Su 133 viaggi di lavoro, 80 sarebbero “immotivati”. Oltre alla diaria, extra da più di 25mila euro: su Marco Bussetti si abbatte un ciclone, a firma Repubblica.
Il quotidiano difatti ha pubblicato una certosina inchiesta sul predecessore di Lorenzo Fioramonti al Miur.
Le “missioni”, in realtà, sono sospette perché puntano tutte a Milano o in Lombardia. Insomma, vicino casa di Bussetti. Bisogna ricordare che il Ministro aveva a sua disposizione 3500 euro per i rientri a casa. Scegliere di tornare utilizzando l’escamotage della missione gli avrebbe permesso – questa l’accusa – di accedere a rimborsi che sempre Repubblica conta ammontare a oltre 25mila euro.
Bussetti: “Se ho sbagliato, l’ho fatto in buona fede”
Striminzita la replica dell’ex Ministro dell’Istruzione che risponde con un laconico: “Non ricordo”. Sempre lo stesso scarica le responsabilità su una gestione un po’ stravagante dell’agenda da parte della sua segreteria e aggiunge: “Se ho sbagliato, l’ho fatto in buona fede”.
Le repliche
“Bussetti risponda all’accusa di danno all’erario“. Il sindacato ANIEF commenta così l’inchiesta di La Repubblica sul denaro pubblico che l’ex ministro dell’Istruzione leghista avrebbe utilizzato per svolgere un alto numero di “viaggi istituzionali” definiti “sospetti”. La procura della Corte dei Conti, probabilmente, dovrà chiarire se le trasferte dell’ex titolare di Viale Trastevere, quasi sempre pro domo sua o del suo partito, erano giustificate o passibili d’abuso d’ufficio. “Di certo, in 16 mesi di Governo, Bussetti non hai mai risposto ad un invito per incontrare la nostra organizzazione sindacale rappresentativa. Ed ora la giustizia faccia il suo corso”, dichiara Marcello Pacifico presidente nazionale dell’Anief.
“Dopo un anno di annunci sul precariato con proposte di legge mai discusse, accordi mai onorati, decreti-legge non risolutivi, c’è un’unica certezza: la Commissione UE multerà il nostro Paese per il continuo abuso dei contratti a termine. Il resto è solo propaganda elettorale, come quando prima delle ultime elezioni politiche si era promesso alle migliaia di maestre col diploma magistrale che sarebbero state tutte salvaguardate, salvo ritrovarle dopo il voto licenziate. Dunque, un anno di annunci e decisioni sbagliate sul precariato”. Lo afferma Anief.
“All’inizio la proposta di legge del Presidente della VII Commissione del Senato faceva ben sperare; presentata a luglio, di un anno fa, avrebbe risolto il problema del precariato, peccato che non l’abbia mai messa ai voti. Poi il decreto legge Dignità che introduce un concorso straordinario nella scuola dell’infanzia e della primaria e rinnova di un anno i contratti al termine delle attività didattiche. La sua utilità è pari al nulla, perché alcune sentenze arrivano e fanno licenziare centinaia di maestre che avevano superato l’anno di prova. Molte altre arriveranno nel prossimo anno quando le aule rimarranno senza insegnante, tanto che lo stesso Pittoni lo scorso mese ha pensato uno straordinario bis. La soluzione, in verità, l’aveva tra le mani: riaprire le GaE che aveva votato per errore, salvo chiedere al Governo di emendare quanto da lui approvato in Senato sempre nel luglio scorso”.
“Quindi la legge di stabilità che cancella il riservato bis voluto da Renzi, ma che ricompare nell’accordo coi sindacati di Palazzo Chigi della primavera, un accordo che si sarebbe tradotto in un decreto legge che viene approvato, salvo intese, nella prima settimana di agosto e che probabilmente non vedrà ma la luce. Comunque avrebbe risolto poco e niente, perché la soluzione per risolvere il precariato passa dall’adeguamento dell’organico di fatto a quello di diritto, da organici differenziati in base alle esigenze del territorio, dalla stabilizzazione del personale abilitato e anche con 36 mesi di servizio, attraverso le graduatorie d’istituto”.
I contenuti del provvedimento saltato
“Sarebbe stato una vera fucina di provvedimenti il decreto scuola approvato martedì scorso dal Consiglio dei ministri con l’insolita modalità del “salvo intese”. La rivista Orizzonte Scuola, ha realizzato una sintesi delle misure previste: si va dall’avvio dei corsi Pas abilitanti al concorso straordinario; dalla trasformazione dei contratti al 30/06 per i diplomati magistrale con riserva, che possono essere licenziati durante l’anno in seguito alle sentenze di merito, all’adeguamento dal normativa antincendio; dalla garanzia del trasporto scolastico a modalità varie di intervento per dirigenti scolastici e tecnici del Miur; dalla proroga graduatorie concorso 2016 agli acquisti funzionali alle attività di ricerca, fino alle risorse destinate agli interventi di sostegno della ricerca. Il “cuore” del provvedimento sono, comunque, le abilitazioni e i concorsi straordinari”.
Il commento del presidente Anief
“Il nostro sindacato – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief –
avrebbe colto l’occasione di emendare il testo del decreto scuola con alcune
disposizioni che avrebbero rappresentato una valida risposta alla Commissione
europea, che minaccia l’avvio di una procedura di infrazione e salvato da
mille problemi in arrivo col nuovo anno scolastico: quello che serve è la
riapertura delle GaE, l’attivazione di un doppio canale di reclutamento
finalmente allargato alle graduatorie d’istituto, dare la possibilità a tutti i
vincitori e idonei di concorso di spostarsi di provincia. Oltre che
disposizioni migliorative per i Pas e i concorsi riservati, che però avranno
effetto non prima del 2020. Quel che va evitato subito, invece, è ritrovarsi a
settembre con le scuole senza un quarto dei docenti, la continuità didattica
non rispettata e il record di sempre di supplenze annuali”.
“Ora, che nessuno, partito politico, sindacato o associazione, faccia
l’ennesima propaganda politica sulla pelle dei precari della scuola – conclude
Pacifico -. C’è stato un anno di tempo, noi abbiamo avanzato proposte precise,
semplici, ragionevoli. Non siamo stati ascoltati. L’Europa ci ha dato ragione,
quell’Europa tanto temuta prima del voto elettorale da bloccare uno sciopero
generale in primavera che nasceva anche contro i progetti di autonomia
differenziata voluti dalla Lega. Adesso chi ha detto tanti no ai precari, ai
docenti, agli educatori e al personale Ata della scuola abbia la decenza di
tacere e di non chiedere voti o tessere. La storia ne è testimone.”
Diventa pubblico il documento tecnico con cui il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel rivolgersi al Capo del Governo, assume una forte posizione contraria rispetto al progetto leghista, che attraverso l’approvazione di una serie di elementi incostituzionali porterebbe all’affossamento delle regioni del Sud. Gli esperti di legislazione, inoltre, avvertono: bisogna “garantire il ruolo del Parlamento”.
Sul progetto di
regionalizzazione della scuola, della sanità e di una serie di servizi
pubblici, le ragioni della Lega si stanno sciogliendo come neve al sole: dopo
quelle spiegate qualche giorno fa dall’on. Luigi Gallo, presidente della
Commissione Cultura della Camera, il quale oggi, in
un’intervista ad Orizzonte Scuola, ha detto che “l’autonomia si può
realizzare in tanti modi”, ma di sicuro “il M5S non permetterà un progetto che
aumenti le disuguaglianze sociali e territoriali”, ad esprimere forti dubbi sul
testo fermo in Consiglio dei Ministri è ora anche il “Dipartimento per gli
affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri”,
che ha fornito una lucida sintesi sui principali elementi di criticità, anche
sotto il profilo della legittimità costituzionale.
Con un
documento indirizzato al premier Giuseppe Conte, reso pubblico in queste
ore, gli esperti di leggi dello Stato hanno palesato il fondato rischio, in
fase di approvazione dell’importante provvedimento di legge, di aggiramento del
dibattito parlamentare da parte del Governo: per il Dipartimento, non basta
l’accordo tra Stato e Regioni per dar via all’applicazione dell’articolo 116,
terzo comma, della Costituzione. Gli schemi di intesa sulle ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia nelle Regioni Lombardia, Veneto ed
Emilia-Romagna hanno necessità di un passaggio legislativo.
“Nel delineare il
relativo procedimento in sede di prima applicazione – si legge nel documento
indirizzato al premier -, appare necessario garantire il ruolo del Parlamento,
assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento
dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente
incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese”. Il pericolo è quindi
che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, promotrici del progetto, possano
riuscire ad ottenere più finanziamenti a discapito delle altre regioni con già
meno servizi e risorse.
Il Dipartimento del
CdM ricorda che la “modalità di determinazione delle risorse prevede, infatti,
che la spesa destinata alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio
nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse”. Poi
esemplifica: “se una Regione virtuosa ha una spesa storica nella materia
trasferita pari al 70 per cento di quella media nazionale, e se si ipotizza che
la relativa popolazione è pari al 10 per cento di quella nazionale,
l’attribuzione di risorse non secondo il criterio storico, ma in base alla
media nazionale, farebbe salire quest’ultima del 3 per cento (perché si
perderebbe un risparmio del 30 per cento riferito al 3 per cento della
popolazione)”. La conclusione è che “risulta dunque agevole comprendere come un
tal modo di procedere implicherebbe un ingiustificato spostamento di risorse
verso le regioni ad autonomia differenziata, con conseguente deprivazione delle
altre (doverosamente postulandosi l’invarianza di spesa complessiva)”.
Le ragioni del “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri” sono in linea con quelle espresse dall’Anief. Secondo il giovane sindacato, infatti, il vero punto dolente non è il principio dell’autonomia differenziata che è affermato a chiare lettere in Costituzione e che ha una sua logica e un suo perché di esistere nel disegno costituzionale, ma la capacità dell’attuale (e non solo) classe politica di attuarlo senza creare gravi ferite a uno Stato di diritto già abbastanza fragile quale quello italiano. Basti pensare alle critiche fortissime all’attuale assetto del titolo V, parte II della Costituzione, come delineato dalla legge cost. n.3/2001, ritenuto da più parti imperfetto e da modificare.
La proposta del ministro leghista Erika Stefani, avallata dai Governatori del Nord e dal vice-premier Matteo Salvini, è ad un passo dal via libera del CdM, malgrado nella sezione Scuola del Contratto di Governo non vi sia traccia di questo folle progetto secessionista. I cittadini italiani hanno capito che l’autonomia differenziata spezzetterebbe l’istruzione, penalizzando gli istituti formativi collocati in aree particolari, ad iniziare da quelli del Sud: in tanti oggi si sono dati appuntamento davanti a Montecitorio, per partecipare alla manifestazione promossa da Anief, Cobas, Unicobas, Gilda e diverse associazioni.
È pressoché unanime il no all’autonomia differenziata che la Lega si appresta a portare domani in Consiglio dei Ministri: tanti cittadini si sono presentati oggi davanti alla Camera, aderendo alla manifestazione “No alla regionalizzazione scolastica, per difendere la Scuola di Stato“, promossa da diversi sindacati di categoria e alla quale hanno aderito associazioni e comitati di settore, tra cui l’Accademia nazionale Docenti, Adida, Donne a scuola, Professione Insegnante, Civesscuola, Per la Scuola della Repubblica, Illuminitalia ed il Comitato Nazionale contro Mobbing-bossing scolastico (2007) Onlus.
“Se passa questo testo sciagurato – ha detto durante la manifestazione il professor Marcello Pacifico, presidente Anief – siamo pronti a raccogliere le firme per un referendum abrogativo, come già accaduto a Trento, dove esemplari sono state le sentenze, n. 242/2011, della Consulta che hanno bloccato le nuove norme proposte dalla provincia autonoma di Trento, in riferimento all’art. 92, c. 2bis, legge 5/2006, e ad andare dinanzi alla Corte Costituzionale: nel frattempo, faremo di tutto per far dichiarare questo modello organizzativo scolastico illegittimo dal giudice delle leggi. Abbiamo già la scuola dell’autonomia, non abbiamo bisogno della scuola delle regioni. Gli istituti scolastici sono autonomi da vent’anni per Costituzione, per valorizzare di più il territorio e la libertà d’insegnamento”.
“Piuttosto che far transitare il personale dallo Stato alle Regioni – ha detto ancora il sindacalista autonomo -, il Governo farebbe bene a trovare il modo di assegnare organici differenziati e ulteriori risorse economiche, per centrare obiettivi specifici mirati a colmare il gap di formazione e occupazione tra le aree del Paese. Questo chiediamo al Governo e con noi i tanti cittadini riuniti oggi davanti alla Camera”.
Monfalcone, 28mila abitanti, è conosciuta come la “città delle navi da crociera”. La cittadina in provincia di Gorizia, uno dei più importanti poli Fincantieri nazionale e con un altissimo tasso di stranieri tra gli abitanti (il 22 percento sull’intera popolazione, secondo le stime diffuse da TGCom 24), da ora è nota anche per la scelta discussa del sindaco leghista Anna Maria Cisint di fissare un tetto massimo del 45 percento di bambini stranieri per ogni classe.
Facendo i conti, la scelta del sindaco Cisint ha de facto escluso dalle scuole materne circa 70 bambini stranieri che dovranno ripiegare negli istituti dei Comuni limitrofi.
Intervistata da TGCom, la Cisint motiva così la sua scelta: “Voglio arginare il fenomeno delle classi ghetto, che ho trovato al mio insediamento. Classi con 28 bambini stranieri e un italiano, una situazione molto compromessa“.
“Dagli altri sindaci silenzio assordante”
La Cisint ha messo a disposizione i mezzi della sua amministrazione per consentire agli allievi rimasti fuori dalle classi di poter seguire le lezioni nei Comuni limitrofi. “Ma dagli altri sindaci e dalle altre amministrazioni un silenzio assordante”, spiega sempre il sindaco al giornalista di TGCom.
Le opposizioni: “Tutti i diritti degli italiani”
Le opposizioni alla Lega nel Comune goriziano insorgono duramente contro il provvedimento. Tra questi, il Movimento 5 Stelle (che a differenza di quanto accade a livello governativo qui siede tra i banchi della minoranza). “Non sono clandestini. Sono lavoratori, sono in regola, pagano le tasse, quindi hanno tutti i diritti degli italiani”, spiega una consigliera in quota pentastellata.
Il Miur: disponibili ad attivare due classi in più
Sulla questione è intervenuto anche il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti: “Gli uffici provinciali si sono resi disponibili ad attivare due classi in più”.
L’annuncio in anteprima lo ha dato Paolo Siani, eletto in Parlamento col Pd e noto medico pediatra napoletano: “Una prima battaglia per adesso l’ho vinta. Mi sono molto battuto per far capire ai miei colleghi in parlamento che sospendere l’obbligo vaccinale era sbagliato. Il governo adesso in commissione sanità ci comunica che ritira il decreto sui vaccini. Ecco ora per me ha un senso stare in Parlamento”.
Seguono poi le dichiarazioni di Vittoria Baldino e Giuseppe Buompane, delle commissioni Affari Costituzionali e Bilancio, relatori in quota 5 stelle. L’emendamento che rinviava di un anno l’obbligo di presentare la documentazione che attestasse le fatte vaccinazioni per l’ammissione del proprio figlio a scuola viene cancellato dal Milleproroghe con un altro emendamento presentato in queste ore.
Conclusione della storia: si torna a quanto indicato dalla legge Lorenzin.
«L’obiettivo è trattare le politiche vaccinali con un provvedimento normativo ad hoc: il ddl che abbiamo già depositato al Senato e di cui si inizierà l’esame nel più breve tempo possibile. Sui vaccini il nostro Paese ha bisogno di una disciplina organica e razionale. Per questo motivo si è deciso di affrontare questo lavoro nello strumento del ddl liberando il Milleproroghe, che assolve a funzioni diverse, da questa incombenza. In questo modo potremo definitivamente superare il Decreto Lorenzin, un testo di carattere emergenziale, causa dei malfunzionamenti e del caos che abbiamo dovuto affrontare fino ad oggi»
Insomma, non sarebbero state le polemiche provenienti da più parti (mondo politico, scientifico, associazionistico) a dettare il dietrofront della maggioranza gialloverde (in questo caso più gialla che verde) ma la necessità di affrontare diversamente il problema delle vaccinazioni obbligatorie. Non come la stessa maggioranza ha fatto, in pratica, con la fretta di inserire questo rinvio nel Milleproroghe.
Nas nelle scuole
Intanto, i Carabinieri del Nas già questa mattina hanno iniziato ispezioni in tutta Italia proprio per verificare che quanto stabilisce la legge Lorenzin sia applicato, in barba alla circolare firmata Grillo – Bussetti che avrebbe permesso ai genitori di autocertificare le vaccinazioni senza ricorrere all’Asl. Da nord a sud si leggono casi di tensione e proteste.
L’azione dei militari dell’Arma di fatto mette un punto al dibattito su quanto una circolare ministeriale possa modificare quanto dettato dalla legge.
Un’enorme, immensa perdita di tempo
Diciamocelo senza fronzoli: dal suo insediamento il Governo gialloverde e la sua maggioranza hanno fortemente puntato sulla questione vaccini strizzando l’occhio al movimento no-vax. Quanto accaduto in queste ore dimostra che invece tanto lavoro è stato fatto in maniera caotica, finendo in vortici di inapplicabilità o smentendo sé stessi. Una enorme perdita di tempo per tornare esattamente al punto di partenza.
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