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Legge di Bilancio, per la scuola 80 euro in più in busta paga

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Per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici, il Governo è pronto a inserire nella manovra di fine anno uno stanziamento che si ferma ad un miliardo di euro. La cifra verrebbe anche divisa in due tranche, con una parte per il 2020 e un’altra per il 2021: si tratta di risorse che vanno a sommarsi ai 1,775 miliardi di euro già stanziati dal precedente esecutivo. A scriverlo è Il Messaggero, che ha anche quantificato i fondi per il rinnovo del contratto 2019-2021 da assegnare ai dipendenti statali: “potrebbe contare complessivamente su 2,7 miliardi di euro circa”.

QUANTI SOLDI IN ARRIVO

La cifra complessiva, stima il quotidiano romano, “si tradurrebbe, secondo le prime simulazioni, in un aumento medio di 80 euro lordi mensili per ognuno dei circa 3 milioni di dipendenti delle amministrazioni pubbliche”. A ufficializzarlo ai sindacati sarà “nello stesso giorno in cui il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare la manovra di bilancio e il decreto fiscale che la accompagna, il ministro della Funzione pubblica Fabiana Dadone”.

“Il problema – commenta il sindacato Anief – è che stiamo parlando di somme lontanissime da quelle attese. E anche da quella annunciate dai componenti dell’attuale governo, che continuano a parlare, per rimanere agli insegnanti, di stipendi da adeguare alla media europea, avanti di circa il 30%. Per quantificare la modestia della somma investita dall’attuale esecutivo politico, è tutto dire che il precedente contratto, quello della tornata 2016-2018, concluso quando al governo c’era Matteo Renzi, aveva consentito un aumento superiore: 85 euro lordi mensili. Un incremento del 3,48%”. Mentre i rinnovi dei contratti dei lavoratori privati che si stanno chiudendo in questi mesi, fa notare sempre Il Messaggero, “hanno ottenuto somme decisamente più alte, circa 150 euro lordi mensili. Non solo. Il semplice riconoscimento di un adeguamento totale all’andamento del tasso di inflazione, anche considerando i dieci anni di blocco prima dell’ultimo rinnovo, comporterebbe un aumento di almeno 120 euro lordi mensili”.

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Fioramonti: “Stipendi più alti ai docenti che lavorano fuori regione”

lorenzo fioramonti ministro istruzione

Secondo il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, giustamente, molti insegnanti “restano nella propria regione di appartenenza dove non ci sono posti, vanno fuori, ma non possono permettersi di vivere lì, quindi devono costantemente fare i pendolari. Noi dobbiamo investire in quello che fa bene a una società. L’economia ha bisogno di formazione, di investimenti di base, queste sono le cose che fanno crescere l’economia”. 

Il sindacato ritiene positiva la posizione del ministro dell’Istruzione: un insegnante costretto a cambiare provincia o regione non può affrontare spese aggiuntive per trasporti, affitti, utenze e quant’altro, con uno stipendio bloccato per anni a 1.300 euro al mese. È una somma fortemente insufficiente per assolvere al carico di spese ulteriori che il docente è costretto ad affrontare. 

“Gli aumenti medi del 3,48% a regime approvati con il rinnovo di contratto di un anno e mezzo fa – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – hanno prodotto incrementi ‘miserevoli’ e arretrati insignificanti, lasciando il costo dalla vita superiore al 10% rispetto agli stipendi di chi insegna nel nostro Paese. E il futuro non è roseo. Perché il Governo precedente, composto da M5S e Lega, non è andato oltre a 40 euro lordi di incremento medio in tre anni. Si tratta di una somma davvero insufficiente: per ottenere l’allineamento all’inflazione, occorrerebbe almeno il triplo di quanto è stato inserito nell’ultima Legge di Bilancio”. 

In attesa di vedere prodotti i risultati di questa nuova politica, Anief consiglia di ricorrere al giudice per il conferimento dell’indennità di vacanza contrattuale nel periodo 2015-2018 mai corrisposta, in modo da far recuperare a docenti e Ata almeno il 50% del tasso IPCA non aggiornato dal settembre di tre anni fa. Si punta anche al recupero di migliaia di euro per i mancati arretrati. Tutti i lavoratori interessati al ricorso possono ancora chiedere il modello di diffida al seguente indirizzo di posta elettronica: segreteria@anief.net.

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Stipendi a confronto, in Europa retribuzioni doppie rispetto all’Italia e massima retribuzione dieci anni prima

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Con l’ennesimo mini-incremento del mese di giugno, erogato in questi giorni, il personale della scuola ha ricevuto una variazione dello 0,42%, sulla base della fascia stipendiale di anzianità in cui si è attualmente inseriti. Di conseguenza, per insegnanti e personale Ata, l’indennità di vacanza contrattuale potrà aumentare di pochi spiccioli: su uno stipendio di 1.500 euro, che è la media delle retribuzioni nella scuola, si applicherà un aumento di circa 6 euro.

La denuncia arriva tramite nota stampa da Anief. Il presidente Marcello Pacifico dichiara: “Dopo gli aumenti del 3,48%  e gli arretrati farsa del Governo Pd, i lavoratori della scuola si ritrovano a percepire cifre che si commentano da sole e delle vaghe promesse del premier Giuseppe Conte senza un minimo di finanziamenti nel Def, propedeutico alla Legge di Stabilità. I numeri parlano chiaro, ma noi non ci arrendiamo”.

“Gli stipendi di chi lavora nella scuola si muovono così poco da sembrare fermi: gli attuali 6 euro di media si sommano infatti a quelli dello scorso mese di aprile, quando furono aggiunti in busta paga dai 3,90 euro del collaboratore scolastico ai 5,60 euro di un docente delle superiori assieme ad un mini-conguaglio e all’elemento perequativo applicato a maggio. Poi, il prossimo mese di luglio, in attesa del rinnovo contrattuale, ha scritto Orizzonte Scuola, l’indennità di vacanza contrattuale aumenterà ulteriormente da 5,88 a 10,99 euro (la somma non si aggiunge a quella di aprile, ma la sostituisce). Tuttavia, ha fatto notare la rivista specializzata, “dal mese di marzo fino a novembre lo stipendio dei pubblici dipendenti” rimane gravato dalle “addizionali regionali e comunali”. Si tratta di cifre non altissime, ma che “purtroppo a volte superano la somma dell’indennità di vacanza contrattuale, che viene così annullata””. 

“Quindi, i dipendenti della scuola nemmeno si accorgeranno di nulla. E continueranno ad essere pagati molto meno rispetto agli altri Paesi, dove in media si lavora anche meno ore. Senza dimenticare che uno dei pochi provvedimenti positivi del Governo, gli 80 euro applicati agli stipendi fino a circa 26 mila euro, che nella scuola riguarda oltre mezzo milione di dipendenti, potrebbe ora anche essere cancellato”. 

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“Aumento stipendi a rischio per colpa dei sindacati”, l’affondo di Anief

Il Governo è pronto da aprile, a seguito dell’accordo, ad incrementare la retribuzione di un milione di insegnanti ed Ata, ma i ritardi nella definizione del contratto quadro sulla rappresentatività e le nuove risorse che devono essere approntate per evitare la procedura d’infrazione dell’Europa potrebbero far saltare tutto: diventa a rischio persino l’indennità di vacanza contrattuale riattivata dalla Legge 145/2018, se confermate le stime della crescita zero del Pil. Unica soluzione, siglare il CCNQ su aree, comparti e rappresentanza mercoledì prossimo – 26 giugno – per firmare il CCNL 2019/2021 in estate prima della prossima legge di stabilità? La stessa sorte potrebbe accadere agli altri 2 milioni di dipendenti pubblici. Ma le confederazioni rappresentative firmeranno, perché senza la certificazione della nuova rappresentatività non si possono firmare i contratti di settore e fino ad oggi, per paura di far sedere Anief ai tavoli, in Aran si è perso soltanto tempo, con opposizioni strumentali, al punto che la vicenda potrebbe finire in tribunale. 

Anief ha diffidato tutte le confederazioni presenti al tavolo affinché venga firmato il Ccnq.

(ufficio stampa Anief)

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Arrivano i mini-aumenti per i docenti, ma “manco se ne accorgono”

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Con lo stipendio del prossimo mese si conclude il processo di micro-adeguamento dei compensi del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola, attraverso l’applicazione dell’indennità di vacanza contrattuale, da adottare per legge visto che il comparto si ritrova ancora una volta con il contratto scaduto da quasi sei mesi. Considerando che nella maggior parte dei casi le addizionali regionali e comunali applicate automaticamente in busta paga sono superiori, oltre un milione di dipendenti pubblici ancora una volta si ritrova con il salario fermo e al di sotto del costo della vita. Secondo Marcello Pacifico, presidente del sindacato Anief, “il tutto avviene al netto degli incrementi del 3,48% dello scorso anno e degli arretrati ridicoli accordati dal Governo Gentiloni. Anief avrebbe da tempo individuato le risorse per raddoppiare gli aumenti previsti, a legislazione vigente, ma continua a non essere considerato, né convocato ai tavoli di contrattazione nazionale, malgrado che il rinnovo delle Rsu della primavera del 2018, sommato al numero ufficiale di iscrizioni, abbia sancito la rappresentatività del giovane sindacato”. 

PERCHÉ CAMBIANO GLI STIPENDI

Dopo l’introduzione di una prima tranche, risalente allo scorso mese di aprile, quando furono aggiunti in busta paga dai 3,90 euro del collaboratore scolastico ai 5,60 euro di un docentedelle superiori, l’accreditamento degli arretrati, sotto forma di conguaglio, dell’elemento perequativo nello stipendio del mese di maggio 2019, l’adozione a giugno dell’indennità di vacanza contrattuale in base al “gradone” di appartenenza e non più come unico gradone, come fatto per i mesi di aprile e maggio, il prossimo mese assisteremo all’ultima operazione di adeguamento. 

LA POSIZIONE DEL SINDACATO

Secondo Anief siamo alle solite. Dopo l’euforia pre e post elezioni politiche, i compensi mensili e annuali assegnati al personale scolastico continuano ad essere tra i più bassi a livello di pubblica amministrazione e rispetto a quelli percepiti dai colleghi che lavorano oltre confine, dove in media si lavora anche meno ore. Anief ha già spiegato quali sono le ragioni che hanno portato a questo intollerabile gap retributivo: si va dall‘invalidità finanziaria nelle assunzioni per via dell’abolizione del primo gradone stipendiale voluto dal CCNL del 4 agosto 2011 e coperto dalla Legge 128/12, alla disparità di trattamento negli scatti stipendiali tra personale a tempo determinato e indeterminato, contraria al diritto dell’Unione Europea, come certificato dalla Cassazione; dal mancato adeguamento dell’organico di fatto all’organico di diritto, che continua ad essere attuato dallo Stato per contenere la spesa nell’erogazione del servizio scolastico, fino al disallineamento degli stipendi dall’inflazione, misurabile in dieci punti percentuali dell’attuale stipendio rispetto al blocco decennale del contratto e agli aumenti dell’ultimo rinnovo per il 2016/2018. 

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Aumentare gli stipendi dei docenti italiani: lo dice (di nuovo) Bruxelles

Bandiera dell'Unione Europea Europa Unita

Nel mirino di Bruxelles finiscono anche gli stipendi dei docenti italiani che «rimangono bassi rispetto agli standard internazionali e rispetto ai lavoratori con un titolo di istruzione terziaria. Le retribuzioni crescono più lentamente rispetto a quelle dei colleghi di altri paesi e le prospettive di carriera sono più limitate, basate su un percorso di carriera unico con promozioni esclusivamente in funzione dell’anzianità anziché del merito». Il risultato del particolare contesto italiano è una «scarsissima attrattiva della professione di insegnante per le persone altamente qualificate e in un effetto disincentivante sul personale docente, che a sua volta ha un impatto negativo sui risultati di apprendimento degli studenti.» 

Secondo Il Sole 24 Ore, “è certamente vero che le retribuzioni dei docenti italiani sono basse, e sarebbe quindi giusto innalzarle, ciò è reso difficile da altre “peculiarità” della professione, a cominciare dalla dimensione extra large della platea”. Il quotidiano legato a Confindustria fa anche una “considerazione sul merito. A oggi le busta paga dei prof crescono esclusivamente per anzianità, vale a dire con il mero passare del tempo in cattedra. Tutti i tentativi di introdurre una differenziazione degli stipendi legati al merito e alla valutazione è fallita: da Berlinguer, ai progetti Gelmini, al famoso bonus merito di 200 milioni di euro annui voluto da Matteo Renzi. Ma utilizzato in larga parte per garantire gli aumenti dell’ultimo Ccnl”. 

La posizione di Anief

A renderlo noto tramite comunicato stampa è il giovane sindacato Anief.

Per Anief è “difficile non essere d’accordo sul pasticcio introdotto con la Buona Scuola di Renzi. Però ricordiamo che ci sono anche 3 miliardi di euro che secondo la riforma dell’ultimo Governo Berlusconi si sarebbero dovuti assegnare proprio per premiare i docenti migliori e impegnati attivamente: questa possibilità non ha mai avuto seguito, ma la norma rimane sempre in vigore e quindi un Esecutivo serio e che tiene al bene della Scuola, dei suoi studenti e del personale che vi opera, ha il dovere di applicarla. Anche perché quei soldi sono stati sottratti all’Istruzione pubblica, con l’azione spietata prodotta dall’allora Ministro ‘mani di forbice’ Giulio Tremonti, attraverso la cancellazione di un terzo degli istituti scolastici e di conseguenza dell’organico”. 

Il giovane sindacato si sofferma però soprattutto sull’esiguità degli stipendi assegnati ai docenti italiani, che non trova giustificazione nemmeno nel numero di ore di insegnamento frontale, né nell’espletamento di funzioni correlate obbligatorie, come i collegi dei docenti, i consigli di classe, gli scrutini, i colloqui con i genitori, la preparazione e correzione dei compiti e tanto altro. “Anzi, per dirla tutta, i docenti italiani svolgono più ore a settimana di lezione rispetto alla media europea. Dagli ultimi confronti internazionali risulta che il disavanzo esiste sia nella scuola primaria (22 contro 19,6) che nella secondaria superiore (18 contro 16,3). Solo alle medie il carico di ore è leggermente minore rispetto alla media del vecchio Continente”. 

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Stipendio docenti, Anief: “Incontro inutile al Miur”

Anief Sciopero

“Siamo stufi, Bussetti ci convochi”. Questa la richiesta di Anief attraverso una nota stampa in cui bolla l’ultimo incontro al Miur sul tema dell’aumento stipendio docenti “inutile”.

“Le parti – si legge nel comunicato stampa – starebbero focalizzando le attenzioni sull’atto di indirizzo, il quale però non può essere emanato per il rinnovo del CCNL 2019/2021 sino a quando non si firmerà l’accordo quadro sulla nuova rappresentatività sindacale. Inoltre, non esiste in Parlamento alcuna nota di aggiornamento del DEF che vada oltre la parziale indennità di vacanza contrattuale introdotta con lo stipendio dello scorso mese di aprile e i micro-aumenti previsti da giugno, e superi gli ulteriori tagli al settore dell’istruzione fino al 2045.”.

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “si continua a parlare di aumenti degli stipendi a tre cifre ma poi ci si accorge che dopo gli incrementi del 3,48% e gli arretrati ridicoli, di un anno fa, finora si è provveduto ad introdurre solo una parziale indennità di vacanza contrattuale. Per il resto, lo stesso accordo del 24 aprile, solo vaghe promesse. Così gli stipendi rimangono da fame, tra i più bassi della pubblica amministrazione e quasi tutti i colleghi d’Europa, a livello stipendiale, continuano a guardarci dall’alto. Questo lo sanno bene alcuni raggruppamenti politici, uno in particolare, che non perde occasione di sponsorizzare l’autonomia differenziata agganciandola ad improbabili aumenti riservati, peraltro, ad alcune Regioni, nel tentativo di convincere il personale a dare supporto all’iniziativa incostituzionale”. 

“Noi, che rimaniamo con i piedi per terra, continuiamo a dire no alle gabbie salariali e sì ad un incremento di stipendio per tutti i dipendenti scolastici degno di questo nome. Come si sono trovati i soldi per il reddito di cittadinanza – conclude il sindacalista autonomo – ora si trovino per chi percepisce oggi uno stipendio ancora ben al di sotto del costo della vita”.

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Sciopero scuola 17 maggio, Pacifico (Anief) a Italia Stampa: “Scioperiamo per stipendi docenti e GaE, e per una scuola migliore”

marcello pacifico anief

“Protestiamo per i diritti dei lavoratori della scuola e per un’istruzione migliore. Ecco i punti della piattaforma per discutere i quali è stato richiesto un incontro con il presidente del Consiglio e si è deciso di manifestare a piazza Montecitorio, il 17 maggio, ancora una volta”.

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, a Italia Stampa, ha rilasciato un’intervista, durante la quale ha discusso dello sciopero che avrà luogo venerdì 17 maggio, con manifestazione di fronte a Montecitorio, e della necessità di riaprile le GaE, oltre alla questione dello stipendio, che andrebbe adeguato all’aumento del costo della vita

Il presidente Marcello Pacifico ha affermato che “Anief ha deciso di manifestare insieme a Cobas e Unicobas il 17 maggio a piazza Montecitorio e quindi di confermare lo sciopero a cui aveva aderito e che hanno sospeso, e non cancellato, le altre sigle sindacali dopo l’accordo con il governo, che ci è sembrato e ci sembra insufficiente: in pratica, alla fine non si risolvono i problemi concreti della scuola. Sul precariato sembra si voglia ritornare ai concorsi straordinari, quando è evidente che dopo anni e anni di insegnamento nelle scuole bisognerebbe reclutare questi precari, o attraverso la riapertura delle Graduatorie a Esaurimento o, per chi non è abilitato, attraverso i corsi abilitanti, che permettono di utilizzare il doppio canale di reclutamento” 

“Per quanto riguarda gli stipendi, anche gli impegni assunti per innalzarli continuano a essere slegati da un concetto di fondo, cioè che gli stipendi non possono essere disallineati rispetto all’inflazione; infatti bisogna adeguare gli stipendi all’aumento del costo della vita. Noi, tra l’altro, come sindacato, abbiamo trovato delle risorse da sempre appartenenti al fondo della scuola, che provenivano da tagli, cifre che non sono mai state destinate a quello per cui erano state deputate, cioè per la carriera del personale scolastico”, ha concluso il leader del sindacato risultato rappresentativo in occasione del rinnovo delle Rsu nel 2018.

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Svolgono lo stesso lavoro, ma sono pagati di meno: maestri e docenti laureati pagati con stipendi da diplomati, la denuncia ANIEF

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Svolgono lo stesso lavoro ma vengono remunerati di meno: in questa condizione si trovano circa 300 mila insegnanti della scuola pubblica. L’Ufficio Studi del sindacato ha realizzato un focus: considerando le ore di lezione settimanali, il grado di responsabilità, il coinvolgimento professionale e la complessità dell’offerta formativa, ha constatato che non vi è alcuna differenza. Una norma afferma in modo esplicito che in Italia si considera di pari dignità la formazione iniziale di ogni docente. Nella stessa condizione sono gli Itp e i docenti di sostegno laureati. Se poi si guarda all’Europa, esce fuori il solito raffronto impietoso.

Un insegnante laureato che svolge attività di insegnamento nella scuola del primo ciclo, per quale motivo deve percepire uno stipendio inferiore a quello dei colleghi della secondaria anch’essi laureati? A chiedere spiegazioni all’amministrazione pubblica è il sindacato Anief, dopo avere raccolto una lunga serie di richieste di equiparazione stipendiale. 

LO STUDIO ANIEF

Sulla base di diversi parametri oggettivi, l’Ufficio Studi dell’organizzazione sindacale ritiene che l’osservazione sia pertinente: le ore di lezione settimanali svolte da un docente della scuola primaria e dell’infanzia sono superiori a quelle del secondo ciclo; il grado di responsabilità quotidiana nell’affidamento degli alunni, in tenera età risulta il più alto; il grado di coinvolgimento professionale, anche con le famiglie, non è certo da meno rispetto a quello che si instaura nella secondaria; se è infine vero che il livello di complessità dell’offerta formativa è minore, c’è però da constatare che la minore ricettività ad apprendere degli alunni rende comunque sempre molto impegnativo il raggiungimento quotidiano e finale degli obiettivi. 

A tutto questo c’è da aggiungere, poi, una precisa norma, contenuta nella Legge 53 del 2003: all’articolo 5 comma I lettera A, infatti, c’è scritto in modo esplicito che in Italia si considera di pari dignità la formazione iniziale di ogni docente. Questo significa che ai fini della collocazione professionale, anche stipendiale, non conta la scuola dove si opera servizio, ma il titolo di accesso: un titolo, peraltro, che per la stessa scuola del primo ciclo oggi è proprio quello della laurea. 

IL RAFFRONTO CON L’EUROPA

Tutti questi aspetti sono ben considerati in diversi altri Paesi europei, dove, infatti, lo stipendio dei docenti con laurea viene assegnato prescindendo dal tipo di insegnamento che si svolge. In Irlanda e Danimarca, ad esempio, lo stipendio iniziale è il medesimo per tutti i cicli scolastici, salvo poi differenziarsi lievemente a fine carriera. In Portogallo, Slovenia, Grecia, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, i compensi dei docenti della scuola pubblica non si differenziano mai, né ad avvio carriera né al termine. 

Ma anche laddove si attuano delle differenze tra chi insegna nel primo ciclo e chi nel secondo, va considerato che in Europa la remunerazione annua complessiva di un docente della primaria è decisamente superiore, in alcuni casi doppia, rispetto a quella dei nostri maestri laureati: il caso della Germania è emblematico, visto che appena assunto un docente delle elementari tedesche percepisce oltre 45 mila euro, contro i 24 dei nostri maestri; al termine della carriera il maestro tedesco supera i 60 mila euro, contro appena i 35 mila euro di chi svolge lo stesso lavoro nel Belpaese e a condizioni orarie e generali pressoché uguali. A questo proposito, Anief ricorda che in Italia i compensi nella scuola risultano i più bassi della pubblica amministrazione, dopo che hanno perso mille euro di potere d’acquisto solo negli ultimi sette anni, non certo compensati dall’irrisorietà degli aumenti dello scorso aprile e la quota forfettaria di arretrati insignificante e nemmeno dall’applicazione dell’indennità di vacanza contrattuale scattata ad aprile e ritoccata nel prossimo mese di giugno, peraltro anche incompleta. 

Così si giunge alla conclusione più amara, quella che in Italia i maestri laureati della scuola primaria vengono penalizzati due volte: prima di tutto perché sono pagati meno degli altri laureati e poi perché dovrebbero percepire un salario più alto di almeno il 30%. Lo stesso discorso, inoltre, vale per gli Itp laureati delle superiori, anche loro degradati economicamente. Ma l’apice dell’assurdo del nostro sistema remunerativo scolastico si raggiunge, probabilmente, con gli insegnanti di sostegno laureati, giunti a questo delicato genere di docenza attraverso il livello inferiore (il VI anziché il VII): praticamente, svolgono lo stesso lavoro dei colleghi, sono in possesso del medesimo titolo di studio, hanno quindi un’identica preparazione complessiva, ma vengono pagati di meno. 

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF

“Come presidente dell’Anief, che dalla sua nascita combatte le ingiustizie nella scuola – dichiara Marcello Pacifico, leader del giovane sindacato nazionale neo rappresentativo – ritengo che questo problema debba essere affrontato nei tavoli di contrattazione con il Ministero dell’Istruzione: l’amministrazione pubblica, infatti, non può continuare ad utilizzare certi stratagemmi per fare cassa sui lavoratori. Un insegnante laureto ha affrontato in ogni caso una lunga serie di esami universitari, con notevoli sacrifici e costi annessi, ha acquisito un’abilitazione all’insegnamento e vinto un concorso pubblico per arrivare alla cattedra. Se le condizioni di partenza solo le stesse e il lavoro che svolge è uguale o comunque rientra nella stessa professionalità, per quale motivo permane tale discriminazione?” 

(fonte: Comunicato Stampa ANIEF)

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Gradone 3-8 mesi, il Tribunale del Lavoro di Trieste decide l’applicazione anche per i docenti immessi in ruolo dopo il 2011

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Anche il Tribunale del Lavoro di Trieste dà piena ragione alle tesi Anief e applica il previgente gradone stipendiale 3-8 anni anche ai docenti immessi in ruolo dopo il 2011 con almeno un anno di servizio a termine precedente al 2011. “La clausola di salvaguardia – spiega il leader di Anief Marcello Pacifico – prevista nel contratto economico del 2011 deve essere applicata anche a chi ha prestato servizio da precario prima del 2011. I tribunali ci stanno dando ragione e confermano che prevedere questo beneficio solo per quanti avessero in essere solo un contratto a tempo indeterminato è in palese contrasto con le norme comunitarie”. Anief ricorda a tutti i propri iscritti che è ancora possibile aderire allo specifico ricorso 

Arrivano, infatti, due sentenze dal Tribunale del Lavoro di Trieste ottenute dai legali Anief Fabio Ganci, Walter Miceli e Mirella Pulvento che accolgono le tesi del nostro sindacato e confermano il diritto dei docenti immessi in ruolo dopo il 2011, ma con almeno un anno di precariato svolto negli anni precedenti, all’applicazione della “clausola di salvaguardia” che riconosce il mantenimento economico del gradone stipendiale “3-8 anni” molto più favorevole. Le due sentenze, di identico tenore, evidenziano con chiarezza come precedentemente al 2011 “sembra che non possa porsi in dubbio che l’insegnante abbia iniziato e terminato l’intero anno scolastico e, quindi, abbia sostanzialmente, svolto la stessa attività dei colleghi a tempo indeterminato, con acquisizione di analoga esperienza che ha aumentato la professionalità per l’anno successivo”. Il Miur, inoltre, non ha saputo indicare “ragioni oggettive idonee a giustificare la diversità di trattamento in casi del genere e, quindi, ne discende che viola il principio di non discriminazione la disposizione che esclude qualsivoglia riconoscimento dell’anzianità di servizio prevista dall’art. 526 d.lgs. 297/94 durante il precariato, così come le analoghe clausole della contrattazione collettiva che vanno disapplicate”. 

Il Giudice, dunque, richiamando le conclusioni già rassegnate, in ordine all’equiparabilità del servizio reso dalla docente durante il precariato rispetto a quello svolto dagli insegnanti di ruolo, dichiara senza ombra di dubbio che “deve ritenersi che anche alla stessa vada applicata la clausola di salvaguardia prevista dal CCNL del 19 luglio 2011 e che, quindi, abbia diritto a percepire il valore retributivo della fascia stipendiale 3-8 anni fino al conseguimento della fascia retributiva 9-14 anni” riconoscendo, inoltre, “il diritto della ricorrente, ad ottenere il riconoscimento dell’anzianità di servizio derivante dai periodi di servizio, in forza dei contratti stipulati con il Ministero nei periodi sopraindicati, in base ai criteri di cui all’art. 485 d.lgs. 297/94 ed il diritto alle eventuali differenze retributive per l’anzianità in tal modo maturata”