Un dato allarmante viene fuori da un articolato dossier pubblicato dal Corriere della Sera: l’Italia è il Paese col “più basso numero di laureati in Europa”. Tra le cause di quello che sembra un pericoloso tracollo c’è – secondo il famoso quotidiano – c’è il numero chiuso che è tornato prepotentemente al centro del dibattito nei mesi scorsi.
Nel ’99 (a capo del Governo c’era Massimo D’Alema) si impose il numero chiuso “a livello nazionale per medici, dentisti, infermieri, fisioterapisti, veterinari, architetti e maestre”, mentre “a livello locale invece si lasciava ai singoli atenei la facoltà di disporre del numero chiuso per i corsi che prevedevano l’uso di laboratori o l’obbligo di tirocini”.
“Si è iniziato con Biologia e Farmacia, diventate ripiego temporaneo per aspiranti medici eliminati al primo turno in attesa di riprovarci l’anno dopo. Poi un po’ ovunque. Quest’anno su 4.560 corsi di laurea solo 2.827 sono ad accesso libero; 732 sono quelli a numero chiuso programmati dal Miur, a cui si aggiungono 1.001 corsi decisi dagli atenei”.
Corriere della Sera
Secondo il Corriere, sono stati così persi 10mila docenti in 10 anni. In sintesi il meccanismo innescatosi è il seguente: meno iscritti, meno docenti.
Anief: “Notizia che non fa che confermare le nostre perplessità”
Tra le prime reazioni all’articolo c’è quella di ANIEF. Il giovane sindacato, attraverso il suo leader Marcello Pacifico, stigmatizza il comportamento del Ministero: “La situazione attuale deve necessariamente mutare affinché gli eventi possano raddrizzarsi. È di poche settimane fa la notizia, basata sui dati pubblicati dall’Istat, di come solo un dottore di ricerca su 10 diventi professore; infatti, a sei anni dal conseguimento del dottorato, appena il 10% di coloro che conseguono il titolo riesce a svolgere poi la professione dell’insegnante. Noi lo sosteniamo da dieci anni, auspicando soluzioni e proponendo anche emendamenti al testo della legge di Stabilità: è necessario ripartire dalla stabilizzazione dei ricercatori, impossibilitati a passare al ruolo della docenza. Lo abbiamo fatto nuovamente, puntando al rilancio della figura del ricercatore a tempo indeterminato, attraverso la creazione di un albo nazionale”.