della carriera nelle ricostruzioni attuate per il personale di ruolo.
Addirittura, si attribuiscono aumenti di soli 40 euro netti per il 2018 e 220
euro netti di arretrati per il 2016 e il 2017: una cifra ridicola, addirittura
tre volte inferiore all’aumento del costo della vita registrato dopo il blocco
decennale degli stipendi”.
“Di
fronte a queste condizioni – conclude Pacifico – il nostro sindacato si oppone
senza se e senza ma: qualsiasi proposta di aumento dell’orario lavorativo e di
mansioni senza risorse aggiuntive va rispedita al mittente perché è
irricevibile. Che cosa c’è da contrattare? Per tale motivo insistiamo con i
ricorsi in tribunale, confermando la mobilitazione del personale che, anche per
altre motivazioni, porterà il nostro sindacato a scioperare due volte nelle
prossime settimane e a scendere in piazza il 23 marzo per una grande manifestazione
nazionale”.
Anief
ricorda che è ancora possibile recuperare 2.654 euro di arretrati, incrementati
dei primi due mesi del 2018 indebitamente sottratti, e a partire da settembre
2015, come ha confermato due anni fa la Corte Costituzionale: basta consegnare
il modello di diffida predisposto dall’Anief, attraverso cui recuperare almeno
270 euro di aumento, da suddividere in due parti uguali: la prima sulla mancata
assegnazione dell’indennità di vacanza contrattuale, la seconda di effettivo
incremento. Ancora per pochi giorni, infine, è possibile candidarsi come Rsu
dell’Anief, compilando on line la scheda sul portale Anief.
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