Uno studente su tre che inizia le superiori non prenderà mai il diploma di maturità. Sono numeri impietosi quelli sulla dispersione scolastica: “almeno 130 mila adolescenti che iniziano le superiori – dice Tuttoscuola – non arriveranno al diploma. Irrobustiranno la statistica dei 2 italiani su 5 che non hanno un titolo di studio superiore alla licenza media e di un giovane su 4 che non studia e non lavora. Come se non bastasse, tra chi si diploma e si iscrive all’università, uno su due non ce la fa. Complessivamente su 100 iscritti alle superiori solo 18 si laureano. E poi un quarto dei laureati va a lavorare all’estero. E tra i diplomati e laureati che restano, ben il 38% non trova un lavoro corrispondente al livello degli studi che hanno fatto. Un disastro”.
Di buono
c’è che negli ultimi anni, il tasso di abbandono scolastico è diminuito:
tra il 2013 e il 2018 hanno detto addio in anticipo ai professori 151mila
ragazzi, il 24,7 per cento del totale, contro il 36,7 del 1996-2000.
Sicuramente risultati incoraggianti, ma ancora insufficienti, che non
fermano la dispersione scolastica. Perché, continua la rivista, spesso chi
abbandona i libri così precocemente finisce nel buco nero dei Neet, quei
giovani che non studiano e non lavorano di cui fa parte un ventenne su tre del
Mezzogiorno.
Ma perché
lasciare la scuola prima ha un costo sociale: Tuttoscuola fa degli esempi
significativi, ricordando che “la disoccupazione tra chi ha solo la licenza
media è quasi doppia rispetto a chi è arrivato al diploma e quasi il quadruplo
di chi è laureato; l’istruzione incide sulla salute, riducendo i costi per la
sanità; comporta meno criminalità e meno costi per la sicurezza”. Ne consegue
che “prevenire la dispersione scolastica avrebbe costi molto più bassi di
quelli che derivano dalla necessità di gestirne le conseguenze sociali.
Servirebbe un grande piano pluriennale. Eppure l’attenzione oggi va molto di
più al milione di migranti sbarcati negli ultimi vent’anni che ai tre milioni e
mezzo di adolescenti italiani che nello stesso arco di tempo hanno abbandonato
la scuola, rendendo più povero, dal punto di vista educativo e non solo, il
Paese”.
Su questa
piaga, tutta italiana, Anief ricorda che pesa molto la riduzione del tempo
scuola, avviata con la Legge 133 del 2008. E al decremento di ore settimanali
si aggiunge la mancata adozione del tempo pieno, che nel 2017/18 riguardava
solo 6.361 scuole primarie, il 42,3% delle 15.038 funzionanti, con un
incremento di appena 47 nuovi istituti rispetto all’anno precedente. Con il Sud
a preoccupare ulteriormente, visto che la percentuale media è al di sotto del
10%.
Negli
ultimi anni Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, ha affrontato più
volte il problema, anche in audizione presso le commissioni parlamentari di
competenza. Il sindacalista ricorda l’importanza, ai fini della trasmissione
del valore della formazione, degli “agenti culturali che operano nei territori,
del sostegno sociale da assicurare ai giovani che presentano difficoltà e
spesso provenienti da famiglie non in grado di sostenerli. È inoltre
indispensabile – prosegue Pacifico – introdurre degli organici in tutte le zone
a rischio, facenti registrare un alto tasso dispersivo e di stranieri,
immettendo in ruolo i tanti precari abilitati esclusi dalle GaE benché già
selezionati, formati, abilitati e vincitori di concorso”.
Sinora,
però, anche l’attuale Governo non sembra andare in questa direzione: basta dire
che nel Documento
di Economia e Finanza 2019, sottoscritto ad
aprile dal Governo Conte, a pagina 31 si conferma solo quanto già previsto
dalla Legge di Bilancio approvata a fine 2018: “il
rinnovo contrattuale per il triennio 2019-2021 prevede, in base alle risorse
stanziate dalla legge di Bilancio per il 2019, incrementi dell’1,3 per
cento per il 2019, dell’1,65 per cento per il 2020 e dell’1,95 per cento
complessivo a decorrere dal 2021”, prevedendo quindi aumenti ben lontani dall’8% di inflazione
che oggi sovrasta le buste paga di docenti e Ata.
In generale, sempre il Def 2019 ci dice che l’investimento
per la scuola passerà, a causa del tasso di denatalità, dal 3,9% del 2010 al
3,1% del 2040. Ma la riduzione non è generalizzata, perché, nello stesso
periodo, la spesa socio-assistenziale e sanitaria si indica in crescita,
passando rispettivamente dall’1,0% all’1,3% e dal 7,1% al 7,6%. Si prevede,
quindi, una riduzione di spesa legata agli organici del personale, proprio a
seguito della riduzione delle nascite e quindi del numero di alunni: dando però
in questo caso per scontato che non andrà a cancellare le tanti classi “pollaio”, quelle che invece il M5S, con un apposito disegno di legge,
ha detto di volere debellare.