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Salvini – Azzolina: botta e risposta tra dimissioni e tesi

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini (foto: "© European Union 2017 - European Parliament").

Il nuovo Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina non ha fatto nemmeno in tempo ad insediarsi che è finita sotto il fuoco incrociato dell’opposizione, messa nel mirino direttamente dall’ex alleato di Governo del M5S Matteo Salvini che con una dichiarazione al vetriolo afferma: “Non ha diritto a fare lezioni” e “fare peggio del ministro Fioramonti sembrava impossibile. E invece Azzolina ci stupisce: si vergogni e vada a casa”.

Segue il suo leader tutta la Lega che chiede le dimissioni del neo-ministro da una manciata d’ore. La replica di Azzolina arriva direttamente da Auschwitz, dove la responsabile del Dicasterto dell’Istruzione accompagna la delegazione italiana nelle celebrazioni del “Viaggio della Memoria”. “Non fatevi prendere in giro – spiega -, non é né una tesi di laurea, né un plagio. Ho sentito tantissime sciocchezze in queste ore, d’altra parte non mi stupisce che Salvini non sappia distinguere una tesi di laurea da una relazione di fine tirocinio Ssis (scuola di specializzazione all’insegnamento secondario). Non ha mai studiato in vita sua e sarebbe strano se le distinguesse”.

“L’unica cosa che mi dispiace – aggiunge – è parlare qui dal viaggio della memoria ad Auschwitz. D’altra parte l’anno scorso il ministro leghista Bussetti non si è presentato, e a maggior ragione era importante che io fossi qui oggi”.

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Come la Crisi di Governo cancella il DL Scuola (e ci costerà tantissimo)

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini (foto: "© European Union 2017 - European Parliament").

“Dopo un anno di annunci sul precariato con proposte di legge mai discusse, accordi mai onorati, decreti-legge non risolutivi, c’è un’unica certezza: la Commissione UE multerà il nostro Paese per il continuo abuso dei contratti a termine. Il resto è solo propaganda elettorale, come quando prima delle ultime elezioni politiche si era promesso alle migliaia di maestre col diploma magistrale che sarebbero state tutte salvaguardate, salvo ritrovarle dopo il voto licenziate. Dunque, un anno di annunci e decisioni sbagliate sul precariato”. Lo afferma Anief. 

“All’inizio la proposta di legge del Presidente della VII Commissione del Senato faceva ben sperare; presentata a luglio, di un anno fa, avrebbe risolto il problema del precariato, peccato che non l’abbia mai messa ai voti. Poi il decreto legge Dignità che introduce un concorso straordinario nella scuola dell’infanzia e della primaria e rinnova di un anno i contratti al termine delle attività didattiche. La sua utilità è pari al nulla, perché alcune sentenze arrivano e fanno licenziare centinaia di maestre che avevano superato l’anno di prova. Molte altre arriveranno nel prossimo anno quando le aule rimarranno senza insegnante, tanto che lo stesso Pittoni lo scorso mese ha pensato uno straordinario bis. La soluzione, in verità, l’aveva tra le mani: riaprire le GaE che aveva votato per errore, salvo chiedere al Governo di emendare quanto da lui approvato in Senato sempre nel luglio scorso”.

“Quindi la legge di stabilità che cancella il riservato bis voluto da Renzi, ma che ricompare nell’accordo coi sindacati di Palazzo Chigi della primavera, un accordo che si sarebbe tradotto in un decreto legge che viene approvato, salvo intese, nella prima settimana di agosto e che probabilmente non vedrà ma la luce. Comunque avrebbe risolto poco e niente, perché la soluzione per risolvere il precariato passa dall’adeguamento dell’organico di fatto a quello di diritto, da organici differenziati in base alle esigenze del territorio, dalla stabilizzazione del personale abilitato e anche con 36 mesi di servizio, attraverso le graduatorie d’istituto”. 

I contenuti del provvedimento saltato 

“Sarebbe stato una vera fucina di provvedimenti il decreto scuola approvato martedì scorso dal Consiglio dei ministri con l’insolita modalità del “salvo intese”. La rivista Orizzonte Scuola, ha realizzato una sintesi delle misure previste: si va dall’avvio dei corsi Pas abilitanti al concorso straordinario; dalla trasformazione dei contratti al 30/06 per i diplomati magistrale con riserva, che possono essere licenziati durante l’anno in seguito alle sentenze di merito, all’adeguamento dal normativa antincendio; dalla garanzia del trasporto scolastico a modalità varie di intervento per dirigenti scolastici e tecnici del Miur; dalla proroga graduatorie concorso 2016 agli acquisti funzionali alle attività di ricerca, fino alle risorse destinate agli interventi di sostegno della ricerca. Il “cuore” del provvedimento sono, comunque, le abilitazioni e i concorsi straordinari”.

 Il commento del presidente Anief

“Il nostro sindacato – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – avrebbe colto l’occasione di emendare il testo del decreto scuola con alcune disposizioni che avrebbero rappresentato una valida risposta alla Commissione europea, che minaccia l’avvio di una procedura di infrazione e salvato da mille problemi in arrivo col nuovo anno scolastico: quello che serve è la riapertura delle GaE, l’attivazione di un doppio canale di reclutamento finalmente allargato alle graduatorie d’istituto, dare la possibilità a tutti i vincitori e idonei di concorso di spostarsi di provincia. Oltre che disposizioni migliorative per i Pas e i concorsi riservati, che però avranno effetto non prima del 2020. Quel che va evitato subito, invece, è ritrovarsi a settembre con le scuole senza un quarto dei docenti, la continuità didattica non rispettata e il record di sempre di supplenze annuali”. 

“Ora, che nessuno, partito politico, sindacato o associazione, faccia l’ennesima propaganda politica sulla pelle dei precari della scuola – conclude Pacifico -. C’è stato un anno di tempo, noi abbiamo avanzato proposte precise, semplici, ragionevoli. Non siamo stati ascoltati. L’Europa ci ha dato ragione, quell’Europa tanto temuta prima del voto elettorale da bloccare uno sciopero generale in primavera che nasceva anche contro i progetti di autonomia differenziata voluti dalla Lega. Adesso chi ha detto tanti no ai precari, ai docenti, agli educatori e al personale Ata della scuola abbia la decenza di tacere e di non chiedere voti o tessere. La storia ne è testimone.” 

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Come Bonisoli e Bussetti hanno salutato Camilleri

andrea camilleri ultimo saluto

“Se ne va un genio della letteratura del Novecento”. Affida a un comunicato stampa a firma del ministro Alberto Bonisoli il Mibac l’ultimo saluto allo scrittore e intellettuale Andrea Camilleri. Il responsabile del dicastero ai Beni e Attività Culturali ricorda così il maestro siciliano: “Regista teatrale, sceneggiatore, scrittore prolifico e instancabile, il maestro Andrea Camilleri lascia un vuoto profondo nella cultura italiana. Se ne va un fine intellettuale. Se ne va uno dei migliori interpreti della sicilianità. Se ne va un galantuomo, direbbero nella ‘sua’ ‘Vigata’, che con il suo stile unico, ironico e dolce, pungente e critico, è riuscito ad avvicinare tanti italiani alla lettura, a promuovere nel mondo l’immagine della sua terra, la Sicilia, a riscattarla, con il ‘suo’ commissario Montalbano, narrandone vizi e virtù. Ci mancherà moltissimo”. 

Il suo pari del Miur, Marco Bussetti, affida il suo ultimo saluto a Facebook, defilandosi così dall’impietosa polemica tra la base leghista e i fan dello scrittore, da sempre critico nei confronti del leader del Carroccio Matteo Salvini.

Bussetti, su Facebook, scrive: “Addio a Andrea #Camilleri. Fine intellettuale, è stato autore di romanzi straordinari, anche a sfondo storico, che sono dei mirabili affreschi della nostra realtà. L’Italia perde uno dei suoi più grandi letterati”.

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Regionalizzazione, a Palazzo Chigi c’è un documento che si oppone al progetto della Lega

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (foto: wikicommons)

Diventa pubblico il documento tecnico con cui il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel rivolgersi al Capo del Governo, assume una forte posizione contraria rispetto al progetto leghista, che attraverso l’approvazione di una serie di elementi incostituzionali porterebbe all’affossamento delle regioni del Sud. Gli esperti di legislazione, inoltre, avvertono: bisogna “garantire il ruolo del Parlamento”.

Sul progetto di regionalizzazione della scuola, della sanità e di una serie di servizi pubblici, le ragioni della Lega si stanno sciogliendo come neve al sole: dopo quelle spiegate qualche giorno fa dall’on. Luigi Gallo, presidente della Commissione Cultura della Camera, il quale oggi, in un’intervista ad Orizzonte Scuola, ha detto che “l’autonomia si può realizzare in tanti modi”, ma di sicuro “il M5S non permetterà un progetto che aumenti le disuguaglianze sociali e territoriali”, ad esprimere forti dubbi sul testo fermo in Consiglio dei Ministri è ora anche il “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, che ha fornito una lucida sintesi sui principali elementi di criticità, anche sotto il profilo della legittimità costituzionale. 

Con un documento indirizzato al premier Giuseppe Conte, reso pubblico in queste ore, gli esperti di leggi dello Stato hanno palesato il fondato rischio, in fase di approvazione dell’importante provvedimento di legge, di aggiramento del dibattito parlamentare da parte del Governo: per il Dipartimento, non basta l’accordo tra Stato e Regioni per dar via all’applicazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Gli schemi di intesa sulle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno necessità di un passaggio legislativo. 

“Nel delineare il relativo procedimento in sede di prima applicazione – si legge nel documento indirizzato al premier -, appare necessario garantire il ruolo del Parlamento, assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese”. Il pericolo è quindi che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, promotrici del progetto, possano riuscire ad ottenere più finanziamenti a discapito delle altre regioni con già meno servizi e risorse. 

Il Dipartimento del CdM ricorda che la “modalità di determinazione delle risorse prevede, infatti, che la spesa destinata alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse”. Poi esemplifica: “se una Regione virtuosa ha una spesa storica nella materia trasferita pari al 70 per cento di quella media nazionale, e se si ipotizza che la relativa popolazione è pari al 10 per cento di quella nazionale, l’attribuzione di risorse non secondo il criterio storico, ma in base alla media nazionale, farebbe salire quest’ultima del 3 per cento (perché si perderebbe un risparmio del 30 per cento riferito al 3 per cento della popolazione)”. La conclusione è che “risulta dunque agevole comprendere come un tal modo di procedere implicherebbe un ingiustificato spostamento di risorse verso le regioni ad autonomia differenziata, con conseguente deprivazione delle altre (doverosamente postulandosi l’invarianza di spesa complessiva)”. 

Le ragioni del “Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri” sono in linea con quelle espresse dall’Anief. Secondo il giovane sindacato, infatti, il vero punto dolente non è il principio dell’autonomia differenziata che è affermato a chiare lettere in Costituzione e che ha una sua logica e un suo perché di esistere nel disegno costituzionale, ma la capacità dell’attuale (e non solo) classe politica di attuarlo senza creare gravi ferite a uno Stato di diritto già abbastanza fragile quale quello italiano. Basti pensare alle critiche fortissime all’attuale assetto del titolo V, parte II della Costituzione, come delineato dalla legge cost. n.3/2001, ritenuto da più parti imperfetto e da modificare. 

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Autonomia differenziata, accelerazione post-voto. Anief: “Secessione mascherata”

Marco Bussetti Miur Ministro

Subito dopo l’esito delle elezioni dei cittadini che rappresenteranno l’Italia fino al 2024 in Europa del 26 maggio sono diventati tre gli obiettivi immediati del Governo: “Ridurre le tasse, accelerare su autonomia e infrastrutture“. A dirlo è stato il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, indicando, a caldo, i provvedimenti sui quali l’Esecutivo deve ora accelerare. Alle parole di Salvini, che ha preso il 34% sul 55% dei voti espressi, si aggiungono quelle recenti pronunciate da un altro esponente leghista, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, secondo il quale l’autonomia è un’opportunità che porta maggiori risorse: “Ribadisco: aumentare le risorse destinate alla scuola è sempre una buona notizia”, ha detto di recente il titolare del Miur ricordando anche che “l’autonomia è prevista dall’articolo 116 della Costituzione”.

A dire no all’autonomia differenziata è in realtà la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. E tutto il fronte sindacale, Anief in testa. Il suo presidente, Marcello Pacifico: “Noi abbiamo sempre detto che regionalizzare la scuola è un’operazione impossibile, perché se attuata metterebbe ancora più in crisi l’offerta in certe zone d’Italia, le quali convivono con problemi strutturali e di risorse così evidenti da rifiutare, come accaduto in questi giorni in Sicilia, un contingente aggiuntivo per attivare il tempo pieno”. 

Anief: “Secessione mascherata”

“Per rispondere alle richieste delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, le regioni che hanno richiesto l’autonomia differenziata, sull’adozione nella scuola di un sistema di servizi differenziato e non più coordinato dallo Stato, bisognerebbe drenare molte delle risorse economiche assegnate alle regioni del Centro e del Sud, così da marcare le attuali distanze in termini di servizi offerti al cittadino e sviluppo economico e aprire a una secessione mascherata”. Così Anief in una lunga e articolata nota stampa.

“Nella scuola le singole regioni avrebbero piena facoltà di stabilire il tipo di offerta formativa da adottare, le modalità di reclutamento, di utilizzo delle graduatorie dei tanti precari in lista di attesa, mobilità del personale a livello provinciale e interprovinciali, ma anche il trattamento economico dei dipendenti, docenti e Ata, aprendo alle pericolosissime gabbie salariali. Per non parlare della gestione di immani risorse da parte dei governatori, i quali in passato, anche recente, hanno spesso dimostrato di non essere in grado di gestire determinati ambiti, come la formazione, e anche, in alcuni casi, di arrivare a trarre benefici personali derivanti dal loro stato di potere. Contro questo, tutti i sindacati erano d’accordo a scioperare insieme, il 17 maggio, prima dell’accordo del Governo che tutti affermano avrebbe allontanato quanto ora richiesto dal vincitore delle elezioni europee”. 

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Grembiule a scuola, affondo della FLC contro Salvini: “Le disuguaglianze si combattono in altro modo”

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini (foto: "© European Union 2017 - European Parliament").

“In questa ininterrotta, aggressiva e spesso irragionevole campagna elettorale, il ministro degli Interni interviene ancora una volta sulle necessità del mondo della scuola, manifestando l’intenzione di reintrodurre l’uso del grembiule per riportare ‘ordine e disciplina’ e combattere le condizioni di disuguaglianza sociale”. Lo afferma la FLC CGIL in una nota in cui si schiera in aperta polemica con il vicepremier leghista Matteo Salvini.

“Ci preoccupa – continua il sindacato – che a farsi portavoce delle istanze del sistema di istruzione sia il ministro degli Interni, dal momento che la scuola non è una caserma, l’educazione non è un problema di ordine pubblico. È principalmente compito della scuola rimuovere le disuguaglianze di partenza, offrire a tutti pari opportunità ed educare alla responsabilità individuale e collettiva i cittadini di domani, ricercando una forte alleanza con le famiglie e la società”.

“Ancora oggi, nonostante i forti tagli subìti, la scuola non ha smarrito la sua funzione originaria di formazione collettiva alla cultura democratica e alla cittadinanza attiva, finalizzata a trasmettere alle nuove generazioni un sistema di valori fondato sulla responsabilità e la consapevolezza delle azioni. Eppure per anni ha subìto la trascuratezza della politica che ne continua a compromettere credibilità e prestigio per l’evidente assenza di un progetto che ne riconosca la centralità. Per arginare la delegittimazione diffusa, di cui certi episodi di violenza fisica e verbale sono l’estrema conseguenza, non servono telecamere né inasprimento delle sanzioni, ma investimenti che valorizzino le professionalità e riconoscano alle istituzioni scolastiche il loro ruolo fondamentale come strutture strategiche per la crescita della cittadinanza democratica e lo sviluppo del Paese”.

La FLC ricorda inoltre a Salvini che “le distanze sociali non si nascondono sotto un ‘grembiulino’, ma si combattono con una scuola più uguale, inclusiva, accessibile a tutti fin dall’infanzia”.

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Scuole Sicure: 4,2 milioni di euro per contrastare la diffusione di droghe tra gli studenti

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini (foto: "© European Union 2017 - European Parliament").

Con la circolare del 20 aprile 2019, il Ministero dell’Interno ha dato il via libera a Scuole Sicure2019/2020: 100 i comuni interessati per 18 regioni, 4,2 milioni di euro le risorse messe a disposizione dal Ministero dell’Interno.

I comuni interessati dovranno presentare la richiesta di finanziamento alla Prefettura entro il prossimo 31 maggio.

Il contributo, che si compone di una quota fissa di 20.000€ identica per tutti e di una quota variabile commisurata alla  popolazione residente al 1° Gennaio 2018 potrà essere destinato nel prossimo anno scolastico alla realizzazione di sistemi di videosorveglianza (che non abbiamo già beneficiato di forme di contribuzione pubblica), all’assunzione a tempo determinato di agenti di Polizia locale, al pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario del personale della Polizia locale, all’acquisto di mezzi ed attrezzature e alla promozione di campagne informative volte alla prevenzione e al contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti.

Salvini: droga emergenza nazionale

“La droga è una emergenza nazionale, sono pronto a convocare i rappresentanti delle comunità e di tutti i soggetti interessati. Chi pensa che la droga non sia un problema sbaglia di grosso, soprattutto nei dintorni delle scuole. I venditori di morte vanno colpiti e contrastati duramente”. A proposito di Scuole Sicure, il ministro precisa: “Confermiamo l’impegno concreto a favore degli amministratori locali, rafforzando un’iniziativa che abbiamo inaugurato un anno fa, dedicando risorse specifiche per contrastare gli spacciatori vicino alle scuole.  Siamo sempre più attenti alle esigenze del territorio. Con il Decreto sicurezza abbiamo dato più poteri e fondi ai sindaci, abbiamo iniziato a rafforzare tutte le questure d’Italia e abbiamo dato risorse aggiuntive per la videosorveglianza dei Comuni, per la Province, per i paesi sotto i 20mila abitanti. E oggi continuiamo in questa direzione. Dalle parole ai fatti”. Così il vicepremier e Ministro dell’Interno Matteo Salvini in un c.s.

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Grembiulino a scuola, la proposta di Salvini che in realtà non è nulla di nuovo

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini (foto: "© European Union 2017 - European Parliament").

Su Tg2 Italia, nelle scorse ore, il vicepremier e Ministro dell’Interno Matteo Salvini tra i tanti argomenti ha toccato quello dei grembiulini alla scuola elementare. Secondo il leader leghista, infatti: “[…] almeno alle scuole elementari, rimettere il grembiule farebbe bene ai bambini ed eviterebbe simboli di diversità. Rimetterlo sarebbe infatti un’occasione di parità”. Eviterebbe, a dire del Ministro, differenze tra chi indossa “felpe da 400 euro” e chi invece “golfini da 20 euro”.

Grembiulino, i precedenti

In realtà, Salvini non dice nulla di nuovo. Non solo perché poco prima di Natale a favore di questa soluzione si è già schierato l’attuale Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, ma perché già in precedenti esecutivi la proposta è stata avanzata da forze politiche del centro-destra. Più precisamente – come ricorda il Messaggero – con il governo Berlusconi, da parte dello stesso Cavaliere e del Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini.

Nel 2011 arrivarono in parlamento due diverse proposte di legge, proprio per la reintroduzione del grembiulino tra i banchi di scuola primaria, a firma dell’allora deputata del Pdl Isabella Bertolini e dell’allora deputato dell’Udc Luca Volontè: in entrambi i casi l’obiettivo era quello di azzerare le differenze sociali tra i bambini, almeno in classe. Ma per obbligare le famiglie ad adottare, di fatto, una divisa, le proposte d legge quantificarono uno stanziamento alla copertura delle spese pari a 15 milioni di euro l’anno. Non se ne fece niente.

(il Messaggero)

I presidi: “Rientra nell’autonomia decisionale

Sull’argomento, a mettere una pietra tombale, interviene il presidente dell’Associazione nazionali dei presidi di Roma e del Lazio, Mario Rusconi, ricordando che l’uso del grembiule o della divisa, adottata dal consiglio di istituto, è una decisione che rientra nell’autonomia scolastica.

“Non c’è alcuna preclusione ideologica – spiega Rusconi – per il grembiule delle scuole materne ed elementari […] Siamo anche favorevoli alla divisa o alle tute per le medie e superiori, purché la cosa non venga normata da una legge ma sia presa come decisione dal Consiglio d’istituto, sentiti i genitori, e dal collegio dei docenti così come sancisce l’autonomia scolastica. E nei fatti è già così”.

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Quota 100, Salvini: “Centomila dipendenti della P.A. fuori insieme? Non è possibile”

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini (foto: "© European Union 2017 - European Parliament").

Qualcuno nell’esecutivo gialloverde si è reso conto del grave rischio che la ormai famosa quota 100 comporterebbe in settori cardine come quello della scuola: è il Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il leader del Carroccio, a margine della presentazione del libro di Bruno Vespa “Rivoluzione”, è intervenuto sull’argomento.

“Se mi dicono che di botto se ne vanno in pensione centomila persone in settori chiave dell’amministrazione pubblica come le scuole e gli ospedali è ovvio che non possiamo consentirlo. Dobbiamo provvedere gradualmente e con giudizio per evitare esodi di massa. Perciò nell’arco del 2019 ci saranno tre o quattro finestre per procedere a scaglioni”.

Le finestre di pensionamento

Non tutti insieme, quindi. Nell’idea di Salvini c’è la volontà di dilazionare nel tempo le fuoriuscite di personale dalle pubbliche amministrazioni e, al contempo, velocizzare dove possibile le nuove assunzioni. Ma se questo può valere per altri settori, con la scuola e i suoi circa 80mila esuberi è difficile immaginabile a pensionamenti scaglionati durante l’anno solare. L’unica via percorribile è quella di settembre (ossia, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico).

Ed è per questo che anche la procedura per la presentazione delle domande di pensionamento deve essere chiara e attuabile nel minor tempo possibile.

L’Europa ci guarda

“L’obiettivo del governo resta comunque quello di quota 41: gli italiani devono sapere che cosa gli succede e quando. Ma dovremo procedere con cautela per evitare che l’Europa ci crocifigga“, chiosa Salvini. Nel frattempo, i docenti e i lavoratori del comparto scuola restano in attesa di certezze, per ora nulla è scritto (se non in bozza).

(foto di copertina “© European Union 2017 – European Parliament”)

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Salvini, la leva e le scuole: l’alternativa di Possibile

Militari Leva Obbligatoria Una foto di militari in azione (fonte: Ministero della Difesa)

L’ultima in ordine di tempo il leader del Carroccio, e Ministro degli Interni, l’ha lanciata così, un po’ su due piedi, da un palco di un congresso in Puglia, più precisamente Lesina. “Reintrodurre la leva obbligatoria”, più o meno suona così l’affermazione di Matteo Salvini:

«Vorrei che oltre ai diritti tornassero a esserci i doveri […] facciamo bene a studiare i costi, i modi e i tempi per valutare se, come e quando reintrodurre per alcuni mesi il servizio militare, il servizio civile per i nostri ragazzi e le nostre ragazze così almeno impari un po’ di educazione che mamma e papà non sono in grado di insegnarti».

Il proclama però sembra un tuono destinato a non scomporre un cielo sereno e tranquillo. Tanto è vero che lo stesso Ministro della Difesa Elisabetta Trenta l’ha già chiusa con un: “Idea romantica ma non al passo con i tempi”. Inoltre bisognerebbe prevedere le coperture economiche per tornare alla naja.

Possibile: investire nelle scuole

Ma la voce che ci riguarda più da vicino è quella di Possibile, il movimento nato dalla fuoriuscita dal Pd di Pippo Civati e altri. La segretaria Beatrice Brignone invita Salvini alla riflessione: “Ma se davvero Salvini trovasse dal nulla 15 miliardi di euro – la cifra che secondo un servizio di Fanpage servirebbe a riavviare la leva militare obbligatoria, ndr – non sarebbe meglio investirli davvero nell’educazione di ragazzi e ragazze, destinandoli alla scuola pubblica statale?”.

Scuole sicure, spacciatori o edifici pericolanti?

La questione leva diventa anche l’occasione per una stoccata da parte della segretaria di Possibile sull’argomento delle “scuole sicure” con l’idea di destinare dei fondi in un progetto per individuare gli spacciatori all’esterno degli istituti scolastici, ancora una volta si sposta l’attenzione su problemi che il partito definisce più urgenti. Ossia, la tenuta delle scuole stesse.

“Sul sito del Miur – spiega la Brignone – si trova un resoconto dell’Associazione Nazionale Presidi, secondo il quale solo il 3% degli edifici scolastici italiani è in condizioni ottimali di manutenzione, il resto necessita di interventi più o meno consistenti e onerosi e la media dei crolli è di quasi uno a settimana. Sempre secondo l’Anp, un edificio su quattro è sottoposto a una manutenzione inadeguata”.

“Il ministro – chiosa la Brignone – farebbe bene a preoccuparsi di questi dati allarmanti anziché di crocefissi e reintroduzione della leva militare”.