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Riforma regionale scolastica, Anief ribadisce il suo no: l’istruzione non è un ‘affare locale’

sede Miur Trastevere Roma

Prosegue l’iter della regionalizzazione dell’istruzione, dando seguito alla riforma dell’articolo 116 della Costituzione (fino ad ora mai attuato); è previsto, infatti, il 15 febbraio l’incontro fra Governo e Regioni. A fare pressioni verso ad una maggiore autonomia, in materia scolastica, sono le Regioni: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Marcello Pacifico (Anief) replica: “Siamo pronti ad opporci con tutte le nostre forze contro l’eventuale approvazione di progetti di regionalizzazione di servizi pubblici basilari come la scuola e la sanità. Confidiamo nella lungimiranza dei parlamentari, a partire dal primo partito di governo, il M5S, che in alcune occasioni ha mostrato dubbi sulla fattibilità del provvedimento. Perché la scuola non è un ‘affare locale’. Piuttosto che perdere tempo dietro all’autonomia regionale, si provveda ad introdurre norme che favoriscano l’adozione di organici differenziati, sulla base di effettive necessità territoriali, l’incremento dell’occupazione e dei livelli di istruzione, la riduzione dei tassi di dispersione. Anche perché – conclude Pacifico – la regionalizzazione si tradurrebbe in un ulteriore passo indietro del Meridione rispetto alle regioni cosiddette virtuose”.

Per quanto riguarda gli stipendi la retribuzione base resta nazionale, ma le Regioni potranno proporre contratti di secondo livello, incentivi e premi che potranno servire a trattenere gli insegnanti, rendendo però più onerosa la scuola per i contribuenti. Una delle ultime novità è che la regionalizzazione dovrebbe comportare anche il trasferimento del personale scolastico dalle dipendenze statali a quelle regionali, ma con alcuni distinguo: secondo quanto risulta ad alcuni quotidiani, questa condizione sarebbe stata richiesta da Veneto e Lombardia, ma non dall’Emilia Romagna.

La regionalizzazione avrebbe come effetto anche la stabilizzazione del personale nelle regioni dove si comincia a lavorare, a dispetto della bocciatura dell’emendamento nel decreto semplificazioni che prevedeva il blocco dei cinque anni per il personale in servizio sul quale Anief ha messo le mani avanti reputandolo incostituzionale. Per poter richiedere trasferimento, a questo punto, per i neoassunti serviranno accordi tra Regioni o tra la Regione e l’amministrazione centrale del Miur.

Il presidente di Anief ha ricordato che tutti i tentativi di regionalizzazione sino a ora condotti non sono andati in porto, con i tribunali sempre schierati per la palese incostituzionalità del tentativo di introdurre la nuova norma. Valgono per tutte le sentenze n. 242/2011 della Consulta che hanno bloccato le nuove norme proposte dalla provincia autonoma di Trento, in riferimento all’art. 92, c. 2bis, legge 5/2006, sull’inserimento in coda del personale iscritto in graduatorie diverse da quelle provinciali trentine e a “super servizio attribuito” al lavoro svolto nelle scuole trentine o ancora alla precedenza di accesso agli asili nido riservata ai residenti o lavoratori per almeno 15 anni nella regione Veneto.

Va poi ricordato che nell’ambito del processo di attribuzione (art. 117) delle competenze relative alle norme generali sull’istruzione (art. 116, lettera n) bisogna tenere conto del rispetto degli articoli 3, 4, 16, 51, 97 della Costituzione, come ribadito dalla stessa Consulta in tema di reclutamento degli insegnanti, residenza professionale e servizi legati ai soli residenti: un tentativo di questo genere è incostituzionale. Lo stesso destino riguarda il recente ddl presentato dalla Lega al Senato, che introduce il domicilio professionale o ancora il divieto di trasferimento nella mobilità (per almeno 5 anni), appena bocciato dall’Aula del Senato dopo le forti perplessità espresse dal Capo dello Stato.

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Riforma Scuola 2019: cosa cambia per i docenti

ccnl comparto scuola soldi

Accesso ai concorsi, stop alla mobilità, modifica delle prove, queste le principali novità della Riforma della Scuola 2019. Si tratta di una serie di provvedimenti che cambiano i requisiti necessari ai docenti per ottenere una cattedra. Ecco i principali cambiamenti.

Requisiti di accesso ai concorsi

Tra le novità della Riforma Scuola 2019, per accedere ai concorsi i candidati dovranno essere in possesso di una laurea e devono aver conseguito 24 crediti formativi in discipline antropo – psico – pedagogiche ed in metodologie e tecnologie didattiche. Sono però esentati dai 24 CFU i candidati che sono in possesso di abilitazione per un’altra classe di concorso. I precari storici che avranno svolto tre annualità di servizio, negli otto anni precedenti al concorso, avranno il 10% dei posti riservati.

Cambiano le prove

Novità anche nelle prove da sostenere. Per i posti comuni ci saranno due prove scritte e una orale. Per le competenze linguistiche, invece, non ci sono modifiche nella Riforma Scuola 2019. Sarà valutata la conoscenza di una lingua straniera europea almeno di livello B2. Diverse le prove per il sostegno, con uno scritto e un orale sulla pedagogia speciale, la didattica per l’inclusione scolastica e le varie metodologie.

Riforma Scuola 2019: stop mobilità

Addio mobilità. I candidati che vinceranno il concorso rimarranno nella stessa scuola, dove hanno svolto l’anno di prova, per almeno 4 anni, a meno che non siano in soprannumero o cha siano in possesso di 104. Il concorso diventa abilitante quindi, tutti coloro che lo supereranno, saranno automaticamente abilitati all’insegnamento.

Fondi per gli stipendi

Nella Riforma Scuola 2019, come fa sapere il Ministro Bussetti in un comunicato, sono stati stanziati i fondi per evitare la riduzione degli stipendi dei pubblici dipendenti, tra cui anche i docenti. Queste risorse aggiuntive arriveranno fino a 1,7 miliardi all’anno. In tema di fondi, per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, saranno aumentati di 174,31 milioni nel 2020 e di 79,81 milioni nel 2021.

Di Bianca Damato