Le dichiarazioni pubbliche sulla volontà politica di produrre per i lavoratori della scuola incrementi di almeno cento euro, con tanto di accordo sottoscritto con il premier Giuseppe Conte, risalgono a oltre un anno di fa. Da allora, i tre ministri che si sono succeduti hanno preso l’impegno, parlando di avvicinamento degli stipendi dei docenti italiani a quelli dei colleghi europei: prima Marco Bussetti, poi Lorenzo Fioramonti e ora Lucia Azzolina hanno confermato l’intenzione.
Per passare, però, dagli 80 euro lordi oggi finanziati per il rinnovo del contratto come per tutto il pubblico impiego e per salvaguardare l’elemento perequativo servono ulteriori risorse. Per Marcello Pacifico, leader del sindacato rappresentativo Anief, “il taglio del cuneo fiscale e l’estensione del cosiddetto bonus Renzi ad altre fasce di lavoratori contribuenti non basta certamente a valorizzare una professione che appare svenduta. Bisogna trovare nuove risorse da includere nel Def di primavera, prologo della prossima legge di bilancio: operazione che abbiamo ribadito come necessaria e urgente, durante l’incontro tenuto a Palazzo Vidoni con la ministra della PA Fabiana Dadone”
L’idea degli aumenti a tre cifre per circa un milione di docenti della
scuola pubblica è in circolo nella politica dai tempi del ministro leghista
Marco Bussetti, ma anche “Il suo successore ha puntato in alto, chiedendo
stanziamenti consistenti per il mondo della scuola. Richieste che gli sono
costate le dimissioni, come promesso ad inizio legislatura”, scrive oggi Orizzonte
Scuola. Per colmare almeno parte del gap, pari a mille
euro medi in meno a fine carriera rispetto ai redditi dei docenti che
operano in alcuni Paesi europei, è notizia di questi giorni, fornita
dall’attuale Ministro, la disponibilità per gli insegnanti di fondi per
aumenti medi di 100 euro lordi, pari al 3,7%
in più rispetto ad oggi.
“Faccio un appello al ministro Azzolina: apra subito i tavoli per il rinnovo
del contratto, chieda subito lo stanziamento di soldi insieme al ministro
Manfredi. Si chiedano stanziamenti di fondi nuovi nel Def. Con queste
condizioni possiamo cominciare a sederci per parlare del contratto. Le
condizioni sono quindi: mettere dei soldi in più per la scuola, rivedere i
profili professionali entro la primavera, trasformare in elemento stabile
l’elemento perequativo degli 80 euro, adeguare gli stipendi all’inflazione. Si
vada poi ad analizzare cosa è successo in questi anni nella scuola in termine
di bornout, per vedere se anche il lavoro dell’insegnante debba essere
considerato come lavoro usurante e quindi aprire una finestra per le pensioni”.
Lo dice a chiare lettere, intervistato
da Orizzonte Scuola, il leader di Anief, Marcello Pacifico. Chiede una
svolta a livello economico, una risposta ai timori espressi dall’ex ministro
Fioramonti, che hanno indotto infine l’ex titolare del Miur a rassegnare le
dimissioni negli ultimi giorni del 2019. “Nessuno – aggiunge Pacifico, nel
colloquio con il sito specializzato – parla più dei 3 miliardi chiesti
dall’ex ministro Fioramonti, per firmare i contratti. Nessuno parla più di che
cosa fare dell’elemento perequativo, degli 80 euro che Anief chieda venga messo
a regime. Sono
iniziati in Aran i primi incontri sulla revisione dei profili professionali
e però si è ancora in alto mare per il personale Ata e per il personale della
ricerca e dell’università”.
“Nessuno – prosegue Pacifico – ancora vuole riconoscere il lavoro che si fa
a scuola come lavoro usurante. Se non si parla di tutte queste, andare a
discutere se è opportuno o meno levare a chi ha funzioni di sistema per
sviluppare meglio la scuola dell’autonomia, levare quei soldi per dare qualche
mancia in più a ciascun insegnante, nella gerarchia delle priorità ci sembra
ipocrita affrontare l’argomento del bonus merito con tanto vigore oggi, quando
poi si è sempre più poveri e sviliti nel lavoro che si fa.
Uno studente su tre che inizia le superiori non prenderà mai il diploma di maturità. Sono numeri impietosi quelli sulla dispersione scolastica: “almeno 130 mila adolescenti che iniziano le superiori – dice Tuttoscuola – non arriveranno al diploma. Irrobustiranno la statistica dei 2 italiani su 5 che non hanno un titolo di studio superiore alla licenza media e di un giovane su 4 che non studia e non lavora. Come se non bastasse, tra chi si diploma e si iscrive all’università, uno su due non ce la fa. Complessivamente su 100 iscritti alle superiori solo 18 si laureano. E poi un quarto dei laureati va a lavorare all’estero. E tra i diplomati e laureati che restano, ben il 38% non trova un lavoro corrispondente al livello degli studi che hanno fatto. Un disastro”.
Di buono
c’è che negli ultimi anni, il tasso di abbandono scolastico è diminuito:
tra il 2013 e il 2018 hanno detto addio in anticipo ai professori 151mila
ragazzi, il 24,7 per cento del totale, contro il 36,7 del 1996-2000.
Sicuramente risultati incoraggianti, ma ancora insufficienti, che non
fermano la dispersione scolastica. Perché, continua la rivista, spesso chi
abbandona i libri così precocemente finisce nel buco nero dei Neet, quei
giovani che non studiano e non lavorano di cui fa parte un ventenne su tre del
Mezzogiorno.
Ma perché
lasciare la scuola prima ha un costo sociale: Tuttoscuola fa degli esempi
significativi, ricordando che “la disoccupazione tra chi ha solo la licenza
media è quasi doppia rispetto a chi è arrivato al diploma e quasi il quadruplo
di chi è laureato; l’istruzione incide sulla salute, riducendo i costi per la
sanità; comporta meno criminalità e meno costi per la sicurezza”. Ne consegue
che “prevenire la dispersione scolastica avrebbe costi molto più bassi di
quelli che derivano dalla necessità di gestirne le conseguenze sociali.
Servirebbe un grande piano pluriennale. Eppure l’attenzione oggi va molto di
più al milione di migranti sbarcati negli ultimi vent’anni che ai tre milioni e
mezzo di adolescenti italiani che nello stesso arco di tempo hanno abbandonato
la scuola, rendendo più povero, dal punto di vista educativo e non solo, il
Paese”.
Su questa
piaga, tutta italiana, Anief ricorda che pesa molto la riduzione del tempo
scuola, avviata con la Legge 133 del 2008. E al decremento di ore settimanali
si aggiunge la mancata adozione del tempo pieno, che nel 2017/18 riguardava
solo 6.361 scuole primarie, il 42,3% delle 15.038 funzionanti, con un
incremento di appena 47 nuovi istituti rispetto all’anno precedente. Con il Sud
a preoccupare ulteriormente, visto che la percentuale media è al di sotto del
10%.
Negli
ultimi anni Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, ha affrontato più
volte il problema, anche in audizione presso le commissioni parlamentari di
competenza. Il sindacalista ricorda l’importanza, ai fini della trasmissione
del valore della formazione, degli “agenti culturali che operano nei territori,
del sostegno sociale da assicurare ai giovani che presentano difficoltà e
spesso provenienti da famiglie non in grado di sostenerli. È inoltre
indispensabile – prosegue Pacifico – introdurre degli organici in tutte le zone
a rischio, facenti registrare un alto tasso dispersivo e di stranieri,
immettendo in ruolo i tanti precari abilitati esclusi dalle GaE benché già
selezionati, formati, abilitati e vincitori di concorso”.
Sinora,
però, anche l’attuale Governo non sembra andare in questa direzione: basta dire
che nel Documento
di Economia e Finanza 2019, sottoscritto ad
aprile dal Governo Conte, a pagina 31 si conferma solo quanto già previsto
dalla Legge di Bilancio approvata a fine 2018: “il
rinnovo contrattuale per il triennio 2019-2021 prevede, in base alle risorse
stanziate dalla legge di Bilancio per il 2019, incrementi dell’1,3 per
cento per il 2019, dell’1,65 per cento per il 2020 e dell’1,95 per cento
complessivo a decorrere dal 2021”, prevedendo quindi aumenti ben lontani dall’8% di inflazione
che oggi sovrasta le buste paga di docenti e Ata.
In generale, sempre il Def 2019 ci dice che l’investimento
per la scuola passerà, a causa del tasso di denatalità, dal 3,9% del 2010 al
3,1% del 2040. Ma la riduzione non è generalizzata, perché, nello stesso
periodo, la spesa socio-assistenziale e sanitaria si indica in crescita,
passando rispettivamente dall’1,0% all’1,3% e dal 7,1% al 7,6%. Si prevede,
quindi, una riduzione di spesa legata agli organici del personale, proprio a
seguito della riduzione delle nascite e quindi del numero di alunni: dando però
in questo caso per scontato che non andrà a cancellare le tanti classi “pollaio”, quelle che invece il M5S, con un apposito disegno di legge,
ha detto di volere debellare.
Anief accoglie positivamente il senso di realismo espresso dal vicepremier Luigi Di Maio, che ha ipotizzato un inserimento in Def di risorse per i docenti precari: “Sono parole che ci riempiono di speranza – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – perché significa che all’interno del Governo ci sono anche dei ministri che ragionano con senso pratico: quella delle supplenze di lunga durata è diventata una prassi per la scuola pubblica italiana. Nessun Paese europeo si ritrova ad ogni inizio di anno scolastici con oltre 120 mila supplenti annuali, con l’aggravante di avere pure selezionato e formato altrettanti maestri e insegnanti per poi, però, obbligarli a fare i precari di lunga data, anche a vita, perché nel frattempo il loro canale di stabilizzazione, le GaE, è stato chiuso senza una motivazione valida”.
“Sul percorso da intraprendere – sottolinea il sindacalista autonomo – non vi sono dubbi: da una parte ci sono da assumere i vincitori dei vari concorsi, dall’altra, tutti gli abilitati all’insegnamento che attraverso le GaE troverebbero quell’accesso al ruolo oggi invece negato da norme ingiuste e discriminanti o ancora attraverso l’estensione del doppio canale di reclutamento alle graduatorie d’istituto. È chiaro che, come Anief, continueremo la nostra battaglia per fare assumere a tempo indeterminato, con automatismo, tutti i supplenti che operano su posto vacante da almeno 36 mesi e prevedere pure adeguati risarcimenti per l’attesa indebita”.
“Parallelamente – conclude Pacifico – il sindacato continuerà a difendere strenuamente i maestri con diploma magistrale, conseguito fino al 2002, che sono stati ingiustamente licenziati, sia supplenti sia di ruolo, con la più grande battaglia giudiziaria conosciuta dallo Stato italiano che citeremo al tribunale di Roma, pure in giudizio per violazione della stessa normativa comunitaria.
Il Governo avrebbe in serbo il progetto di attuare delle assunzioni per i docenti precari con risorse che dovrebbero essere stanziate nel nuovo Def, il Documento di Economia e Finanza, e nella prossima Legge di Bilancio: a farlo capire è stato il vice-premier Luigi Di Maio, secondo il quale “prima di riformare la scuola bisogna finanziarla e dobbiamo investire molte più risorse sia con il nuovo Def sia con la legge di Bilancio per garantire continuità didattica per gli studenti che vuol dire meno precariato per gli insegnanti e un’edilizia scolastica che sia all’altezza”.
Per Di Maio, la scuola non ha bisogno di altre riforme e, per quante ne ha subite, ha subito anche degli shock. Si deve lavorare, ha quindi sintetizzato Orizzonte Scuola, per studenti e insegnanti: ciò che serve alla scuola, ha affermato ancora il vice-premier, che è anche Ministro del Lavoro, sono quelle risorse necessarie ad assicurare la continuità didattica agli studenti, cosa che vuol dire meno precariato per gli insegnanti e un’edilizia scolastica che sia all’altezza.
Cinquecento euro all’anno in più in busta paga. Ma non chiamatelo aumento di stipendio: in realtà coprono “solo l’indennità di vacanza contrattuale, meno della metà del rinnovo approvato nel 2019 dopo quasi dieci anni di blocco”. Questo il commento di ANIEF sullo stanziamento dei fondi previsti dal Documento di Economia e Finanza (DEF) ai fini dell’incremento stipendiale dei dipendenti statali. Tra questi, interessati allo stanziamento nel comparto scuola sono circa 1,2 milioni tra docenti e personale ATA.
Le cifre: 1.1 miliardi di euro per il 2019, 1.425 per il 2020 e 1.775 a partire dal 2021, che porteranno nelle loro buste paga appena 500 euro annui. “I compensi, in realtà, non sono veri e propri aumenti, ma coprono solo l’indennità di vacanza contrattuale, meno della metà del rinnovo approvato nel 2019 dopo quasi dieci anni di blocco”, spiega ANIEF che aggiunge che la quota, peraltro, non è nemmeno aggiornata.
Secondo Marcello Pacifico (Anief-Cisal): “Con un impegno annuo che si aggira sul miliardo e mezzo di euro, in pratica, si vuole far passare il concetto che ci stiamo avvicinando agli stipendi degli insegnanti europei. Mentre per colmare davvero questo divario servirebbe uno stanziamento finanziario dieci volte tanto“.
Per questo, ANIEF ribadisce l’esigenza di avviare la vertenza giudiziaria per il recupero dei crediti, ricorrendo per il conferimento dell’indennità di vacanza contrattuale per il periodo 2015-2018, in modo da recuperare almeno il 50% del tasso IPCA non aggiornato nell’ultimo triennio. Chi non ricorre al giudice rischia di subire quello che ha appena registrato l’Aran per il periodo 2001-2016, con i compensi annui addirittura in discesa.
“Gli investimenti in istruzione e cultura sono fondamentali. Dal Parlamento con le Commissioni Cultura di Camera e Senato abbiamo chiesto che in legge di bilancio ogni risorsa e ogni spreco risparmiato dai ministeri competenti siano reinvestiti sempre in Istruzione e Cultura, perché in Europa siamo ultimi in investimenti in Cultura e terzultimi in investimenti in Istruzione. Cultura e Istruzione generano lo sviluppo dell’immediato futuro”.
Parole di Luigi Gallo, presidente della VII Commissione Cultura della Camera.
Il parlamentare dice la sua quindi nella querelle del DEF e dei preoccupanti tagli che potrebbero incidere ancora sul comparto scuola e istruzione.
Parole e fatti
Il punto della questione resta più o meno questo: alle parole a tutela degli investimenti nella scuola pubblica sembrano non seguire i fatti, ossia i provvedimenti reali. Ma il problema esiste e non è un caso che lo stesso ministro del Lavoro Luigi Di Maio affermi:
“C’erano soldi che non si spendevano per l’alternanza scuola-lavoro, perché molti dirigenti e docenti si rifiutavano di mandare gli studenti a friggere le patatine da Mc Donald’s e fare finta di fare Alternanza scuola-lavoro. Abbiamo preso una parte di quei soldi che non si spendevano e abbiamo scongiurato l’abbassamento degli stipendi agli insegnanti”
Gli stipendi italiani e quelli stranieri
Quello degli stipendi dei docenti italiani resta un altro tema di scottante attualità. Non è certo notizia di oggi la disparità di trattamento tra gli insegnanti del nostro Paese e quelli del resto d’Europa.
A tal proposito, Forza Italia ha depositato un disegno di legge. Simona Vietina afferma:
“Cogliamo con favore l’interesse del vicepremier Di Maio che afferma la necessità di equiparare gli stipendi dei docenti italiani a quelli dei colleghi europei. Affermazioni che arrivano proprio a seguito del deposito della proposta di legge, di cui sono prima firmataria, per l’istituzione del tavolo tecnico per l’adeguamento del trattamento economico dei docenti di ogni ordine e grado. Auspichiamo, dunque, alla luce delle sue affermazioni, che la proposta di legge venga al più presto calendarizzata”.
A favore di un aumento degli stipendi del corpo insegnanti italiano si è schierato anche Marco Bussetti, ministro dell’Istruzione.
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