“Sul rinnovo del contratto della scuola, come per quello degli altri dipendenti pubblici, la verità comincia a venire a galla: dopo aver parlato di adeguamento ai compensi europei, di valorizzazione dei nostri insegnanti, i soldi messi da parte nella legge di bilancio AC n. 1334, per assicurare il rinnovo del contratto, sono così pochi – soltanto 14 euro -, lo 0,7%, in attesa di prendere il doppio alla firma del contratto”. Lo afferma l’ANIEF in una nota. “Il Ministro dell’Istruzione dice che sono un punto di partenza, anche se a leggere il testo della manovra non sembrerebbe visto che si stanziano somme triennali. E comunque sia, per Marco Bussetti il governo va ringraziato per avere evitato che i compensi di tanti docenti e Ata si riducessero dal prossimo gennaio, per via della perequazione non coperta. Di aumenti veri, però, non se ne parla. Ecco perché Anief ha chiesto di riallineare gli stipendi attraverso l’integrale recupero del tasso di inflazione reale certificato dall’Istat negli ultimi dieci anni, superiore al 12%. Con la copertura della spesa, assicurata dalle risorse stanziate dal Fondo per il reddito di cittadinanza”.
A quantificare la cifra risibile è stata in queste ore la testata Repubblica, ricordando che il “ministro dell’Istruzione Marco Bussetti cinque giorni fa ha fatto sapere ai membri della commissione Cultura della Camera che in Legge di bilancio ci sono i soldi – 1,7 miliardi di euro – per evitare l’arretramento di 15-20 euro rispetto al contratto precedente (si chiama perequazione) e, quindi, risorse per un aumento dello stipendio dell’1,9 per cento. L’uno e nove lordo. Significa – continua il quotidiano – una cifra di 23 euro (sempre lordi) che nell’arco di tre anni salirà a 38. Ventitré euro – l’aumento per il 2019 – sono meno di un terzo del minimo garantito l’8 febbraio scorso dal Dicastero Fedeli, che chiuse un contratto aperto da nove anni con una crescita della busta paga tra gli 80,40 euro e i 110,40. Su uno stipendio medio di 1.400 euro netti (32.600 lordi, appunto), l’aumento netto il prossimo anno sarebbe pari a 14 euro”.
Il Ministro dell’Istruzione ha replicato ai numeri non con le solite parole di circostanza, ma imponendo un ragionamento davvero particolare: “Ci sono tutti i margini per inserire ulteriori risorse per il rinnovo contratti – dice Bussetti -. Questo non è il momento di generare allarmi, ma di lavorare tutti insieme per raggiungere l’obiettivo. Che è sostenuto e condiviso dal governo. Incontrerò personalmente i sindacati prima dell’approvazione della legge di bilancio proprio per lavorare insieme. Sulle risorse e anche su una possibile pre-intesa in vista del rinnovo”.
“Nel frattempo – ha continuato Bussetti – voglio ricordare che proprio grazie all’intervento economico già programmato in legge di bilancio dal nostro governo stiamo scongiurando un taglio allo stipendio per 850.000 insegnanti. Taglio che sarebbe scattato a gennaio visto che il precedente governo non ha stanziato abbastanza risorse durante l’ultimo rinnovo contrattuale per mantenere gli aumenti previsti attraverso il cosiddetto elemento perequativo dopo il primo anno”.
“A sentire il Ministro – continua ANIEF – i lavoratori pubblici dovrebbero ringraziare il governo. Soprattutto quelli della scuola, visto che l’Aran ha certificato che negli ultimi anni le buste paga dei nostri docenti e Ata sono addirittura diminuiti, unico caso dell’intera amministrazione pubblica. L’attuale esecutivo, infatti, si sarebbe preoccupato di coprire le somme mancanti degli aumenti assicurati dal precedente governo. Senza andare molto oltre”.
“Siamo alla follia – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – perché a fronte di appena 14 euro netti di incremento sullo stipendio più basso tra i docenti d’Europa, dopo la Grecia e i Paesi dell’Est, sarebbe sbagliato indignarsi. Invece, ci dice Bussetti, occorre essere grati per la mancata riduzione degli stipendi, frutto dalla copertura della perequazione. E bisogna essere anche fiduciosi per il futuro. A dispetto dell’inconsistenza degli aumenti, dettata dal fatto che il governo si è limitato a sbloccare l’indennità di vacanza contrattuale, senza coprire quella passata e non recuperando, quindi, nemmeno la soglia dell’inflazione. A differenza dei contratti del comparto privati, per i quali le percentuali di incremento stipendiale sono state decisamente maggiori”.
“Per ovviare a questa grave discrepanza – continua il sindacalista autonomo –, con una modifica all’articolo 21 della manovra di fine anno, rispetto al blocco contrattuale avvenuto tra il 2008 e il 2016 e la progressiva perdita d’acquisto dei salari degli stati, in barba agli articoli 36 e 39 della Costituzione, abbiamo chiesto di riallineare gli stipendi attraverso l’integrale recupero, in percentuale, del tasso di inflazione reale certificato dall’Istat, superiore al 12%. Con la copertura della spesa, assicurata dalle risorse stanziate dal Fondo per il reddito di cittadinanza”, conclude Pacifico.