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Coronavirus e ritorno a scuola, Gallo (M5S) capofila per il ritorno “ibrido”

luigi gallo

Sul rientro in classe ognuno dice la sua. Ed in Parlamento si va oltre. L’onorevole Luigi Gallo, presidente del M5S in Commissione Istruzione della Camera, ha presentato un ordine del giorno, che sembra possa contare sul sostegno di una parte della maggioranza parlamentare, con il quale chiede il rientro a scuola prima di settembre per gli alunni non raggiunti dalla didattica a distanza.

GALLO (M5S): NUOVA DIDATTICA

Inoltre, sempre il presidente della Commissione istruzione di Montecitorio in un’intervista a Fanpage ha detto che si sta lavorando “in Parlamento per un graduale ritorno alla presenza a scuola con un numero ridotto di studenti per aula per garantire la sicurezza dato il rischio di contagi da Covid-19. Sarà necessario un cambio di organizzazione, ad esempio, sugli orari e sugli spazi. La stessa didattica in presenza sarà strutturalmente accompagnata dalla didattica a distanza con studenti in aula e studenti in remoto”.

luigi gallo
Luigi Gallo

LARGO AL SISTEMA IBRIDO

Si agisce, in pratica, per realizzare un sistema ibrido, con le lezioni in presenza, in aula, solo per una parte di alunni: si lavora, in conclusione, per un’organizzazione didattica a “targhe alterne”, con le classi spezzettate in sotto-gruppi. Anief ritiene che assegnare qualche decina di tablet nelle scuole, in certi casi pure chiedendo incautamente onerose cauzioni agli alunni non abbienti, attraverso degli stanziamenti nazionali, come accaduto a marzo con gli 85 milioni di euro suddivisi poi per le 8.200 istituzioni scolastiche, possa essere la soluzione all’annoso problema.

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF

“La verità è che oggi su otto milioni di alunni, ben due milioni e mezzo non detengono il computer fisso – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – e siccome la didattica online non si può svolgere con lo smartphone è chiaro che servono dei device appropriati. Come è chiaro che partecipare ad una lezione via internet, con il docente collegato da piattaforma, non si limita ad avere a disposizione un computer o un tablet. Servono telecamere, software, i soldi per la connessione ad Internet. Senza dimenticare un minimo di competenze che, quando si tratta di alunni in condizioni familiari sfavorevoli, oppure di giovani con sostegno, ma anche Dsa e Bes, sono tutt’altro che scontate e facilmente trasmissibili”.

LA PROPOSTA DI DE LUCA

La soluzione al problema indicata dal giovane sindacato è stata accolta anche da alcuni ambienti politici. È di queste ore la richiesta scritta del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, alla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sulle modalità di ripartenza per il prossimo anno scolastico. “Ho scritto al Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, – riporta la pagina ufficiale del Governatore Vincenzo De Luca – per chiedere che, nelle ipotesi al momento allo studio per la ripresa del prossimo anno scolastico, non vi sia la previsione di riduzione degli organici, ma esattamente il contrario, cioè un potenziamento delle docenze. L’impossibilità di consentire assembramenti che costituirebbero un pericolo per la salute pubblica, come più volte Lei ha sottolineato, comporta, come prima logica conseguenza quella di evitare le cosiddette “classi pollaio”. A maggior ragione nel caso in cui dovessero pervenire indicazioni nazionali che prevedessero una didattica in presenza da garantire anche attraverso un “dimezzamento” di alunni per classe e doppi turni. Sarebbe quindi necessario, un potenziamento degli organici”, ha saggiamente chiesto Vincenzo De Luca.

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Regionalizzazione, a Palazzo Chigi c’è un documento che si oppone al progetto della Lega

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (foto: wikicommons)

Diventa pubblico il documento tecnico con cui il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel rivolgersi al Capo del Governo, assume una forte posizione contraria rispetto al progetto leghista, che attraverso l’approvazione di una serie di elementi incostituzionali porterebbe all’affossamento delle regioni del Sud. Gli esperti di legislazione, inoltre, avvertono: bisogna “garantire il ruolo del Parlamento”.

Sul progetto di regionalizzazione della scuola, della sanità e di una serie di servizi pubblici, le ragioni della Lega si stanno sciogliendo come neve al sole: dopo quelle spiegate qualche giorno fa dall’on. Luigi Gallo, presidente della Commissione Cultura della Camera, il quale oggi, in un’intervista ad Orizzonte Scuola, ha detto che “l’autonomia si può realizzare in tanti modi”, ma di sicuro “il M5S non permetterà un progetto che aumenti le disuguaglianze sociali e territoriali”, ad esprimere forti dubbi sul testo fermo in Consiglio dei Ministri è ora anche il “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, che ha fornito una lucida sintesi sui principali elementi di criticità, anche sotto il profilo della legittimità costituzionale. 

Con un documento indirizzato al premier Giuseppe Conte, reso pubblico in queste ore, gli esperti di leggi dello Stato hanno palesato il fondato rischio, in fase di approvazione dell’importante provvedimento di legge, di aggiramento del dibattito parlamentare da parte del Governo: per il Dipartimento, non basta l’accordo tra Stato e Regioni per dar via all’applicazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Gli schemi di intesa sulle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno necessità di un passaggio legislativo. 

“Nel delineare il relativo procedimento in sede di prima applicazione – si legge nel documento indirizzato al premier -, appare necessario garantire il ruolo del Parlamento, assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese”. Il pericolo è quindi che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, promotrici del progetto, possano riuscire ad ottenere più finanziamenti a discapito delle altre regioni con già meno servizi e risorse. 

Il Dipartimento del CdM ricorda che la “modalità di determinazione delle risorse prevede, infatti, che la spesa destinata alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse”. Poi esemplifica: “se una Regione virtuosa ha una spesa storica nella materia trasferita pari al 70 per cento di quella media nazionale, e se si ipotizza che la relativa popolazione è pari al 10 per cento di quella nazionale, l’attribuzione di risorse non secondo il criterio storico, ma in base alla media nazionale, farebbe salire quest’ultima del 3 per cento (perché si perderebbe un risparmio del 30 per cento riferito al 3 per cento della popolazione)”. La conclusione è che “risulta dunque agevole comprendere come un tal modo di procedere implicherebbe un ingiustificato spostamento di risorse verso le regioni ad autonomia differenziata, con conseguente deprivazione delle altre (doverosamente postulandosi l’invarianza di spesa complessiva)”. 

Le ragioni del “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri” sono in linea con quelle espresse dall’Anief. Secondo il giovane sindacato, infatti, il vero punto dolente non è il principio dell’autonomia differenziata che è affermato a chiare lettere in Costituzione e che ha una sua logica e un suo perché di esistere nel disegno costituzionale, ma la capacità dell’attuale (e non solo) classe politica di attuarlo senza creare gravi ferite a uno Stato di diritto già abbastanza fragile quale quello italiano. Basti pensare alle critiche fortissime all’attuale assetto del titolo V, parte II della Costituzione, come delineato dalla legge cost. n.3/2001, ritenuto da più parti imperfetto e da modificare. 

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Basta classi pollaio, tuona il M5S. Ma i soldi non ci sono

studenti scuola primaria generica

Un progetto di legge targato M5S cambierebbe la scuola, ed è difficile non accoglierlo positivamente. È la proposta di legge n. 877, presentata da deputati pentastellati e che ha come primo firmatario Lucia Azzolina e tra gli Luigi Gallo, presidente della Commissione Cultura della Camera. Da una settimana ha iniziato il suo iter di approvazione ma la strada è tutta in salita.

L’attuale normativa

Attualmente vige il DPR 81/2009, approvato dall’ultimo esecutivo Berlusconi, che ha permesso la concentrazione di alunni sino ad arrivare alla presenza di oltre 30 iscritti per classe.

“Progetto inattuabile”

Sebbene quindi sarebbe più che auspicabile per ovvie ragioni intervenire in tal senso e portare le classi a un ragionevole numero di frequentanti, l’opposizione parlamentare, in particolare il Partito Democratico e Forza Italia, riportano tutti con i piedi per terra parlando di “progetto inattuabile”, per via dei costi che comporterebbe.

Nel disegno di legge, si prevedono 338.500.000 euro per l’anno in corso e a salire per gli anni a venire fino a superare i 2 miliardi di euro a decorrere dal 2022.

C’è poi da considerare che chi conosce la scuola sa bene che l’incremento delle classi comporta, a cascata, anche delle spese indirette (di gestione, personale aggiunto, ecc.) che potrebbero far lievitare le economie preventivate dal ddl 877.

Il problema esiste, tanto che lo stesso Luigi Gallo, tra i firmatari della proposta di legge, ha fatto sapere: “Ci sarà tutto il mio impegno a chiedere le risorse necessarie al governo già per il 2020 per dare un segnale straordinario alla scuola. È una battaglia storica che vuole ridare dignità al nostro Paese, è una battaglia che si fa anche in Europa per far uscire dai vincoli di bilancio gli investimenti in istruzione e cultura. Noi in commissione continueremo a difendere il lavoro per cancellare le classi pollaio”. Quindi, di risorse al momento non se ne parla: semmai, si reperiranno, sempre se il governo si dirà d’accordo, solo a partire dal prossimo anno.

Anche per l’anno prossimo, quindi, potremmo ritrovarci con classi pure da 36 alunni. Perché, c’è scritto nella relazione illustrativa del disegno di legge “nelle scuole secondarie di secondo grado è attualmente possibile comporre classi di 33 alunni; se poi si tiene conto della possibilità di derogare fino al 10 per cento al numero massimo degli alunni per classe, prevista dall’articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, è facile comprendere come ad oggi sia legittimo e pienamente conforme alla legge comporre sezioni con ben 36 alunni”.

La situazione è seguita con attenzione dai sindacati, tra cui ANIEF che nelle scorse ore ha riassunto il tutto in una nota stampa.

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Regionalizzazione, spaccatura nel M5S

luigi di maio foto facebook

Sull’autonomia e regionalizzazione del Veneto “stiamo lavorando al massimo della forza per ottenere il risultato il prima possibile”. Il disegno di legge “è andato in Consiglio dei Ministri prima di Natale, come avevamo detto. Nei prossimi giorni ci sarà un incontro sui punti risolutivi su una serie di punti”.

A dirlo è stato il vice-premier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio che nell’occasione si è sbilanciato anche sui tempi di attuazione del progetto: nel mese di febbraio, aggiunge il ministro, “deve essere pronto il documento che poi il presidente del Consiglio deve discutere con i presidenti delle Regioni”.

Qualche giorno fa invece Luigi Gallo, presidente della VII Commissione alla Camera, aveva detto che il progetto di autonomia “il M5S non lo farà. Ha costruito la sua identità sulla capacità di ridurre la scandalosa forbice di ricchezza che esiste tra cittadini, territori e regioni. È questa la vera chiave di un nuovo sviluppo”.

Solleva la questione e la sottolinea il sindacato Anief che ricorda che non si tratta di una sperimentazione una tantum: “Il primo partito di governo deve uscire allo scoperto”.

Secondo il suo presidente Marcello Pacifico, i giudici hanno sempre detto no ad un modello del genere, perché palesemente incostituzionale: “Quello che serve per risolvere i tanti problemi di gestione scolastica non è l’autonomia regionale, ma l’adozione di organici differenziati, sulla base delle esigenze territoriali, l’incremento dell’occupazione e dei livelli di istruzione, soprattutto al Sud, la riduzione dei tassi di abbandono. La regionalizzazione non farebbe altro che elevare il ritardo attuale di alcune regioni”.