Pubblicato il Lascia un commento

Caos insegnanti di sostegno disabili, sentenza tombale della Cassazione: “Non è possibile ridurre le ore una volta individualizzato il piano per l’alunno”

alunni con disabilità insegnanti di sostegno generica

Cancellare tutte o parte delle ore settimanali di sostegno agli alunni con disabilità, previste dalla loro programmazione educativa, è un atto illegittimo che crea un danno al giovane in formazione. A ribadirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25101: i giudici ermellini hanno spiegato che non è possibile fare modifiche una volta che il piano individualizzato dell’alunno disabile è stato stabilito. Pertanto, l’amministrazione scolastica non ha alcun titolo a modificare la quantità di ore assegnate: ogni volta che ciò accade, purtroppo spesso, va in contrasto con il diritto dell’alunno a una pari opportunità scolastica. Il nuovo ministro dell’Istruzione ne prende atto e verifica i perché di questa situazione incresciosa che si somma alla mancata assegnazione di tante supplenze annuali sugli oltre 50 mila posti in deroga. 

Cresce il numero delle famiglie che non si arrendono alle ore di sostegno negate ai figli disabili. Un genitore, scrive Orizzonte Scuola, ha presentato ricorso al Tribunale di Caltanissetta, chiedendo che venisse disposta la cessazione della condotta discriminatoria posta in essere dal Comune nei confronti del figlio minore. Il bambino frequenta la scuola dell’infanzia ed è affetto da disturbo di spettro autistico, motivo per cui ha diritto ad assistente della comunicazione per 22 ore settimanali. Il Comune ha però disposto 10 ore settimanali di assistenza, a fronte delle 22 individuate dal piano dinamico funzionale relativo all’alunno. Il Tribunale ha accolto il ricorso sulle “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni” presentato da un genitore del bambino, maresciallo dei carabinieri, dichiarando che la discriminazione nei confronti del giovane alunno c’era stata in maniera indiretta. 

La decisione dei giudici

Il piano educativo individualizzato, definito ai sensi dell’art. 12 della legge 104/1992, obbliga l’amministrazione scolastica a garantire il supporto per il numero di ore programmato, senza lasciare a essa il potere discrezionale di ridurne l’entità in ragione delle risorse disponibili, anche nella scuola dell’infanzia. Il dirigente scolastico deve perciò, secondo la sentenza, attribuire a ciascun alunno disabile un numero di ore di sostegno che corrisponda a quello oggetto del G.L.H.O, dal quale non si può discostare. 

L’annuncio di Fioramonti

Anche il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha detto, illustrando le linee programmatiche del suo mandato in Senato, che in Italia “abbiamo troppe cattedre di sostegno senza insegnanti, troppi insegnanti di sostegno non formati come tali, ma formati su altro. Stiamo cercando, con una indagine interna, di capire come mai non si è arrivati in tempo, all’apertura dell’anno scolastico, nel rispondere alle tante necessità sul sostegno. Ho riattivato l’Osservatorio sull’inclusione, fermo da qualche tempo. Siamo ragionando di aprire i numeri chiusi all’università per formare più persone sul sostegno. Le scuole devono essere inclusive”. Per questo, ha concluso il ministro sul tema, “ho subito ho inserito 5 milioni nella formazione degli insegnanti di sostegno e la formazione del personale in generale. Dobbiamo tendere a scuole inclusive, in tutte le sue formulazioni”.

Le pessime abitudini

La brutta abitudine degli Uffici scolastici di assegnare meno ore di quelle indicate nei “Pei” degli alunni disabili, sulla base della diagnosi funzionale, è una conseguenza della impostazione errata dell’amministrazione centrale sulla determinazione degli organici del personale di sostegno: l’incongruenza è stata evidenziata solo qualche giorno fa dallo stesso Miur, attraverso un Focus sui dati della Scuola pubblicato anche sul portale internet ministeriale, dal quale risulta che nel corrente anno scolastico dei 150.609 docenti di sostegno, a fronte di 835.489 insegnanti complessivi che operano in 8.223 scuole autonome, oltre 50 mila vanno ogni anno “in deroga”, come confermato dalla stampa specializzata, per via della Legge 128 del 2013 che impone un posto su tre da destinare ai precari.

I numeri della vergogna

Alla Lombardia e alla Sicilia, rispettivamente con 6.875 e 6.602 deroghe, spetta il primato dei posti liberi assegnati al 30 giugno 2020, seguono la Toscana, il Piemonte, il Lazio, l’Emilia Romagna, la Sardegna e il Veneto. Agli insegnanti specializzati nella didattica “speciale” (anche se poi 8 supplenti su 10 sono sprovvisti della specializzazione) spetta il sostegno ai 260 mila alunni con disabilità ufficialmente iscritti. Sono tutti posti che vengono ogni anno per forza assegnati ai precari, peraltro in alto numero coperti ad anno scolastico abbondantemente avviato. Tanto è vero che al termine della prima decade di ottobre, gli alunni disabili sono ancora senza sostegno o se ne vedono accreditare solo una parte di quello che gli spetta. Con le famiglie così indignate che arrivano a ritirare i figli da scuola e ad organizzare proteste eclatanti anche in piazza

Il commento del presidente Anief

“Sempre più genitori – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – decidono di rivolgersi al giudice. Con esiti in altissima percentuale positivi. Perché è estremamente raro che un giudice possa dire no all’assegnazione delle ore di sostegno stabilite da un pool di professionisti: se costoro hanno indicato, per tornare alla sentenza della Cassazione, che l’alunno necessita di 22 ore di sostegno a settimana, non è giustificabile in alcun modo assegnarne poi di fatto solo 10. Invece di speculare sulle ore, negando un diritto sacrosanto pur di fare cassa sui mesi estivi, sugli scatti di anzianità e sulla ricostruzione di carriera, perché al Miur non trovano il modo di coprire le cattedre con personale di ruolo, specializzandolo in alto numero e non più come è stato fatto sino ad oggi in quantità risibile?”. 

“Perché – continua Pacifico – gli enti locali non agiscono con celerità per assicurare dal primo giorno di scuola l’Assistente Educativo Culturale che, lavorando in adempimento dell’art. 13, comma 3, della legge n. 104/92, garantisce l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità? Sono domande che poniamo a chi di dovere da anni. Ben sapendo che per garantire la continuità didattica non si devono negare i trasferimenti, ma semplicemente immettere in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili”. 

La crescita esponenziale

Nell’anno scolastico 1997/98, la presenza di alunni con sostegno era dell’1,40%; dieci anni dopo era già arrivata all’1,95%; nell’anno scolastico 2012/13 al 2,50%; di recente, nel 2017/18, si è raggiunto il 3,10%. I termini numerici sono ancora più evidente: nell’anno scolastico 1997/98, gli iscritti disabili certificati erano poco più di 123 mila; nel 2018 siamo arrivati ad oltre 280 mila; quest’anno si sfioreranno i 300 mila iscritti disabili. 

Parallelamente, il numero dei docenti di sostegno in organico di diritto è però aumentato leggermente: nel 2007 erano 56.164; nel 2013 67.795; due anni dopo, nel 2015 si è passati a 90.032; poi, però dal 2017 ad oggi l’organico di diritto si è collocato a 100.080 cattedre. Così, abbiamo assistito al boom dei posti in deroga: tra il 2014 e il 2018, si è passati da 28.863 a 65.890. E quest’anno, secondo le proiezioni Anief, si arriverà a 80 mila contratti a tempo determinato con scadenza 30 giugno. 

Il sindacato rammenta, tra l’altro, che i posti di sostegno da coprire, senza titolare, in realtà sono ancora di più. Perché non si tiene conto di diverse migliaia di cattedre che, proprio a seguito dei ricorsi delle famiglie, come quella di Caltanissetta, ottengono l’assegnazione di ore settimanali così come aveva disposto l’équipe psico-pedagogica a seguito dell’esame approfondito dell’alunno. 

Anief ricorda, infine, che attraverso l’iniziativa gratuita Anief “Sostegno, non un’ora di meno!”, cresce di anno in anno il numero di alunni disabili che ottengono giustizia assieme alle loro famiglie: chi ha intenzione di ricorrere – anche lo stesso personale scolastico e i dirigenti – per ottenere i docenti o le ore dovute ma non assegnate può scrivere all’indirizzo e-mail sostegno@anief.net. Riceveranno le istruzioni per presentare alla scuola le richieste necessarie.

Pubblicato il Lascia un commento

Maestri con diploma magistrale, la Cassazione non annulla la plenaria del Consiglio di Stato. Anief non demorde

tribunale giustizia martelletto

La Corte di Cassazione ha ritenuto non esistente l’abuso di potere giurisdizionale da parte dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato: di fatto, la Cassazione non ha detto che le conclusioni del CdS siano corrette e condivisibili, ma ha ritenuto che la sentenza del più alto Consesso della Giustizia amministrativa, essendo frutto di una mera interpretazione delle norme giuridiche, non determini un abuso del potere giurisdizionale. La compensazione delle spese di lite e il riconoscimento della complessità delle questioni giuridiche trattate, peraltro, lasciano supporre che la decisione della Cassazione sia stata in bilico fino all’ultimo momento. 

L’Anief, unico sindacato che da sempre si è schierato al fianco di questa particolare categoria di docenti abilitati e da sempre chiede a gran voce la riapertura delle GaE, le graduatorie ad esaurimento, per sanare questa e altre illegittimità compiute a discapito dei tanti docenti abilitati esclusi dall’accesso al “doppio canale” di reclutamento, non si dà per vinta e conferma l’intenzione di procedere presso i competenti Tribunali del Lavoro per impugnare ogni singolo licenziamento che dovesse intervenire nei confronti dei docenti immessi in ruolo “con riserva” che hanno superato l’anno di prova.

L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE

Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso del gruppo di maestri diplomati fino al 2002, confermando la sentenza del Consiglio di Stato, che a fine 2017 ha escluso dalle graduatorie a esaurimento per le scuole materne ed elementari gli insegnanti in possesso del solo diploma magistrale che non avessero partecipato alle sessioni di abilitazione o ai concorsi. Secondo la suprema Corte, la decisione “rimane entro l’ambito di interpretazione e ricostruzione di una complessa normativa”. 

COSA FARÀ ORA ANIEF

Il sindacato Anief, che prima e più di tutti, si è opposto all’estromissione dei maestri con diploma magistrale dalle GaE e degli oltre 7 mila docenti di fatto licenziati dopo essere stati immessi in ruolo, non si fermerà certo qui. Impugnerà, uno per uno, tutti i provvedimenti di licenziamento che il Miur dovesse attuare nei confronti proprio dei docenti immessi in ruolo “con riserva” e che hanno svolto l’anno di straordinariato con esito positivo. 

Anief, inoltre, mentre attende entro il 2020 l’esito del reclamo collettivo già presentato al Consiglio d’Europa e dichiarato ammissibile da un anno, chiederà ai giudici amministrativi di sollevare il caso dei diplomati magistrale di fronte alla Corte di Giustizia Europea, così come è già avvenuto con la sentenza “Mascolo” che nel 2014 ha condannato l’Italia per abusiva reiterazione dei contratti a termine.

Entro il mese di settembre, infine, il sindacato, appena inserito nell’alveo dei rappresentativi e titolati a sedere ai tavoli della contrattazione nazionale, valuterà la possibilità di presentare una class action per risarcire i docenti dai danni prodotti nei loro confronti e far dichiarare la responsabilità risarcitoria dello Stato italiano, colpevole di aver ingannato per anni i docenti con diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002 negando la validità abilitante del loro titolo. 

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE NAZIONALE

Non ci fermeremo – ha detto Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – siamo abituati a lottare fino alla fine. La nostra azione di tutela non si esaurisce qui e agiremo su più fronti. Riteniamo vergognoso l’accanimento nei confronti di tanti docenti colpevoli solo di essere stati ingannati per anni dallo Stato italiano che ora continua a sfruttare la loro professionalità nelle scuole per assicurare il corretto svolgimento delle attività didattiche”. 

“Invitiamo sin da ora tutti i docenti con diploma magistrale e tutti gli abilitati ingiustamente esclusi dall’accesso alle graduatorie ad esaurimento ad intraprendere azioni risarcitorie contro lo Stato italiano per l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato”, conclude il sindacalista autonomo. 

Pubblicato il Lascia un commento

Precari scuola “sfruttati”: i giudici risarciscono anche gli eredi

tribunale giustizia martelletto

“Ci sono delle sentenze che hanno un sapore particolare: il sapore amaro del continuo e puntuale sfruttamento del lavoro precario da parte del Ministero dell’Istruzione a danno di una lavoratrice della scuola che da circa 10 anni prestava il proprio servizio a termine, licenziata a giugno e riassunta dopo qualche mese, ma pagata mensilmente e per tutti gli anni di servizio come se fosse al suo primo incarico, senza esperienza alcuna, perché è questo che prevede il contratto nazionale per i lavoratori precari della scuola; questo sapore amaro di ordinario sfruttamento del lavoro precario nella scuola pubblica italiana è stato reso ancora più amaro dal decesso della giovane docente, venuta a mancare ancora precaria. Ma la madre decide di non rassegnarsi alla palese violazione dei diritti della propria figlia e agisce comunque in tribunale contro il Ministero dell’Istruzione in “qualità di erede universale” per ottenere giustizia a nome della figlia, per restituirle in tribunale la dignità di lavoratrice con esperienza decennale che doveva essere retribuita diversamente, come avrebbero retribuito un docente di ruolo, mentre lo Stato italiano e il CCNL le avevano negato per tutto il suo periodo di lavoro il giusto riconoscimento della propria professionalità e il tribunale le dà ragione”. Lo racconta Anief.

La madre, infatti, si legge in sentenza, “ha ampiamente documentato i reiterati servizi di insegnamento a tempo determinato svolti” dall’insegnante “in relazione ai quali la stessa ha maturato un diritto di credito per differenze retributive relative a scatti di anzianità mai percepiti. In particolare la ricorrente ha indicato la classe di concorso nella quale la figlia era abilitata e ha elencato in maniera puntuale gli anni scolastici dalla stessa svolti e per i quali chiede il riconoscimento ai fini della progressione di carriera, producendo altresì i relativi contratti”. 

LA DISPARITÀ DA EVITARE

Il giudice del lavoro nella sentenza rileva senza ombra di dubbio “l’oggettiva disparità di trattamento che sussiste, sotto il profilo retributivo, tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato, in assenza di “ragioni oggettive”, con conseguente violazione del principio di non discriminazione” che è sancito da una Direttiva Comunitaria, la 1999/70/CE. 

In sentenza si legge a chiare lettere come “ai sensi del combinato disposto dell’art. 489 del D. Lgs. n. 297/1994 e dell’art. 11, comma 14 della legge 124/1999 – ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio per la collocazione nei corrispondenti scaglioni stipendiali, il periodo di insegnamento non di ruolo è considerato come anno scolastico intero se ha avuto durata di almeno 180 giorni, oppure se è stato prestato ininterrottamente dal 1 febbraio sino al termine delle operazioni di scrutinio finale”. Sulla base di tale principio, il giudice decide di “ricostruire la retribuzione spettante nel corso dei vari periodi di servizio a termine, prima ed a prescindere dall’eventuale immissione in ruolo”, disapplicando, quindi, quanto indicato dal Contratto collettivo nazionale del lavoro in relazione agli stipendi dei lavoratori precari, perché una norma interna o pattizia non può confliggere con norme superiori di natura vincolante, come una direttiva comunitaria, appunto. 

IL PARERE DEL PRESIDENTE ANIEF

“Lavoriamo ogni giorno – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – al fianco dei lavoratori precari della scuola, li supportiamo nel loro iter e ascoltiamo le loro storie di ordinario sacrificio, di giornate di lavoro che iniziano alle 3 di mattina per prendere il treno e andare a lavorare in una provincia diversa, di speranze deluse in attesa di un’immissione in ruolo che non arriva mai, di timori per il proprio futuro. Dietro i contratti a termine ci sono storie di Lavoratori cui da sempre il Miur nega pari dignità rispetto al personale di ruolo. Il contratto nazionale di categoria deve rispettare tutti i lavoratori e riconoscere pari dignità ai precari, lo Stato deve assumerli dopo 36 mesi di servizio, il contratto deve riconoscere loro scatti di anzianità, ferie, permessi retribuiti. Porteremo anche la loro voce ai tavoli della trattativa, probabilmente saremo l’unico sindacato a chiedere di rispettare questo principio, ma lo faremo come sempre a testa alta perché per noi dietro quei contratti precari, dietro le “tessere” sindacali dei precari ci sono persone, ci sono Lavoratori che ogni giorno con il loro impegno e la loro professionalità permettono il normale svolgimento delle lezioni in tutta Italia e sono Lavoratori, appunto, con la lettera maiuscola!”. 

IL PARERE DELLA CASSAZIONE

Il riferimento decisivo, ai fini dell’accoglimento del ricorso condotto dall’erede universale, è stata dunque la sentenza della Cassazione n. 22558/2016, ha enunciato il seguente principio di diritto: «La clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato». E la Cassazione ha anche chiarito sin dal 2011 che per quanto riguarda il riconoscimento degli scatti di anzianità, il principio vale sempre e non si applica la prescrizione breve, quinquennale, perché il credito vantato non è meramente retributivo, ma deriva da violazione di direttiva comunitaria, ed è quindi soggetto a prescrizione ordinaria decennale.