Nella notte arriva il via libera per le date del 7 e dell’11 gennaio per il ritorno a scuola in presenza. Fonti ben informate parlano del frutto di una mediazione tra le posizioni del ministro PD Franceschini e i responsabili dei dicasteri in forza a Italia Viva, che hanno perorato quindi l’idea che da sempre professa il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina del rientro subito dopo l’Epifania. Insomma, è ancora una volta sulla scuola che si consuma lo scontro tra le varie anime di questo Governo.
Il rientro in presenza degli studenti delle superiori avverrà comunque, come indicazioni del Consiglio dei Ministri, in presenza al 50 percento.
Il decreto contenente le nuove misure per il contenimento della pandemia da Covid-19 entrerà in vigore il 7 gennaio.
Ma le Regioni decideranno autonomamente
Nonostante la “fumata bianca” a seguito dello scontro interno al Governo resta da dire che le Regioni potranno comunque applicare misure più restrittive di quelle nazionali. Se Toscana e Lombardia hanno già annunciato che si atterranno alle disposizioni nazionali (i toscani addirittura pressavano per il ritorno in presenza già il 7 anche per le superiori), altre come la Campania adotteranno misure ben diverse da quelle “suggerite” a livello nazionale (rientro in presenza solo per la scuola dell’infanzia e prima e seconda elementare, per poi ripartire in presenza orientativamente il 18 per scuole elementari e medie e il 25 per le superiori). Anche nelle altre regioni si valutano misure ben più restrittive di quelle nazionali, fino al caso del Friuli Venezia Giulia e del Veneto in cui i governatori Fedriga e Zaia hanno già annunciato che le loro regioni proseguiranno con la Dad fino a fine gennaio.
Le posizioni dei sindacati
La FLC Cgil aveva già espresso nelle scorse ore perplessità per la riapertura il 7 gennaio. Le fa eco ANIEF. Dura anche la Gilda degli Insegnanti: “Tra i doveri, sanciti dalla legge, che spettano al sindacato c’è anche quello di intervenire affinché siano garantita la sicurezza dei lavoratori. Ebbene, date le attuali condizioni sanitarie dovute all’andamento della curva epidemiologica e alle misure insufficienti adottate finora, prima fra tutte il sistema di tracciamento dei contagi che è andato in tilt in numerose zone d’Italia, riteniamo che il ritorno in classe il 7 gennaio rappresenti un azzardo”, dichiara Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti.
“Siamo docenti e sappiamo perfettamente che l’unica vera scuola è quella in presenza e siamo i primi a sostenere che la didattica a distanza è una soluzione emergenziale. Ma, data la situazione attuale, non è affatto peregrino il rischio di riaprire le scuole il 7 gennaio e di doverle richiudere dopo pochi giorni”, conclude Di Meglio.
Sui concorsi, per portare in ruolo 80 mila nuovi docenti su meno della metà dei posti vacanti, siamo alla stretta finale, ma le posizioni dei partiti di maggioranza sulle modalità di svolgimento continuano ad essere ben diverse. È quanto emerso oggi, a seguito delle ultime dichiarazioni sul tema dell’immediato reclutamento. All’ora di pranzo, in Audizione alla Camera la ministra Lucia Azzolina ha rivendicato la pubblicazione dei tre bandi di concorso pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 28 aprile scorso definendola “un grande risultato, che tutto il Governo può rivendicare con orgoglio. È mio impegno assumere i precari a settembre e ho sempre lavorato in questa direzione”. Disco verde dalla titolare del MI anche per la trasformazione delle graduatorie d’istituto in provinciali “digitalizzando tutto”. Il Pd però sostiene che non vi sono le condizioni per svolgere i concorsi a breve e rilancia le selezioni per titoli.
Il ministero sta lavorando per permettere in sicurezza lo svolgimento delle prove del concorso straordinario della scuola secondaria di primo e secondo grado, ha annunciato la ministra dell’Istruzione. In particolare, nel Decreto Rilancio sarà prevista la possibilità di svolgere le prove in sedi decentrate. Infine, la ministra ha accennato ai 16mila posti in più (8.000 allo straordinario e 8.000 all’ordinario), che saranno aggiunti ai posti già approvati per il concorso.
IL CONTESTO SFAVOREVOLE
Il contesto sfavorevole, però, potrebbe compromettere l’obiettivo: il concorso straordinario per 32 mila posti, se confermato in questi termini descritti dalla ministra dell’Istruzione, molto difficilmente potrà infatti svolgersi in tempi rapidi. Inoltre continua a contenere dei paletti sugli accessi che se non rimossi con gli emendamenti al decreto legge 22 sulla Scuola produrranno dei ricorsi serialiprobabilmente senza precedenti per quantità e tipologia.
IL PD VUOLE IL CONCORSO PER TITOLI
A rendersi conto della particolare situazione, a livello di posti da coprire, considerato che si sta andando verso le250 mila cattedre libere da assegnare, ma anche come tempi ridottissimi e rischi epidemiologici, sono oramai quasi tutti i partiti politici. Su come gestire il concorso straordinario sono sempre di oggi le parole di Andrea Marcucci, capogruppo Pd al Senato, che ha voluto così anche rispondere alle parole della senatrice Bianca Laura Granato (M5s), che si era detta certa dell’appoggio del Pd sulla procedura selettiva da svolgere in estate.
“Continuo a pensare che il concorso sia la via maestra per accedere all’insegnamento. Eccetto durante una pandemia. È questa non piccola differenza che evidentemente sfugge alla Ministra Azzolina e alla deputata 5 stelle Granato”, ha affermato Marcucci.
“I 16mila posti in più sono una buona notizia, che non cambia la nostra volontà di modificare il percorso voluto dalla Ministra Azzolina. Non è tempo di grandi eventi né per lo sport e la musica, non può esserlo magicamente per la scuola – conclude il capogruppo PD – È tempo di avviare una procedura per titoli e servizio che consenta con certezza di assumere i docenti precari con 3 anni di esperienza entro l’inizio del nuovo anno scolastico”.
IL CONCORSO SALVA-TUTTO
In effetti, a sbrogliare l’intricata matassa potrebbe essere proprio l’attivazione di una procedura concorsuale per titoli, che tenga conto del posizionamento nelle graduatorie: certamente quelle previste dalla legge vigente, quindi le GaE e di merito, ma in subordine, laddove dovessero avanzare ulteriori posti vacanti, si dovrebbe attingere dalle graduatorie d’istituto. Da aggiornare e trasformare in provinciali. L’intenzione, espressa dalla stessa senatrice Bianca Laura Granato, è stata ribadita sempre oggi in audizione alla Camera dalla ministra dell’Istruzione: “Stiamo lavorando, insieme ai senatori, per realizzare subito le graduatorie provinciali per le supplenze, digitalizzando tutto”, ha detto Azzolina.
GLI EMENDAMENTI AL SENATO
La soluzione al problema del precariato rimane quella contenuta nei 30 emendamenti Anief al decreto legge n. 22 sulla Scuola che la VII commissione Cultura del Senato, anche sulla base delle osservazioni di altre tre commissioni di Palazzo Madama, ha cominciato ad esaminare tenendo conto delle indicazioni provenienti dalle altre commissioni. In quelle proposte di modifica vi sono le indicazioni per ripartire con la scuola in presenza senza correre rischi per la salute di discenti, docenti e personale, imponendo ad esempio non più di 15 alunni per classe, come per risolvere il problema cronico della supplentite: una procedura che si realizzerebbe sia attraverso la collocazione in organico di diritto di tutti posti oggi assegnati di fatto, a partire da sostegno, sia con l’inserimento in ruolo dei supplenti con almeno 24 mesi, i quali se non abilitati verrebbero comunque adeguatamente formati alla professione nell’anno di prova con verifica di idoneità precedente alla conferma del contratto a tempo indeterminato.
Marcello Pacifico: “Se le cose stanno così – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – al compimento dell’opera, per salvare la scuola dal caos assicurato in corrispondenza dell’inizio del prossimo anno scolastico, mancano solo pochi tasselli: il primo è quello di permettere l’immissione in ruolo su graduatorie d’istituto. Non utilizzarle per le stabilizzazioni sarebbe un peccato capitale, perché lascerebbe tantissimi posti ai precari senza esperienza, da individuare tramite Mad, e renderebbe inutile anche quest’anno l’autorizzazione del contingente di assunzioni in ruolo da parte del ministero delle Finanze, come è accaduto nel 2018 e la scorsa estate, quando oltre la metà delle quasi 60 mila convocazioni andarono perse per mancanza di aspiranti”.
La deputata pentastellata Rosa Alba Testamento ha chiesto “percorsi di
specializzazioni continuativi per la formazione dei docenti di sostegno,
attraverso la promozione di modelli didattici inclusivi. Occorre rassicurare le
famiglie sulla presenza di tale personale, attraverso la pubblicazione di
numerosi bandi di concorso, che possano essere continuativi nel tempo, per
assicurare l’effettiva copertura delle classi e delle cattedre vacanti e
disponibili”. Il presidente Anief, Marcello Pacifico, si dichiara
favorevole a condizione che, però, siano inseriti in organico di
diritto gli attuali posti in deroga, siano rispettate le ore di insegnamento
previste dal PEI di ogni alunno, siano riaperti gli attuali corsi di TFA
sostegno senza numero programmato e per il personale con servizio affinché
possa partecipare al nuovo concorso riservato. Leggi l’intervista su Orizzonte
Scuola.
LA PROPOSTA DEL M5S
Dal Governo si continua a parlare di sostegno come settore da migliorare e
riformare. Dopo la
presa di posizione del sottosegretario all’Istruzione, Lucia Azzolina, la
quale in
un’intervista televisiva ha detto espressamente di volere agire e «lavorare
per aumentare il numero degli insegnanti di ruolo sul sostegno, trasformando
parte di quelle cattedre che oggi sono instabili, ovvero destinate alle
supplenze, il cosiddetto organico di fatto, in cattedre di
diritto», è ancora il M5S a schierarsi: il partito di maggioranza
relativa ha presentato una risoluzione affinché il Governo si impegni a
garantire maggiore controllo del settore.
Rosa Alba Testamento, portavoce molisana del
MoVimento Cinque Stelle e componente della Commissione Cultura alla Camera dei
Deputati, prima firma della risoluzione, ha giustificato la sua richiesta
spiegando che “molte famiglie italiane con bambini e ragazzi in situazioni
di disabilità devono ogni giorno scontrarsi con le inadempienze e le carenze di
un sistema scolastico che non riesce ad assicurare la copertura delle cattedre
scoperte a causa dell’assenza di insegnanti di sostegno e quest’anno, rispetto
al passato, la situazione è ancor più critica”.
“L’anno scolastico appena iniziato – ha continuato la pentastellata
– si sta caratterizzando per la carenza del personale docente di sostegno
con conseguenti disagi sia per gli alunni che per le famiglie, sempre più
preoccupate dall’incertezza di tale vitale figura per il proprio figlio. Si
tratta di una situazione d’emergenza, anche per gli stessi insegnanti”.
IL CONSENSO DI FIORAMONTI
Anche il ministro dell’Istruzione si è detto favorevole ad ampliare i corsi
TFA sostegno: potrebbero essere varati al più presto, per dare una pronta
risposta alla cronica mancanza di insegnanti di sostegno nelle scuole
italiane. “Abbiamotroppe cattedre di sostegno
scoperte – ha affermato Lorenzo
Fioramonti illustrando le linee programmatiche del suo mandato in
Senato – e troppi insegnanti di sostegno non formati”. Questo impegno si
concretizzerà nel prossimo avvio del corso Tfa sostegno V ciclo, al quale
potranno partecipare anche i docenti idonei alle precedenti selezioni.
COSA SERVE PER ACCEDERE AI CORSI
È allo studio del Miur – conferma la rivista Orizzonte
Scuola – un ampliamento del numero dei posti nelle varie Università. I
posti totali, già autorizzati, sono 40.000. I requisiti di accesso finora noti:
abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure laurea coerente con le
classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso + 24 CFU
in discipline antropo-psico-pedagogiche e in metodologie e tecnologie
didattiche; gli ITP continueranno a partecipare con il diploma fino al 2024/25.
Da quella data laurea triennale + 24 CFU.
L’INTERVISTA AL PRESIDENTE ANIEF
Intervistato proprio da Orizzonte
Scuola, Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, spiega la posizione
del sindacato autonomo che dalla sua nascita è vicino agli alunni disabili,
alle loro famiglie e ai docenti di sostegno: nel decreto scuola, dice il
sindacalista, “non si parla di gente senza specializzazione che viene chiamata
a insegnare sul sostegno. La quale viene dunque ritenuta idonea per insegnare
ai nostri bambini. Ma non idonea per essere assunta in ruolo neppure sotto la
condizione di dover conseguire il titolo di specializzazione su sostegno.
Invece si dovrebbe chiedere e dire: caro docente, tu per due anni hai insegnato
sul sostegno? Non lo potevi fare, ma l’hai fatto? Allora ti faccio partecipare
al concorso su sostegno a una condizione: che se vinci dovrai conseguire il
titolo di specializzazione”.
L’AZIONE DEL GIOVANE SINDACATO
Anief ricorda che tra le ultime azioni a tutela degli alunni e dei docenti
specializzati, ha avanzato ricorso
conto lo schema di decreto ministeriale sugli organici sul sostegno
agli alunni disabili, cui è possibile ancora aderire gratuitamente ad
adiuvandum. E ha inoltre riattivato un’iniziativa di successo degli ultimi
anni: la campagna legale gratuita ‘Sostegno,
non un’ora in meno!’. A questo proposito, il sindacato fornirà alle
famiglie che prenderanno contatto con i suoi referenti le istanze di accesso
agli atti, le informazioni utili per procedere con le diffide contro
l’amministrazione e tutta la documentazione relativa alla mancata assegnazione
delle ore richieste. Buone notizie, a ragione del sindacato sono arrivate solo
qualche giorno dalla Cassazione, che con la sentenza
n. 25101 ha ribadito illegittima la decisione degli Uffici
scolastici di ridurre le ore settimanali stabilite dal Pei. Chi
volesse informazioni, può scrivere all’indirizzo e-mail sostegno@anief.net
Per leggere l’intervista integrale “Pacifico ANIEF: 24mila assunzioni precari storici sono poche. Bisogna riaprire le Graduatorie ad Esaurimento”, cliccare qui.
Lorenzo Fioramonti, docente, classe ’77, è il nuovo Ministro dell’Istruzione italiano. Succede a Marco Bussetti, quota Lega, che ha perso il dicastero a causa delle conseguenze della crisi di Governo innescata da Matteo Salvini e che ha portato alla nascita dell’esecutivo PD – Movimento 5 Stelle e del Conte – bis.
Ed è stato proprio Bussetti a nominare Fioramonti viceministro all’Istruzione durante la precedente esperienza di Governo.
Chi è il politico Lorenzo Fioramonti
Lorenzo Fioramonti, pentastellato, laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ha manifestato già prima degli ultimi due anni interessi per la politica e per l’attivismo. Tra il ’97 e il 2000 è stato assistente parlamentare in quota Di Pietro per sviluppare “politiche per i giovani nelle periferie” (recita Wikipedia).
Nel 2018 è candidato con il Movimento 5 Stelle nel collegio uninominale di Roma Torre Angela ed entra nella Camera dei Deputati. Di lì il percorso – prima sottosegretario, poi viceministro e, con il nuovo Governo, Ministro dell’Istruzione.
Fioramonti è balzato agli onori della cronaca per aver nominato come suo segretario particolare Dino Giarrusso, uomo di cinema e spettacolo ancor prima che politico, con ruolo attinente alla comunicazione – ma anche per raccogliere le segnalazioni su presunti brogli ai concorsi universitari.
Corrado Zunino, su Repubblica, parla così del neo-ministro:
Vuole un miliardo per l’università, ed è convinto si possa trovare con micro tasse sui grandi volumi delle bibite gassate e zuccherate, delle merendine da gettone, sugli inquinanti voli aerei […] Il trio sovranista Bussetti – Valditara (capo Dipartimento) – Chinè (capo di gabinetto) non gli faceva toccar palla.
Corrado Zunino, Repubblica.it
Chi è il docente Lorenzo Fioramonti
Da un punto di vista squisitamente accademico, invece, Fioramonti risulta professore ordinario di economia politica presso l’Università di Pretoria, oltre a essere il direttore del Centro per lo studio dell’innovazione Governance (GovInn) dello stesso ateneo.Fioramonti è anche membro del Center for Social Investment dell’Università di Heidelberg, della Hertie School of Governance e dell’Università delle Nazioni Unite.
Specializzato in economia e integrazione economica europea, è anche autore di diversi libri – il più famoso è probabilmente Gross Domestic Problem: la politica dietro il numero più potente del mondo (del 2013).
Diventa pubblico il documento tecnico con cui il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel rivolgersi al Capo del Governo, assume una forte posizione contraria rispetto al progetto leghista, che attraverso l’approvazione di una serie di elementi incostituzionali porterebbe all’affossamento delle regioni del Sud. Gli esperti di legislazione, inoltre, avvertono: bisogna “garantire il ruolo del Parlamento”.
Sul progetto di
regionalizzazione della scuola, della sanità e di una serie di servizi
pubblici, le ragioni della Lega si stanno sciogliendo come neve al sole: dopo
quelle spiegate qualche giorno fa dall’on. Luigi Gallo, presidente della
Commissione Cultura della Camera, il quale oggi, in
un’intervista ad Orizzonte Scuola, ha detto che “l’autonomia si può
realizzare in tanti modi”, ma di sicuro “il M5S non permetterà un progetto che
aumenti le disuguaglianze sociali e territoriali”, ad esprimere forti dubbi sul
testo fermo in Consiglio dei Ministri è ora anche il “Dipartimento per gli
affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri”,
che ha fornito una lucida sintesi sui principali elementi di criticità, anche
sotto il profilo della legittimità costituzionale.
Con un
documento indirizzato al premier Giuseppe Conte, reso pubblico in queste
ore, gli esperti di leggi dello Stato hanno palesato il fondato rischio, in
fase di approvazione dell’importante provvedimento di legge, di aggiramento del
dibattito parlamentare da parte del Governo: per il Dipartimento, non basta
l’accordo tra Stato e Regioni per dar via all’applicazione dell’articolo 116,
terzo comma, della Costituzione. Gli schemi di intesa sulle ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia nelle Regioni Lombardia, Veneto ed
Emilia-Romagna hanno necessità di un passaggio legislativo.
“Nel delineare il
relativo procedimento in sede di prima applicazione – si legge nel documento
indirizzato al premier -, appare necessario garantire il ruolo del Parlamento,
assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento
dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente
incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese”. Il pericolo è quindi
che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, promotrici del progetto, possano
riuscire ad ottenere più finanziamenti a discapito delle altre regioni con già
meno servizi e risorse.
Il Dipartimento del
CdM ricorda che la “modalità di determinazione delle risorse prevede, infatti,
che la spesa destinata alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio
nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse”. Poi
esemplifica: “se una Regione virtuosa ha una spesa storica nella materia
trasferita pari al 70 per cento di quella media nazionale, e se si ipotizza che
la relativa popolazione è pari al 10 per cento di quella nazionale,
l’attribuzione di risorse non secondo il criterio storico, ma in base alla
media nazionale, farebbe salire quest’ultima del 3 per cento (perché si
perderebbe un risparmio del 30 per cento riferito al 3 per cento della
popolazione)”. La conclusione è che “risulta dunque agevole comprendere come un
tal modo di procedere implicherebbe un ingiustificato spostamento di risorse
verso le regioni ad autonomia differenziata, con conseguente deprivazione delle
altre (doverosamente postulandosi l’invarianza di spesa complessiva)”.
Le ragioni del “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri” sono in linea con quelle espresse dall’Anief. Secondo il giovane sindacato, infatti, il vero punto dolente non è il principio dell’autonomia differenziata che è affermato a chiare lettere in Costituzione e che ha una sua logica e un suo perché di esistere nel disegno costituzionale, ma la capacità dell’attuale (e non solo) classe politica di attuarlo senza creare gravi ferite a uno Stato di diritto già abbastanza fragile quale quello italiano. Basti pensare alle critiche fortissime all’attuale assetto del titolo V, parte II della Costituzione, come delineato dalla legge cost. n.3/2001, ritenuto da più parti imperfetto e da modificare.
“Sta girando un articolo che, come quando uscì la legge di bilancio, annuncia tagli di 4 miliardi sul sostegno. Stessa accusa, stessa cifra di 6 mesi fa. Ora come allora ribadiamo che le spese messe a bilancio per il triennio sono solo quelle fisse, perché i posti in deroga su sostegno vengono contabilizzati di anno in anno”. Lo sostiene la senatrice Bianca Laura Granato (M5S) in un post piccato su Facebook.
“È triste constatare – continua la Granato – come gli attacchi di cui siamo fatti oggetto non si plachino praticamente mai e si ripetano sempre uguali a se stessi… si perde tempo più a smentire che a lavorare. Piuttosto in questa settimana si concluderanno le audizioni per il correttivo al decreto legislativo 66/17. Io sono relatrice del provvedimento. Nessun taglio dunque, si correggono i danni fatti dalla Fedeli due anni fa, invece”.
“La nostra regione è zona 1 per rischio sismico. Oltre il 50 % degli edifici scolastici non è a norma, sia per la vetustà degli edifici sia perché le disposizioni in materia vengono continuamente aggiornate“. Lo denuncia la calabrese Bianca Laura Granato, senatrice in quota Movimento 5 Stelle, in un lungo post su Facebook.
“Tante- aggiunge – sono le misure a cui hanno accesso gli enti locali per l’edilizia scolastica e quella antisismica. Basta avere la capacità tecnica e la volontà di partecipare ai progetti per captare queste risorse. Bisogna che comuni e regioni attivino. Esistono anche dei mutui trentennali con oneri di ammortamento a totale carico dello stato che le regioni possono accendere presso la Banca Europea degli Investimenti per intervenire su tutti gli edifici. Quanti soldi spendono gli enti locali per gli esosi affitti ai proprietari degli immobili che ospitano scuole non idonee e malsicure? E quanto incide la volontà politica di favorire questi proprietari nella mancata soluzione a questi problemi?”.
“Diamoci una mossa ! Siamo la Regione fanalino di coda d’Italia!” è il suo appello finale.
Il Governo avrebbe in serbo il progetto di attuare delle assunzioni per i docenti precari con risorse che dovrebbero essere stanziate nel nuovo Def, il Documento di Economia e Finanza, e nella prossima Legge di Bilancio: a farlo capire è stato il vice-premier Luigi Di Maio, secondo il quale “prima di riformare la scuola bisogna finanziarla e dobbiamo investire molte più risorse sia con il nuovo Def sia con la legge di Bilancio per garantire continuità didattica per gli studenti che vuol dire meno precariato per gli insegnanti e un’edilizia scolastica che sia all’altezza”.
Per Di Maio, la scuola non ha bisogno di altre riforme e, per quante ne ha subite, ha subito anche degli shock. Si deve lavorare, ha quindi sintetizzato Orizzonte Scuola, per studenti e insegnanti: ciò che serve alla scuola, ha affermato ancora il vice-premier, che è anche Ministro del Lavoro, sono quelle risorse necessarie ad assicurare la continuità didattica agli studenti, cosa che vuol dire meno precariato per gli insegnanti e un’edilizia scolastica che sia all’altezza.
Un progetto di legge targato M5S cambierebbe la scuola, ed è difficile non accoglierlo positivamente. È la proposta di legge n. 877, presentata da deputati pentastellati e che ha come primo firmatario Lucia Azzolina e tra gli Luigi Gallo, presidente della Commissione Cultura della Camera. Da una settimana ha iniziato il suo iter di approvazione ma la strada è tutta in salita.
L’attuale normativa
Attualmente vige il DPR 81/2009, approvato dall’ultimo esecutivo Berlusconi, che ha permesso la concentrazione di alunni sino ad arrivare alla presenza di oltre 30 iscritti per classe.
“Progetto inattuabile”
Sebbene quindi sarebbe più che auspicabile per ovvie ragioni intervenire in tal senso e portare le classi a un ragionevole numero di frequentanti, l’opposizione parlamentare, in particolare il Partito Democratico e Forza Italia, riportano tutti con i piedi per terra parlando di “progetto inattuabile”, per via dei costi che comporterebbe.
Nel disegno di legge, si prevedono 338.500.000 euro per l’anno in corso e a salire per gli anni a venire fino a superare i 2 miliardi di euro a decorrere dal 2022.
C’è poi da considerare che chi conosce la scuola sa bene che l’incremento delle classi comporta, a cascata, anche delle spese indirette (di gestione, personale aggiunto, ecc.) che potrebbero far lievitare le economie preventivate dal ddl 877.
Il problema esiste, tanto che lo stesso Luigi Gallo, tra i firmatari della proposta di legge, ha fatto sapere: “Ci sarà tutto il mio impegno a chiedere le risorse necessarie al governo già per il 2020 per dare un segnale straordinario alla scuola. È una battaglia storica che vuole ridare dignità al nostro Paese, è una battaglia che si fa anche in Europa per far uscire dai vincoli di bilancio gli investimenti in istruzione e cultura. Noi in commissione continueremo a difendere il lavoro per cancellare le classi pollaio”. Quindi, di risorse al momento non se ne parla: semmai, si reperiranno, sempre se il governo si dirà d’accordo, solo a partire dal prossimo anno.
Anche per l’anno prossimo, quindi, potremmo ritrovarci con classi pure da 36 alunni. Perché, c’è scritto nella relazione illustrativa del disegno di legge “nelle scuole secondarie di secondo grado è attualmente possibile comporre classi di 33 alunni; se poi si tiene conto della possibilità di derogare fino al 10 per cento al numero massimo degli alunni per classe, prevista dall’articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, è facile comprendere come ad oggi sia legittimo e pienamente conforme alla legge comporre sezioni con ben 36 alunni”.
La situazione è seguita con attenzione dai sindacati, tra cui ANIEF che nelle scorse ore ha riassunto il tutto in una nota stampa.
Sull’autonomia e regionalizzazione del Veneto “stiamo lavorando al massimo della forza per ottenere il risultato il prima possibile”. Il disegno di legge “è andato in Consiglio dei Ministri prima di Natale, come avevamo detto. Nei prossimi giorni ci sarà un incontro sui punti risolutivi su una serie di punti”.
A dirlo è stato il vice-premier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio che nell’occasione si è sbilanciato anche sui tempi di attuazione del progetto: nel mese di febbraio, aggiunge il ministro, “deve essere pronto il documento che poi il presidente del Consiglio deve discutere con i presidenti delle Regioni”.
Qualche giorno fa invece Luigi Gallo, presidente della VII Commissione alla Camera, aveva detto che il progetto di autonomia “il M5S non lo farà. Ha costruito la sua identità sulla capacità di ridurre la scandalosa forbice di ricchezza che esiste tra cittadini, territori e regioni. È questa la vera chiave di un nuovo sviluppo”.
Solleva la questione e la sottolinea il sindacato Anief che ricorda che non si tratta di una sperimentazione una tantum: “Il primo partito di governo deve uscire allo scoperto”.
Secondo il suo presidente Marcello Pacifico, i giudici hanno sempre detto no ad un modello del genere, perché palesemente incostituzionale: “Quello che serve per risolvere i tanti problemi di gestione scolastica non è l’autonomia regionale, ma l’adozione di organici differenziati, sulla base delle esigenze territoriali, l’incremento dell’occupazione e dei livelli di istruzione, soprattutto al Sud, la riduzione dei tassi di abbandono. La regionalizzazione non farebbe altro che elevare il ritardo attuale di alcune regioni”.
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