“Bene la soluzione sul concorso straordinario per la scuola”. Queste le parole a caldo pubblicate sul sito del Miur e attribuite al Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina sulla soluzione trovata ieri notte, tramite mediazione del premier Giuseppe Conte, per garantire la ripartenza della scuola a settembre, dichiarandosi “soddisfatta” del risultato raggiunto.
il concorso per i precari ci sarà, ma dopo l’estate e non sarà più a crocette: ci sarà una prova scritta. Nel frattempo, i 32 mila docenti di scuola media e superiore entreranno in cattedra a tempo determinato direttamente dalle Graduatorie d’istituto, che dovranno essere aggiornate. E dal primo settembre saranno a disposizione della scuola.
Repubblica.it
“Vogliamo ridurre il precariato, per dare più stabilità alla scuola, e vogliamo farlo attraverso una modalità di assunzione che garantisca il merito. La proposta del Presidente del Consiglio va in questa direzione, confermando il concorso come percorso di reclutamento per i docenti”.
Prosegue la Ministra: “Viene accolta la richiesta di modificare la modalità della prova, eliminando i quiz a crocette che erano stati previsti nel decreto scuola votato a dicembre in Parlamento. Questa prova sarà sostituita con uno scritto, in modo da garantire una selezione ancora più meritocratica”.
Continua Azzolina: “Ora occorre lavorare rapidamente, insieme al Parlamento, per tradurre la misura in una norma da introdurre nel decreto scuola, dimostrando che la maggioranza ha a cuore la qualità del sistema di istruzione e, di conseguenza, gli studenti, che ne sono i principali protagonisti. Stiamo rispondendo anche ad una precisa richiesta delle famiglie che vogliono, a ragione, certezze sulla qualità del nostro sistema di istruzione e sul suo futuro. Le scelte che facciamo oggi avranno infatti ripercussioni nei prossimi anni. Abbiamo 78 mila insegnanti da assumere nel primo e secondo ciclo fra concorsi ordinari e concorso straordinario. Fra gli aspiranti anche migliaia di giovani che si preparano da tempo e vogliono avere la loro occasione per cominciare ad insegnare. Sono numeri importanti e dobbiamo fare presto. La scuola ha bisogno di stabilità e programmazione. In passato tutto questo è mancato. Possiamo davvero voltare pagina. E farlo nell’interesse dei nostri ragazzi”.
Nella giornata di ieri è stata pubblicata dai sindacati della scuola la lettera-appello indirizzata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina che ha come oggetto: “Decreto legge milleproproghe, soluzione normativa a tutela dei docenti con tre anni di servizio nelle attività di sostegno e degli Assistenti Amministrativi facenti funzione di Direttore dei Servizi generali e Amministrativi (DSGA)”.
Eccone il testo integrale.
Signor Presidente, Signora Ministra, chiediamo un intervento risolutore da parte delle SS.LL., con un apposito emendamento nel Decreto Legge cosiddetto “milleproroghe” in discussione in Parlamento, a tutela e riconoscimento del servizio svolto dalle categorie di personale scolastico di cui all’oggetto.
In merito facciamo presente quanto segue.
Docenti supplenti con tre anni di servizio nella attività di sostegno senza titolo specifico.
Crediamo sia un atto giusto e necessario consentire a questo personale di partecipare al concorso straordinario in via di indizione non, come è ovvio, per l’accesso all’insegnamento nell’organico di sostegno – per cui è imprescindibile il possesso del titolo di specializzazione – ma nella classe di concorso dell’insegnamento di provenienza.
Non si consumerebbe così a suo danno una misura di esclusione dal momento che esso possiede il titolo dei tre anni di servizio che è il requisito previsto per la partecipazione al concorso straordinario.
Assistenti Amministrativi facenti funzione di DSGA con almeno tre anni di servizio nella funzione.
Riteniamo altrettanto giusto e necessario consentire a questo personale di partecipare ad un concorso ad esso riservato. Più e più volte abbiamo rappresentato le sue ragioni e più e più volte abbiamo trovato ascolto e riscontrato condivisione nei nostri interlocutori parlamentari, di Governo e dell’Amministrazione, purtroppo senza che siano prodotti i necessari esiti legislativi.
Ricordiamo a tale proposito, relativamente ad entrambe le categorie di cui si parla, che espressioni di condivisione delle richieste sindacali sono contenute sia nell’Intesa del 24 aprile 2019 sottoscritta dal Presidente del Consiglio sia nel Protocollo di conciliazione del 19 dicembre 2019 e sottoscritto dall’allora Ministro dell’Istruzione.
Riteniamo un atto necessario di coerenza e di credibilità da parte del Governo e dell’Amministrazione accogliere il presente appello, fermo restando che gli impegni assunti dalle Amministrazioni dello Stato non possono essere messi in discussione ad ogni mutare dei contesti politici.
Crediamo inoltre che si debba fare il possibile per evitare il ripetersi di procedure di contenzioso giurisdizionale che per l’ennesima volta assegnerebbero impropriamente il governo del reclutamento alla magistratura.
Siamo convinti che nel provvedimento in questione vi sia lo spazio per corrispondere a quegli impegni, rimuovendo ragioni di conflitto e riconoscendo positivamente il valore di una qualificata esperienza di lavoro rivelatasi indispensabile per un corretto e regolare funzionamento del sistema scolastico.
In attesa di un positivo e risolutivo riscontro, dichiarandoci disponibili a qualsiasi ulteriore chiarimento, cogliamo l’occasione per inviare cordiali saluti
I segretari di FLC CGIL CISL Scuola UIL Scuola Rua SNALS Confsal GILDA Unams
La riforma sull’obbligo scolastico – che non verrebbe esteso solamente dopo
i 16 anni, ma comprenderebbe anche la scuola materna, al contrario di quanto
avviene oggi – è tra le proposte che più sembrano prioritarie per il Pd in tema
di scuola. A confermare le intenzioni dei democratici, che collimano con quelle
della ministra dell’Istruzione, è stata la viceministra all’Istruzione, Anna
Ascani: “Al tavolo su agenda governo 2020/2023 abbiamo portato le priorità
del Pd sulla scuola: estensione obbligo 3-18 anni, gratuità dei libri di testo
e tempo pieno. Investiamo sui talenti di ognuno, sul diritto allo studio
universale per far crescere il Paese”.
Anief ha da diversi anni presentato formale proposta per l’anticipo
dell’obbligo scolastico a 5 anni, introducendo una classe ‘ponte’ che preveda
la compresenza dei maestri dell’infanzia con quelli della scuola primaria,
all’interno di una rinnovata programmazione e organizzazione degli spazi
d’aula. Il sindacato ha ribadito la necessità di procedere all’anticipo dell’età
di avvio della scuola anche nell’ultima manovra
di bilancio, assieme alla cancellazione degli organici di fatto, in modo da
utilizzare il personale su posti effettivi e utili per le operazioni di
mobilità e di reclutamento.
Le segreterie nazionali di FLC CGIL, CISL FSUR, UIL Scuola RUA, SNALS Confsal e Federazione GILDA-Unams, riunite congiuntamente, esprimono forte preoccupazione riguardo alla procedura e ai tempi con cui si sta realizzando il passaggio di testimone alla guida del Ministero dell’Istruzione.
In un telegramma inviato al presidente del Consiglio e ministro ad interim del MIUR, Giuseppe Conte, hanno chiesto un incontro urgente per l’attivazione dei tavoli previsti dagli accordi sia pure in attesa del giuramento dei nuovi ministri.
I segretari generali dei cinque sindacati, nel fare il punto della situazione alla luce del cambio al vertice di viale Trastevere e degli impegni presi dall’ex titolare del MIUR, denunciano la gravità del ritardo che sta incidendo in termini negativi sulle procedure attuative degli accordi sottoscritti tra il Governo e le organizzazioni sindacali, intese che hanno determinato la sospensione delle iniziative decise nell’ambito dello stato di agitazione.
L’attività di confronto può essere attivata, a parere dei sindacati, anche nelle more dell’avvicendamento al vertice del Dicastero, per il rispetto degli impegni e dei tempi di attuazione degli accordo sottoscritti.
La scuola – affermano i sindacati – non può essere messa in stand-by: è la politica che deve rispettare i tempi della scuola e non viceversa. Il ritardo che sta subendo l’iter dei bandi del concorso ordinario e di quello straordinario, che meritano insieme alle procedure di abilitazione un approfondito confronto di merito, rischia di far slittare la stabilizzazione dei precari e far partire il prossimo anno scolastico con un numero di cattedre scoperte ancora più alto.
È urgente che il Governo si faccia carico concretamente del fenomeno del precariato nella scuola, che sta assumendo dimensioni sempre più allarmanti: mortifica migliaia di insegnanti, mina la continuità didattica e pregiudica il diritto all’istruzione di studentesse e studenti.
Fondamentale, inoltre, accelerare anche la procedura per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, reperendo le risorse economiche necessarie per colmare il divario tra le retribuzioni del personale del comparto Istruzione e Ricerca e quelle del resto del pubblico impiego, con l’obiettivo strategico di allineare gli stipendi di tutto il personale, a partire dai docenti, a quelli dei loro colleghi europei.
I segretari generali dei cinque sindacati più rappresentativi del comparto si dicono pronti, in mancanza di risposte concrete sui temi sopra enunciati come sul concorso riservato ai facenti funzione di DSGA e in mancanza della convocazione immediata dei tavoli previsti dagli accordi, a riprendere le iniziative di mobilitazione di tutto il personale.
Lo comunicano le sigle sindacali unite in una nota.
Gli allarmi si chiamano supplentite e precariato. Problemi che non s’arrestano, anzi. Il 2020, per Anief, sarà un ennesimo anno in cui contrastare queste emergenze.
“Noi preghiamo il presidente del Consiglio – sottolinea Pacifico – che
ha l’interim in di questo momento, e i futuri ministri Azzolina e Manfredi, di intervenire
subito con soluzioni tampone, che non possono essere diverse da quelle
indicate da Anief. La prima cosa importante per il personale docente è consentire
il reclutamento dalle graduatorie d’istituto: non si possono aspettare
due o tre anni e avere quasi 300 mila supplenti in attesa dei nuovi concorsi,
se anche i concorsi si dovessero fare nel minor tempo possibile servirà oltre
un anno e mezzo. C’è la possibilità entro giugno di
consentire alle graduatorie d’istituto provinciali di dare
supplenze annuali o fino al termine delle attività, ma
anche scorrerle nel momento in cui sono esaurite le
graduatorie ad esaurimento. In questo modo andremo a decurtare
subito tutti i precari di seconda e terza fascia e andremo
finalmente a diminuire quella supplentite che
caratterizza la scuola italiana”.
L’auspicio è passare presto a una fase operativa, con la riapertura dei
tavoli al Miur, anche se servirà ancora un po’ di tempo. “Il problema del
precariato – osserva il leader del giovane sindacato rappresentativo – non è
stato risolto. L’Anief lo ha denunciato durante lo sciopero del 12 novembre,
durante le audizioni parlamentari, all’opinione pubblica e attraverso la
stampa. Il problema del precariato è veramente grande, molto probabilmente ci
vorranno ancora diversi giorni prima che si possa di nuovo riaprire
tutti i tavoli al Ministero, visto lo spacchettamento tra
Ministero dell’Istruzione e Ministero dell’Università e Ricerca”.
Lorenzo Fioramonti, docente, classe ’77, è il nuovo Ministro dell’Istruzione italiano. Succede a Marco Bussetti, quota Lega, che ha perso il dicastero a causa delle conseguenze della crisi di Governo innescata da Matteo Salvini e che ha portato alla nascita dell’esecutivo PD – Movimento 5 Stelle e del Conte – bis.
Ed è stato proprio Bussetti a nominare Fioramonti viceministro all’Istruzione durante la precedente esperienza di Governo.
Chi è il politico Lorenzo Fioramonti
Lorenzo Fioramonti, pentastellato, laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ha manifestato già prima degli ultimi due anni interessi per la politica e per l’attivismo. Tra il ’97 e il 2000 è stato assistente parlamentare in quota Di Pietro per sviluppare “politiche per i giovani nelle periferie” (recita Wikipedia).
Nel 2018 è candidato con il Movimento 5 Stelle nel collegio uninominale di Roma Torre Angela ed entra nella Camera dei Deputati. Di lì il percorso – prima sottosegretario, poi viceministro e, con il nuovo Governo, Ministro dell’Istruzione.
Fioramonti è balzato agli onori della cronaca per aver nominato come suo segretario particolare Dino Giarrusso, uomo di cinema e spettacolo ancor prima che politico, con ruolo attinente alla comunicazione – ma anche per raccogliere le segnalazioni su presunti brogli ai concorsi universitari.
Corrado Zunino, su Repubblica, parla così del neo-ministro:
Vuole un miliardo per l’università, ed è convinto si possa trovare con micro tasse sui grandi volumi delle bibite gassate e zuccherate, delle merendine da gettone, sugli inquinanti voli aerei […] Il trio sovranista Bussetti – Valditara (capo Dipartimento) – Chinè (capo di gabinetto) non gli faceva toccar palla.
Corrado Zunino, Repubblica.it
Chi è il docente Lorenzo Fioramonti
Da un punto di vista squisitamente accademico, invece, Fioramonti risulta professore ordinario di economia politica presso l’Università di Pretoria, oltre a essere il direttore del Centro per lo studio dell’innovazione Governance (GovInn) dello stesso ateneo.Fioramonti è anche membro del Center for Social Investment dell’Università di Heidelberg, della Hertie School of Governance e dell’Università delle Nazioni Unite.
Specializzato in economia e integrazione economica europea, è anche autore di diversi libri – il più famoso è probabilmente Gross Domestic Problem: la politica dietro il numero più potente del mondo (del 2013).
Marcello Pacifico,
presidente nazionale Anief, ricorda che “l’impatto del provvedimento su ambiti
materiali rientranti nella competenza esclusiva dello Stato e potenzialmente
suscettibili è portatore di disparità di trattamento tra regioni o difficoltà
nella libera circolazione delle persone e delle cose tra i territori regionali
o limitazioni dell’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del
territorio nazionale. Per tali ragioni, si è paventato in dottrina che
l’affidamento ad alcune regioni di servizi a forte contenuto redistributivo
(come l’istruzione e la sanità) potrebbe portare ad un indebolimento dei
diritti di cittadinanza, nonché́ – conclude il sindacalista – a problemi
relativi all’individuazione di criteri per l’assegnazione delle risorse”.
Appare evidente come
profili di illegittimità costituzionale si potrebbero riscontare in diversi
punti: nella parte in cui si prevede una modifica della Costituzione con
modalità non previste (le modifiche delle disposizioni costituzionali sono
disciplinate dall’art. 139 Cost.); per alcune materie appare molto problematica
un’attribuzione completa alle regioni in quanto necessitano di interventi
unitari; la devoluzione delle materie di competenza esclusiva non può
totalmente essere devoluta alle Regioni, in quanto lo Stato dovrebbe definire
le prestazioni essenziali; l’attribuzione delle risorse finanziarie alle
Regioni sia basata, nelle more della definizione dei fabbisogni standard per
ogni singola materia, sulla spesa storica riferita alle funzioni trasferite e
destinata a carattere permanente, a legislazione vigente, dallo Stato alla
Regione interessata.
Inoltre, continua,
in considerazione delle difficoltà riscontrate nella definizione dei fabbisogni
standard, gli schemi di intesa prevedono un meccanismo alternativo di determinazione
delle risorse finanziarie per l’ipotesi in cui, trascorsi tre anni dall’entrata
in vigore dei decreti attuativi, non siano stati ancora definiti i fabbisogni
standard (articolo 5, comma 1, lett. b), degli schemi di intesa). La previsione
di tale meccanismo alternativo non risulta, a dire del Dipartimento stesso,
condivisibile.
Infine, gli schemi
di intesa non prevedono un termine di durata dell’intesa medesima: sarebbe
opportuno la previsione di un termine di durata per evitare la definizione di
processi irreversibili. E anche sulla clausola di cedevolezza delle
disposizioni statali, c’è da dire che non possono essere le Regioni a stabilire
quali norme statali cesseranno di essere applicate.
“LA CONSULTA SI È GIÀ ESPRESSA”
A questo proposito, le
due sentenze della Corte Costituzionale, la n. 107/2018 (sulla L. regione
Veneto) e la n. 6/2017 e 242/2011 sulla Legge Trento 5/2006, risultano
particolarmente utili, perché evidenziano da una parte i rischi di disposizioni
incostituzionali, in un caso sulla materia dei servizi per l’infanzia (di
competenza esclusiva delle regioni), e dall’altra il problema del reclutamento
del personale. In entrambi i casi, la Corte interviene con la dichiarazione di
incostituzionalità a riprova di quanto sia facile scrivere norme che sembrano
utili e funzionali, ma irrispettose dei principi fondamentali della Carta
costituzionale.
Anief si è da sempre espressa contro questo modello di gestione dei servizi pubblici, a cominciare dalla scuola, partecipando anche, a fine giugno, alla manifestazione “No alla regionalizzazione scolastica, per difendere la Scuola di Stato“, assieme ad altri sindacati, associazioni e comitati di settore. Anche se molto vago, lo scorso 24 aprile proprio il presidente del Consiglio ha preso un impegno per mantenere l’unità dell’istruzione pubblica: è bene che si ricominci da lì, mettendo subito da parte egoismi regionali che poggiano su leggi incostituzionali.
Diventa pubblico il documento tecnico con cui il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel rivolgersi al Capo del Governo, assume una forte posizione contraria rispetto al progetto leghista, che attraverso l’approvazione di una serie di elementi incostituzionali porterebbe all’affossamento delle regioni del Sud. Gli esperti di legislazione, inoltre, avvertono: bisogna “garantire il ruolo del Parlamento”.
Sul progetto di
regionalizzazione della scuola, della sanità e di una serie di servizi
pubblici, le ragioni della Lega si stanno sciogliendo come neve al sole: dopo
quelle spiegate qualche giorno fa dall’on. Luigi Gallo, presidente della
Commissione Cultura della Camera, il quale oggi, in
un’intervista ad Orizzonte Scuola, ha detto che “l’autonomia si può
realizzare in tanti modi”, ma di sicuro “il M5S non permetterà un progetto che
aumenti le disuguaglianze sociali e territoriali”, ad esprimere forti dubbi sul
testo fermo in Consiglio dei Ministri è ora anche il “Dipartimento per gli
affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri”,
che ha fornito una lucida sintesi sui principali elementi di criticità, anche
sotto il profilo della legittimità costituzionale.
Con un
documento indirizzato al premier Giuseppe Conte, reso pubblico in queste
ore, gli esperti di leggi dello Stato hanno palesato il fondato rischio, in
fase di approvazione dell’importante provvedimento di legge, di aggiramento del
dibattito parlamentare da parte del Governo: per il Dipartimento, non basta
l’accordo tra Stato e Regioni per dar via all’applicazione dell’articolo 116,
terzo comma, della Costituzione. Gli schemi di intesa sulle ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia nelle Regioni Lombardia, Veneto ed
Emilia-Romagna hanno necessità di un passaggio legislativo.
“Nel delineare il
relativo procedimento in sede di prima applicazione – si legge nel documento
indirizzato al premier -, appare necessario garantire il ruolo del Parlamento,
assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento
dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente
incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese”. Il pericolo è quindi
che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, promotrici del progetto, possano
riuscire ad ottenere più finanziamenti a discapito delle altre regioni con già
meno servizi e risorse.
Il Dipartimento del
CdM ricorda che la “modalità di determinazione delle risorse prevede, infatti,
che la spesa destinata alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio
nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse”. Poi
esemplifica: “se una Regione virtuosa ha una spesa storica nella materia
trasferita pari al 70 per cento di quella media nazionale, e se si ipotizza che
la relativa popolazione è pari al 10 per cento di quella nazionale,
l’attribuzione di risorse non secondo il criterio storico, ma in base alla
media nazionale, farebbe salire quest’ultima del 3 per cento (perché si
perderebbe un risparmio del 30 per cento riferito al 3 per cento della
popolazione)”. La conclusione è che “risulta dunque agevole comprendere come un
tal modo di procedere implicherebbe un ingiustificato spostamento di risorse
verso le regioni ad autonomia differenziata, con conseguente deprivazione delle
altre (doverosamente postulandosi l’invarianza di spesa complessiva)”.
Le ragioni del “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri” sono in linea con quelle espresse dall’Anief. Secondo il giovane sindacato, infatti, il vero punto dolente non è il principio dell’autonomia differenziata che è affermato a chiare lettere in Costituzione e che ha una sua logica e un suo perché di esistere nel disegno costituzionale, ma la capacità dell’attuale (e non solo) classe politica di attuarlo senza creare gravi ferite a uno Stato di diritto già abbastanza fragile quale quello italiano. Basti pensare alle critiche fortissime all’attuale assetto del titolo V, parte II della Costituzione, come delineato dalla legge cost. n.3/2001, ritenuto da più parti imperfetto e da modificare.
“Scongelare” lo scatto di anzianità del 2013 e incrementare gli stipendi dei docenti utilizzando anche le risorse destinate dalla famigerata legge 107/2015 al finanziamento del bonus merito.
Questa l’intenzione della Gilda degli Insegnanti che tra gli obiettivi del 2019 rilancia uno dei temi più “sentiti” dall’intero comparto scuola. In che modo? Attraverso una petizione il cui destinatario è il presidente del ConsiglioGiuseppe Conte. Le firme verranno raccolte in tutte le scuole d’Italia e parallelamente sul web, attraverso la piattaforma Change.org.
“Negli ultimi anni – spiega il sindacato attraverso il suo ufficio stampa – i docenti hanno subito una sostanziale diminuzione di prestigio, anche a causa della significativa riduzione del potere di acquisto degli stipendi. Buste paga sempre più leggere hanno portato gli insegnanti italiani a diventare fanalino di cosa nell´impietoso confronto con tutti gli altri dipendenti pubblici e con gli insegnanti degli altri Paesi europei”.
La situazione europea
Che negli altri Paesi UE le cose vadano diversamente è un fatto ormai conclamato. Secondo i dati Ocse ed Eurydice citati dalla Gilda, gli stipendi dei docenti in Germania sono praticamente il doppio rispetto a quelli italiani, per tutti i gradi di scuole e per tutte le anzianità, e molto al di sopra della media europea; anche in Spagna le retribuzioni, soprattutto quelle iniziali, si collocano al di sopra della media europea. La Francia ricalca l’andamento europeo, ma con le retribuzioni intermedie più basse, mentre l’Italia si mantie-ne allineata al livello europeo fino all´anzianità di servizio di 15 anni ma segna un netto calo a fine carriera.
“Per cambiare questa situazione indecorosa – afferma Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti – occorre investire maggiori risorse nel rinnovo del contratto, a partire dai fondi del bonus merito”. Bonus merito che, sempre secondo Di Meglio: “Non è un sistema che consente di premiare un bravo insegnante: è un incremento del fondo di istituto con soldi messi a disposizione del dirigente per premiare chi fa progetti”.
“Noi abbiamo proposto – spiega Di Meglio – che le somme stanziate con la legge 107 per il bonus merito vengano utilizzate per dare un minimo di incremento di stipendio agli insegnanti. Se ci sono soldi, che non vengano sprecati. Riguardo, poi, allo scippo dello scatto di anzianità 2013, la Gilda sottolinea che il blocco ha effetti su tutti perché ha spostato in avanti di un anno la progressione, con danni consistenti e irreversibili su stipendio e previdenza stimabili mediamente in 7000 euro nell’arco della carriera lavorativa”.
Recuperare lo scatto di anzianità del 2013, scippato ai docenti “in virtù di sacrifici evidentemente non richiesti ad altri”; maggiori risorse da destinare agli incrementi stipendiali nel prossimo rinnovo contrattuale; abrogazione della famigerata legge 107/2015 ed estromissione di genitori e alunni dal comitato di valutazione. Sono questi i “doni” che la Gilda degli Insegnanti chiede nella “letterina di Natale” indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
“L’anno volge al termine – si legge nella missiva inviata al capo del Governo – ed è tempo di buoni propositi. Appare stridente in questo contesto leggere, nelle bozze della legge di Bilancio, la totale assenza di risorse per il rinnovo del contratto degli insegnanti”.
Il sindacato guidato da Rino Di Meglio, dunque, lancia un appello affinché i risparmi realizzati grazie “alle lodevoli iniziative di taglio agli sprechi, alle prebende della classe politica e alle ‘pensioni d’oro’ vengano redistribuiti in modo più equo.
“È stato infatti calcolato che, in virtù delle riforme fiscali operate dal 1983 al 2007, – spiega la Gilda – i circa 10.000 italiani, il cui reddito nel 2016 è stato maggiore di 600.000 euro, hanno ricevuto ‘regali fiscali’ medi di 100.000 euro ciascuno, per un totale di un miliardo di euro. Con quei soldi, si sarebbe potuto restituire ai docenti lo scatto di anzianità del 2013”.
“Anche le promesse di abrogazione della legge 107 si stanno realizzando con incomprensibile lentezza. Perfino quelle a costo zero, come l’abolizione della miserabile mancia elargita dal dirigente ai docenti” – incalza la Gilda riferendosi al bonus merito.
Al Governo la Gilda chiede infine di restituire dignità professionale agli insegnanti, “accompagnando fuori quei poveri smarriti studenti e genitori chiamati da una legge irragionevole e assurda a far parte di quello che dovrebbe essere un organo collegiale ad altissima responsabilità: il comitato di valutazione dei docenti”.
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