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Fondi Miglioramento Offerta Formativa: l’Italia (come spesso capita) maglia nera UE

In merito ai Fondi per il Miglioramento Offerta Formativa, va detto che la loro ripartizione serve infatti a rendere “vivo”, riassume Orizzonte Scuola, quel Fondo Unico per il miglioramento dell’offerta formativa, istituito dall’articolo 40 del CCNL 2016/2018, nel quale confluiscono tutte le risorse destinate a sovvenzionare il fondo dell’istituzione scolastica (lettera a); le attività complementari di educazione fisica (lettera b); le funzioni strumentali all’offerta formativa (lettera c); gli incarichi specifici ATA (lettera d); i progetti nelle aree a forte rischio sociale (lettera e); le ore eccedenti per le sostituzioni del personale (lettera f); le attività di recupero nella scuola secondaria di II grado (comma 5 lettera b); le risorse del bonus per la valorizzazione del merito dei docenti (comma 2 lettera a), aggiunto nell’ultimo biennio a seguito di una modifica di quanto inizialmente stabilito dalla Legge 107/2015. 

FONDI DIMEZZATI

Si tratta di attività centrali per ogni istituzione scolastica, quali possono essere le funzioni assunte annualmente dal personale, le sostituzioni dei colleghi assenti, i corsi di ripetizione e gli sportelli didattici attivati per far recuperare gli alunni in difficoltà. E per rendersi conto dalla scarsità di risorse messe a disposizione da chi governa oggi la scuola, proprio per finanziare queste attività e molte altre altrettanto meritevoli di attenzione, basterebbe ricordare che a seguito dei tagli ingiustificati attuati negli ultimi anni, rispetto ai fondi del 2011 questi fondi risultano praticamente dimezzati. 

I numeri non hanno bisogno di commenti. Il rapporto “Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe 2017/18”, esaminando gli stipendi degli insegnanti delle scuole pubbliche pre-primarie, primarie e secondarie di 42 Paesi europei, si è soffermato sulle principali variazioni degli stipendi tabellari negli ultimi tre anni ed ha confrontato gli stipendi medi effettivi dei docenti con il PIL pro capite e con i guadagni medi di altri laureati. Dallo studio deriva che l’importo degli stipendi medi lordi dei nostri insegnanti è pari a 28.147,00 euro, somma che ha perso oltre mille euro di potere d’acquisto solo negli ultimi sette anni e ci colloca negli ultimi posti rispetto agli insegnanti delle maggiori economie dell’UE. 

LA MAGLIA NERA NELL’UE

I Paesi che occupano i primi dieci posti per i compensi annui medi lordi percepiti sono la Danimarca con 60.444,00 euro; la Germania con 55.926,00 euro; l’Austria con 48.974,00 euro; i Paesi Bassi con 47.870,00 euro; il Belgio con 44.423,00 euro; la Finlandia con 44.269,00 euro; la Svezia con 40.937,00 euro; il Regno Unito con 37.195,00 euro; la Francia con 33.657,00 euro; il Portogallo con 29.941,00 euro. 

A rendere ancora più amaro il confronto è la riflessione sugli aumenti degli ultimi quattro anni riguardante Paesi non certo più avanti dell’Italia, dove gli incrementi sono stati superiori al 5% (mentre in Italia abbiamo assistito alla manfrina con cui lo scorso anno, dopo quasi un decennio di blocco, è stato accordato un deludente 3,48% per tutti i dipendenti pubblici): in particolare, stiamo parlando, tra i tanti, della Bulgaria, dell’Estonia, della Lettonia, della Repubblica Ceca, dalla Romania, della Slovacchia e pure dell’Islanda. 

Il gap si fa sentire anche per le progressioni di carriera. Anche laddove sono non di molto superiori a quelle previste dai passaggi stipendiali del contratto collettivo dell’Italia, comunque l’approdo al compenso massimo (il 50% in più di quello iniziale) si raggiunge anche dopo soli 25 anni di carriera (accade in Svizzera). Mentre nella vicina Francia, l’incremento massimo è del 70% dello stipendio iniziale e si raggiunge dopo 30 anni di servizio. Invece, in Italia l’apice dello stipendio scatta solo dal 35esimo anno in poi. 

“Leggendo, infine, la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanze 2019 – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief -, va rimarcato che non occorre farsi illusioni: almeno fino al 2022, considerando i tagli sicuri e i bassissimi investimenti, è molto difficile che l’Italia riuscirà a risalire la classifica. Ecco perché occorre assolutamente inserire nello stipendio tabellare tutte le voci oggi previste per la categoria. Lo stesso bonus merito potrebbe essere considerato per questo scopo, attraverso una riformulazione del contratto. A patto, però, che si torni ad una consistenza economica adeguata, quindi al 2015, quando si finanziò con 700 milioni di euro: oggi – conclude Pacifico – la sua consistenza si è ridotta a 130 milioni, un altro pessimo segnale che la dice lunga sulla considerazione dei nostri governanti per chi opera ogni giorno nelle nostre scuole”. 

(fonte: Ufficio Stampa ANIEF)