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CdM: via libera per l’assunzione di 24mila docenti precari

consiglio dei ministri

Via libera del Consiglio dei Ministri all’assunzione di 24.000 docenti precari. Questa la principale delle misure adottate la scorsa ora nella seduta del Consiglio dei Ministri per quanto riguarda il settore della scuola, dell’università, della ricerca.

“Oggi approviamo un decreto-legge che dimostra la grande volontà di questo Governo di combattere il precariato nella scuola garantendo il numero più alto possibile di cattedre a partire da settembre 2020 – ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Lorenzo Fioramonti – è un impegno preciso quello di mettere la scuola davvero al centro del Paese perché è dalle scuole che comincia la costruzione di una nuova società. Tra le misure introdotte dal decreto-legge anche la semplificazione delle procedure per gli acquisti di beni e servizi destinati alla ricerca. Non meno importanti – aggiunge il Ministro – la proroga della scadenza dell’abilitazione scientifica nazionale e le misure per i precari della ricerca”.

Un concorso straordinario per 24.000 docenti precari

Il decreto-legge approvato nella seduta di oggi autorizza il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) a bandire un concorso straordinario abilitante per l’assunzione di almeno 24.000 docenti nella scuola secondaria statale di I e II grado per il prossimo anno scolastico (il 2020/2021). Il decreto-legge accoglie così l’accordo raggiunto nei giorni scorsi dal Ministro Fioramonti con le organizzazioni sindacali.
Il concorso – che sarà bandito contestualmente a quello ordinario – sarà per titoli ed esami e sarà riservato a tutti gli insegnanti con una anzianità pregressa di servizio di almeno 3 anni – anche sul sostegno – e di cui uno nella classe di concorso per la quale affrontano la selezione. Per l’idoneità gli aspiranti docenti dovranno ottenere una votazione minima di sette decimi in una prova scritta computer based. I vincitori saranno ammessi a sostenere un anno di prova che sarà ‘rinforzato’ con una formazione universitaria mirata per 24 crediti formativi universitari. L’anno si concluderà con un colloquio di verifica in cui bisognerà conseguire un punteggio minimo di 7/10. I vincitori del concorso dovranno rimanere almeno cinque anni nella sede di prima assegnazione per assicurare la continuità didattica.

I docenti risultati “idonei” ma non collocati in posizione utile per la nomina in ruolo potranno comunque abilitarsi all’insegnamento nella classe di concorso per la quale hanno partecipato sostenendo una prova orale (sempre con un punteggio minimo di 7/10) e un anno di formazione per l’acquisizione di 24 crediti formativi universitari.
Il decreto-legge annuncia misure anche per i vincitori dei precedenti concorsi del 2016 e del 2018: potranno scegliere di essere assunti in ruolo in una regione diversa da quella della propria graduatoria.

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Ripristinata 18app, in arrivo i fondi del Ministero

18app continuerà a essere erogata anche per i neomaggiorenni del prossimo anno. Si evince da quanto deciso nella seduta del 1 luglio 2019 del Consiglio dei Ministri. I 100 milioni di euro necessari per coprire l’erogazione del bonus Cultura per i 18enni sono di nuovo “al loro posto”.

Bonisoli: una “non notizia”

“I 100 milioni della 18App per i nati nel 2001 furono spostati momentaneamente dopo un accordo tra me e la viceministro del Mef Castelli per una questione contabile. Lo dissi allora e ora ho semplicemente mantenuto quel che avevo dichiarato”. Questo il commento netto del ministro competente in materia Alberto Bonisoli.

Gli editori: “Soddisfatti dalla riconferma delle risorse”

“Siamo soddisfatti che, facendo seguito alle rassicurazioni autorevolmente date dal ministro dei beni e delle attività culturali Alberto Bonisolie dal viceministro dell’Economia Laura Castelli, queste risorse siano state confermate”. Così commenta Ricardo Franco Levi, presidente AIE (Associazione Italiana Editori).

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Regionalizzazione, a Palazzo Chigi c’è un documento che si oppone al progetto della Lega

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (foto: wikicommons)

Diventa pubblico il documento tecnico con cui il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel rivolgersi al Capo del Governo, assume una forte posizione contraria rispetto al progetto leghista, che attraverso l’approvazione di una serie di elementi incostituzionali porterebbe all’affossamento delle regioni del Sud. Gli esperti di legislazione, inoltre, avvertono: bisogna “garantire il ruolo del Parlamento”.

Sul progetto di regionalizzazione della scuola, della sanità e di una serie di servizi pubblici, le ragioni della Lega si stanno sciogliendo come neve al sole: dopo quelle spiegate qualche giorno fa dall’on. Luigi Gallo, presidente della Commissione Cultura della Camera, il quale oggi, in un’intervista ad Orizzonte Scuola, ha detto che “l’autonomia si può realizzare in tanti modi”, ma di sicuro “il M5S non permetterà un progetto che aumenti le disuguaglianze sociali e territoriali”, ad esprimere forti dubbi sul testo fermo in Consiglio dei Ministri è ora anche il “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, che ha fornito una lucida sintesi sui principali elementi di criticità, anche sotto il profilo della legittimità costituzionale. 

Con un documento indirizzato al premier Giuseppe Conte, reso pubblico in queste ore, gli esperti di leggi dello Stato hanno palesato il fondato rischio, in fase di approvazione dell’importante provvedimento di legge, di aggiramento del dibattito parlamentare da parte del Governo: per il Dipartimento, non basta l’accordo tra Stato e Regioni per dar via all’applicazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Gli schemi di intesa sulle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno necessità di un passaggio legislativo. 

“Nel delineare il relativo procedimento in sede di prima applicazione – si legge nel documento indirizzato al premier -, appare necessario garantire il ruolo del Parlamento, assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese”. Il pericolo è quindi che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, promotrici del progetto, possano riuscire ad ottenere più finanziamenti a discapito delle altre regioni con già meno servizi e risorse. 

Il Dipartimento del CdM ricorda che la “modalità di determinazione delle risorse prevede, infatti, che la spesa destinata alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse”. Poi esemplifica: “se una Regione virtuosa ha una spesa storica nella materia trasferita pari al 70 per cento di quella media nazionale, e se si ipotizza che la relativa popolazione è pari al 10 per cento di quella nazionale, l’attribuzione di risorse non secondo il criterio storico, ma in base alla media nazionale, farebbe salire quest’ultima del 3 per cento (perché si perderebbe un risparmio del 30 per cento riferito al 3 per cento della popolazione)”. La conclusione è che “risulta dunque agevole comprendere come un tal modo di procedere implicherebbe un ingiustificato spostamento di risorse verso le regioni ad autonomia differenziata, con conseguente deprivazione delle altre (doverosamente postulandosi l’invarianza di spesa complessiva)”. 

Le ragioni del “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri” sono in linea con quelle espresse dall’Anief. Secondo il giovane sindacato, infatti, il vero punto dolente non è il principio dell’autonomia differenziata che è affermato a chiare lettere in Costituzione e che ha una sua logica e un suo perché di esistere nel disegno costituzionale, ma la capacità dell’attuale (e non solo) classe politica di attuarlo senza creare gravi ferite a uno Stato di diritto già abbastanza fragile quale quello italiano. Basti pensare alle critiche fortissime all’attuale assetto del titolo V, parte II della Costituzione, come delineato dalla legge cost. n.3/2001, ritenuto da più parti imperfetto e da modificare. 

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Consiglio dei Ministri, sì all’assunzione a tempo indeterminato di 57mila docenti

consiglio dei ministri

E’ arrivata ieri sera la notizia che migliaia di precari stavano aspettando da tempo: il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera alle assunzioni nelle scuole per l’anno scolastico 2018/2019.

Su proposta dei Ministri della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno, del collega dell’Economia Giovanni Tria e del responsabile dell’Istruzione Marco Bussetti, il Consiglio ha approvato l’autorizzazione ad assumere, a tempo indeterminato, 57.322 unità di personale docente su posti vacanti e disponibili.

Nello specifico si tratta di 43.980 docenti su posto comune e 13.342 docenti su posto di sostegno.
A corredare la notizia, le assunzioni di 46 unità di personale educativo, 212 dirigenti scolastici e 9.838 unità di personale ATA.

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Decreto dignità, una boccata d’aria per i diplomati magistrali. Ma non è finita

palazzo chigi sede governo

Il Decreto Dignità, che entro 60 giorni da ieri in pratica deve essere convertito in legge dalle Camere, ha ottenuto lo scopo di rinviare il problema. L’obiettivo da sempre dichiarato del ministro dell’Istruzione Marco Bussetti era infatti quello di permettere “la regolare partenza dell’anno scolastico”, partenza che sarebbe stata notevolmente in salita con 50mila insegnanti senza laurea improvvisamente messi alla porta dai loro istituti. Cosa che accadrà. Ma la sentenza del Consiglio di Stato è tutt’altro che alle spalle.

Cosa comporta l’approvazione del Decreto Dignità?

L’escamotage con cui si è potuta congelare l’attuale situazione lo avevamo già spiegato in questo articolo di qualche giorno fa.

Il Decreto Dignità ha infatti esteso ai diplomati magistrali quanto previsto dal d.l. 669/96 che concede alle amministrazioni “di ottemperare all’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali entro 120 giorni dalla data di comunicazione del titolo esecutivo”.

Quindi “equiparando” (passateci il termine) gli Uffici scolastici regionali alle amministrazioni. In pratica nulla è cambiato dalla sentenza del Consiglio di Stato che – in riunione plenaria – ha sentenziato che il diploma magistrale non è titolo valido per l’assunzione a tempo indeterminato.

Ma è stato preso tempo, 120 giorni: tempo necessario per rimettersi al tavolo e trovare una soluzione che risolva il problema.

Quale soluzione?

La più probabile soluzione che sembra pararsi all’orizzonte prevede un nuovo concorso pubblico. Un concorso che, vista la situazione che si è venuta a creare, potrebbe in qualche modo essere facilitato. Ma è ancora tutto da stabilirsi, anche perché la questione delle diplomate magistrali è delicata e si passa di carta in carta, di legge in legge, di cavillo in cavillo.

Cosa accade a chi è già stato licenziato?

Su qualcuno la mannaia del licenziamento era già calata: il primo caso nel Salernitano, seguito da analoghi provvedimenti nelle Marche e a Pistoia. Il decreto di fatto dovrebbe rendere nulli questi licenziamenti.

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Licenziata diplomata magistrale a Giffoni: prima “vittima” della sentenza del Consiglio di Stato

Licenziata diplomata magistrale a Giffoni: è la prima “vittima” della sentenza del Consiglio di Stato sulle diplomate magistrali. Lo riporta oggi il Corriere del Mezzogiorno.

Il tutto poche ore dopo che il Consiglio dei Ministri ha spiegato, nell’illustrare il cosiddetto Decreto Dignità, che il Miur procederà con l’esecuzione delle sentenze di merito (e il ministro Bussetti non aveva mai detto il contrario, anzi ha sempre ribadito che la sentenza c’è e va rispettata) che arriveranno tra luglio e agosto ma lo farà entro 120 giorni dall’emissione delle stesse.

Il Decreto Dignità ha infatti esteso ai diplomati magistrali quanto previsto dal d.l. 669/96 che concede alle amministrazioni “di ottemperare all’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali entro 120 giorni dalla data di comunicazione del titolo esecutivo”. Il tutto con l’obiettivo di far partire l’anno scolastico regolarmente, poi si vedrà.

Ma nonostante il “congelamento” del Governo riferito ai maestri diplomati magistrale assunti dopo lo scorrimento delle GaE, il meccanismo è già stato innestato e per i provvedimenti singoli non si ferma. La maestra di Giffoni, dopo un anno dall’assunzione, è quindi tornata nel calderone dei precari.

Cosa dice la sentenza?

Ricordiamo che lo scorso dicembre il Consiglio di Stato in riunione plenaria ha sentenziato – in estrema sintesi – che il diploma magistrale non è titolo valido per l’assunzione a tempo indeterminato.

La Corte d’Appello di Salerno, su ricorso del Miur, ha sentenziato che l’immissione in ruolo della docente al centro di questo caso – proprio in funzione di quanto stabilito dal Consiglio di Stato – era contra legem.

Il licenziamento della maestra del Salernitano rischia di essere apripista di migliaia di provvedimenti simili.

Secondo la Uil Scuola quanto accaduto in Campania dimostra “l’inefficacia del Decreto Dignità”. In un comunicato stampa diffuso nelle scorse ore il segretario generale Uil Scuola Pino Turi afferma:

Il Decreto Dignità consente all’amministrazione di adottare il provvedimento entro 120 giorni. Troppo pochi per garantire, oltre all’inizio, anche la fine dell’anno scolastico.

Nel caso di Salerno l’amministrazione si trova nelle condizioni di licenziare, con una certa discrezionalità la docente che si potrebbe venire a trovare senza posto e senza reddito, già da domani. E’ pertanto palese l’inefficacia del decreto di ieri.