“Pensare di risolvere l’annosa questione delle classi pollaio ripensando l’attuale modello della classe, che andrebbe superato per fare largo a una diversa organizzazione, significa creare soltanto una cortina fumogena intorno al problema”. Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, interviene in merito alle dichiarazioni rese dal ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, durante un videoforum di Repubblica.it.
“Vale la pena ricordare al ministro – afferma Di Meglio – che l’organizzazione delle lezioni per gruppi o gruppi di livello è una metodologia nota agli insegnanti da 40 anni e, in ogni caso, si tratta di una scelta didattica che rientra nella libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione. Forse è anche opportuno rammentare uno dei capisaldi dell’aritmetica, la proprietà invariantiva secondo cui in una sottrazione, se aggiungiamo o togliamo la stessa quantità al minuendo e al sottraendo, il risultato finale (cioè, la differenza) non cambia. Non è, dunque, distribuendo gli alunni in classi o gruppi che si può ridurne il numero affidato ai docenti, ma – conclude il coordinatore nazionale – soltanto aumentando gli organici e gli spazi dove svolgere le lezioni, come la Gilda ha sempre sostenuto e chiesto con forza al ministero”.
“L’orchestra è cambiata ma la musica è rimasta la stessa: le classi pollaio continueranno ad affliggere la scuola italiana, inficiando la sicurezza di alunni e insegnanti e la qualità della didattica. La pandemia poteva essere un’occasione per iniziare a sanare le gravi falle del nostro sistema scolastico e per riconoscere finalmente alla scuola, anche con i fatti, la sua importanza strategica per tutto il Paese. E invece contiamo soltanto parole e omissioni ma nessuna opera”.
Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, commenta attraverso una nota stampa i provvedimenti sugli organici dei docenti per il prossimo anno scolastico che lasciano invariati tutti i limiti agli sdoppiamenti delle classi senza prevedere alcuna deroga al numero degli alunni per classe.
“Con ogni probabilità, se avverrà in presenza, a settembre assisteremo a un rientro a scuola ancora con classi di 27 alunni nella primaria e 31 nella secondaria, stipati in aule che già in condizioni normali non garantirebbero sempre la sicurezza, figurarsi nel contesto pandemico attuale. Evidentemente, il futuro che il governo immagina per la scuola italiana non pone realmente al centro l’imprescindibilità del contatto diretto tra docenti e discenti, pur sottolineata da più parti, perché se davvero fosse così, si sarebbe intervenuti seriamente su tutte le misure necessarie per garantire un ritorno sui banchi in sicurezza, compreso un doveroso ampliamento degli organici”.
Al mancato investimento sugli organici fa eco il fenomeno drammatico del precariato che rischia seriamente di minare il regolare inizio del prossimo anno scolastico. Ai 213mila docenti precari vanno aggiunti anche i pensionamenti che, secondo le cifre ancora parziali a disposizione, finora ammontano a circa 28mila. Numeri che potrebbero far schizzare a quota 250mila l’esercito di precari.
“Avere 30 alunni per classe non era tollerabile prima della pandemia e non lo è ancora di più adesso con le misure sul distanziamento sociale imposte dall’emergenza sanitaria e l’avanzata impetuosa della variante inglese del virus che contagia soprattutto la fascia scolastica della popolazione. Al Governo e al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, che sul tema si è già espresso con toni critici, chiediamo di intervenire con urgenza per arginare l’annoso fenomeno del sovraffollamento delle aule”.
Il coordinatore della Gilda degli Insegnanti Rino Di Meglio
Il coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, Rino Di Meglio, torna a battere su uno dei tasti più dolenti della scuola italiana, inviando a viale Trastevere una richiesta formale in cui sottolinea l’esigenza non più procrastinabile di reperire le risorse economiche necessarie per adeguare i locali attualmente a disposizione per le attività didattiche e per aumentare il numero dei docenti in servizio. “Spazi e organici – conclude Di Meglio – sono le due leve sulle quali bisogna agire se si vuole davvero porre fine all’odioso fenomeno delle classi pollaio”.
Ha resistito anche alle esigenze del Covid19 la concentrazione eccessiva di alunni per classe: secondo i calcoli pubblicati oggi da Tuttoscuola, “se si assume il limite di 25 alunni per classe – che si può ritenere certamente più ragionevole dal punto di vista della gestione didattica, almeno come limite massimo – come spartiacque tra la normalità e le classi pollaio, vi sono 31 mila classi (30.829) con oltre 25 alunni: 4.937 sezioni di scuola dell’infanzia, 3.283 classi di scuola primaria, 4.258 classi di scuola secondaria di I grado e ben 18.351 di II grado”.
Non avrebbe quindi avuto seguito l’articolo 231-bis della legge di conversione del decreto legge 34 “Rilancio” che ha previsto norme speciali, da realizzare con apposita ordinanza ministeriale, per “derogare, nei soli casi necessari al rispetto delle misure di cui all’alinea ove non sia possibile procedere diversamente, al numero minimo e massimo di alunni per classe previsto, per ciascun ordine e grado di istruzione, dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81”.
OCCASIONE MANCATA
È alto il rammarico per la mancata cancellazione di queste classi “pollaio”, che rimane sempre “un obiettivo che da sempre ha visto in prima linea proprio la ministra Azzolina. Con l’ordinanza in deroga – sostiene la rivista specializzata – si poteva già intervenire in vista dell’anno scolastico 2020-21. L’obiettivo era a portata di mano, sfruttando appunto anche il dispositivo contenuto nell’art. 231-bis del decreto legge 34 “Rilancio”. Si sarebbero potuti ottenere contestualmente due obiettivi: rispettare il parametro di deflusso e ridurre la numerosità delle classi a limiti più gestibili e conformi alle misure anti-covid. La riduzione della numerosità delle classi può infatti favorire il distanziamento, nonché una più funzionale organizzazione della classe e della gestione didattica. Un obiettivo che va comunque tenuto presente per il futuro”.
QUANTI CLASSI NUOVE SERVIREBBERO
Sempre Tuttoscuola stima quanti “posti di organico aggiuntivo svilupperebbero quelle nuove classi 3.633 di risulta, tenendo conto dell’attuale rapporto docenti per classe. Per la scuola dell’infanzia, dove il rapporto medio di docenti per sezione è di 1,89 servirebbero 2.933 docenti; per la scuola primaria – rapporto docenti/classe 1,51 – servirebbero 445 posti in più; per la scuola secondaria di I grado – rapporto docenti/classe 1,80 – 534 posti in più; per la scuola secondaria di II grado – rapporto docenti/classe 1,81 – servirebbero 2.695 docenti”.
LE PRESSIONI DEL SINDACATO
Anief ha sempre sostenuto che con lo stato emergenziale derivante dal Covid19 bisognava prendere disposizioni urgenti nella formazione delle classi al fine di adeguare i meccanismi di distanziamento sociale per la prevenzione della diffusione di ulteriori epidemie. Anche l’Anief, con l’emendamento proposto al DL “Cura Italia” n. 18 del 17 marzo 2020, con l’intento di modificare la legge Tremonti-Gelmini n. 133/2008, riducendo in tre anni il rapporto medio nazionale alunni-classe dello 0,40, andava in questa direzione. Perché ridurre il numero massimo di alunni per classe garantirebbe infatti sicurezza, igiene e vivibilità degli ambienti di apprendimento. Solo in presenza di un numero non alto di alunni è infatti possibile assicurare agli allievi degli ambienti idonei allo svolgimento delle attività, ma anche laboratori e aree comuni di condivisione. In questo modo, sicurezza, diritto alla salute e allo studio vengono senz’altro assolti. Rivedere per legge i tetti dei numeri di alunni per classe, che nell’ultimo disegno di legge del M5S risulterebbero non oltre i 22-23 e in caso di presenza di disabili massimo 20 e non più derogabili, è una decisione che non si può più rimandare.
Sono 288 mila le classi in Italia nelle quali a settembre occorrerà
predisporre le lezioni in presenza senza ricorrere alla didattica a distanza.
QUANTI STUDENTI DA “SISTEMARE”
All’interno delle classi, ci dicono i dati ufficiali del ministero
dell’Istruzione riproposti nel rapporto del Comitato tecnico-scientifico, sono
collocati 901.052 bambini iscritti nella scuola dell’infanzia statale, a cui
vanno aggiunti 524.031 alunni sempre fra i tre e i sei anni delle scuole
comunali o paritarie, 2.443.092 della primaria, più 167.667 iscritti nelle
paritarie dello stesso grado, 1.628.889 delle medie, più 65.406 alunni delle
medie paritarie. Poi ci sarebbero 2.626.226 studenti delle superiori, per i
quali si prevede il sempre più probabile proseguimento della didattica a
distanza alternata a quella in presenza.
In totale, dunque, sono 5.730.137 gli alunni tra la scuola dell’infanzia e terza classe della secondaria di primo grado da far tornare in classe con l’avvio del nuovo anno scolastico, assicurando loro lezioni in presenza, anche in locali aggiuntivi a quelli tradizionali, e senza ricorrere alla DaD: in caso contrario, andando avanti con le lezioni telematiche, anche “miste”, si produrrebbe di un danno formativo notevole, perché fino all’adolescenza la scuola, come giustamente rilevato dalla task force ministeriale di esperti, promuove una crescita non solo formativa, ma anche relazionale e di scambio di fondamentale importanza pedagogica.
QUELLO CHE SERVE
Anief ha calcolato che per fronteggiare la situazione e garantire il diritto allo studio di quasi sei milioni di alunni occorrono non meno di 7-8 miliardi di euro: è la somma che servirebbe a ridurre le classi a non oltre 15 iscritti, così da permettere quel distanziamento minimo di quattro metri quadrati agli alunni ed otto rispetto al docente. Sono le stesse disposizioni che negli altri Paesi UE sono state introdotte per il ritorno a scuola in presenza, con casi ancora più rigorosi, come quello del Belgio, dove gli allievi non potranno essere più di 10 a classe, oppure del Regno Unito e della Spagna, dove si imporrà la mascherina qualora si scenda al di sotto dei due metri di distanza.
Dal concorso straordinario, le cui domande di partecipazione previste per domani sono state rinviate per via dell’emendamento approvato in Senato al Decreto scuola contro cui il giovane sindacato annuncia l’ennesimo ricorso per far inserire tutti i precari nella graduatoria di merito al Decreto rilancio dove il miliardo e mezzo stanziato non consente la riapertura in sicurezza.
Il sindacato autonomo Anief si fa portavoce dell’enorme malcontento del personale scolastico a tempo indeterminato e determinato e procede con il primo passo verso la mobilitazione generale: la comunicazione è stata inviata oggi alle istituzioni ministeriali di competenza. Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “i motivi della protesta riguardano la mancata attuazione di un piano di investimenti urgente, anche in relazione all’emergenza sanitaria in atto, che avrebbe consentito al settore Scuola del comparto Istruzione e ricerca di rispondere in modo appropriato a una situazione particolarmente difficile, che a settembre, quando rientreranno in classe più di otto milioni di alunni e un milione e 300 mila tra docenti, Ata e dirigenti, diventeranno impossibili da fronteggiare. Sul precariato non ci sono state le risposte adeguate anche rispetto alle istituzioni europee e alle corti dei tribunali nazionali”.
Alla richiesta di reclutare dalle graduatorie di istituto si accompagnano altre questioni, tutte motivate: ridurre a 15 unità il numero massimo di alunni per classe; trasformare tutti i posti oggi in organico di fatto in quello di diritto; reintrodurre il “doppio canale” di reclutamento; confermare in ruolo tutto il personale docente assunto con riserva; dare seguito agli attuali contratti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato con clausola risolutiva del personale scolastico attualmente impegnato nella didattica a distanza e nel lavoro agile; procedere alle modalità per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento curriculare e ai corsi di specializzazione di sostegno; rivedere l’attuale suddivisione per ateneo dei posti nei corsi di specializzazione su sostegno; svolgere i corsi in modalità telematica; avviare la procedura concorsale straordinaria per l’assunzione a tempo indeterminato come Dsga; assistenti tecnici nelle scuole del primo ciclo di istruzione attraverso la loro assunzione a tempo indeterminato; introdurre un piano di sicurezza adeguato a preservare dal rischio contagio da Covid-19; assumere a tempo indeterminato un numero congruo di collaboratori scolastici e di assistenti amministrativi; approvare un piano straordinario di edilizia scolastica per la messa in sicurezza e l’adeguamento alle odierne esigenze didattiche degli edifici scolastici; avviare il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro e un piano straordinario di mobilità.
Il ritorno sui banchi in sicurezza è la vera incognita che pesa sul futuro
della scuola italiana e sulla sua riapertura: ma come saranno le classi del
futuro prossimo? Secondo delle indiscrezioni che leggiamo oggi su La
Repubblica il piano che sta prendendo “forma prevede di affrontare
prima la collocazione della fascia di alunni 3-14 anni, dall’infanzia alle
scuole medie, trattata come un blocco generazionale unico per la mancanza di
un’autonomia sufficiente sia per muoversi verso il proprio edificio scolastico
che per gestire eventuali lezioni a distanza; infatti sembrerebbe che task
force ministeriale”.
L’annuncio del premier Giuseppe Conte del rientro in classe a settembre ha aperto le porte alle ipotesi sulle modalità di didattica in presenza: “nei mesi di settembre-ottobre si potranno immaginare ore di Geografia, Scienze e Arte non solo in giardini (interni ed esterni all’istituto) e piazze delle nostre città, ma anche in musei e teatri non utilizzati la mattina. Questo comporterà un utilizzo più ricco di docenti abituati alla lezione frontale che si trasformerà, giocoforza, in un ampliamento del monte orario (oggi 18 ore per le superiori) che andrà pagato meglio (con una chiusura generosa del contratto, a cui stanno lavorando i sindacati)”.
Intanto, gli epidemiologi ci dicono che la pandemia ci accompagnerà ancora
per qualche tempo. Soprattutto a scuola, un luogo dove la diffusione del
Covid-19 può essere elevata: quella del distanziamento in classe diventa quindi
la soluzione migliore, se non l’unica, da adottare. Quindi, il ritorno in
classe si prospetta con meno banchi in aula, considerando una distanza minima
di quasi due metri su tutti i lati di ogni alunno. Stando così le cose, è una
ipotesi fattibile attuare il dimensionamento anche nelle 20 mila classi
pollaio, che non rappresentano di certo l’eccezione? La risposta è ovviamente
negativa.
“Il problema non sono le aule, ma il numero ridotto del personale – commenta
Andrea Messina, segretario generale Anief – e non saranno di
certo i
concorsi confermati ieri sera dal premier Giuseppe Conte a risolvere la
situazione. Ma ci siamo dimenticati che negli ultimi anni abbiamo perso più di
50 mila immissioni in ruolo a causa della non corrispondenza tra posti liberi e
docenti inseriti nelle graduatorie? Classi meno affollate equivale infatti a
più insegnanti. Ma necessariamente di ruolo, non supplenti, nominati non di
rado anche a ridosso di Natale e che cambiano continuamente scuole. I doppi
turni, metà in classe e metà sul web, sono soluzioni che non ci piacciono e che
di certo non vanno nello spirito dell’obiettivo 4 dell’agenda 2030; fornire
un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per
tutti significa garantire ora più che mai stessi mezzi per tutti e soprattutto
continuità didattica”.
Marcello Pacifico (Anief): “Se si prende come media una classe di sette metri per cinque, quindi da 35 metri, e va applicato il distanziamento di un metro e mezzo da ogni studente in tutte le direzioni, quindi anche da ogni uscita, si riesce a far stare non più di 16 alunni. Poi però c’è anche il docente, anzi possono essercene due o tre, considerando le eventuali compresenze e il sostegno agli alunni disabili, più l’assistente educativo culturale. Ecco perché al massimo possono esserci 15 allievi per classe, come abbiamo detto la settimana scorsa ai senatori della VII commissione di Palazzo Madama con un preciso emendamento al Decreto Legge sulla Scuola n. 22”.
Sono diventate disposizione di legge i provvedimenti contenuti nel decreto
Milleproroghe approvato in Senato ed entrato in vigore ieri 1° marzo: la Legge n.
8 del 28 febbraio scorso, ha messo mano anche all’organizzazione
scolastica, andando innanzitutto a ridurre il numero delle cosiddette classi
pollaio (laddove il numero di iscritti sia superiore a 22 alunni,
ridotti a 20 in presenza di studenti con grave disabilità certificata): grazie
ad un emendamento
del M5S, si ottiene quindi una prima risposta al problema, anche se bisogna
ricordare che si tratta di appena 800 classi su 15.000 esistenti, diverse delle
quali con oltre 30 allievi iscritti.
Sempre con la Legge 88/2020, si stabilisce che i bandi di concorso della
scuola, ordinari e riservati, previsti a loro volta dalla Legge
159/2019, verranno pubblicati entro il prossimo 30 aprile:
uno slittamento che, indubbiamente, mette a repentaglio la possibilità concreta
di assumere i vincitori delle selezioni, lasciando qualche speranza solo per la
procedura straordinaria riguardante la scuola secondaria (peraltro macchiata da
tante esclusioni illegittime, contro le quali il giovane sindacato Anief ha
prontamente presentato ricorso d’urgenza al giudice attraverso
preadesioni gratuite). Di fatto, si prevede che solo
una parte del personale scolastico possa essere stabilizzata con
modalità riservate, lasciando fuori gli insegnanti di religione cattolica per
quanto riguarda il concorso straordinario, i precari di infanzia e primaria,
oltre che i supplenti che hanno lavorato nelle scuole paritarie e nei corsi
professionali e regionali. Per non parlare di altre categorie, come i Dsga
facenti funzione, gli educatori e il personale Ata.
Le altre disposizioni sulla scuola incluse nel Milleproroghe riguardano
ancora il concorso straordinario della secondaria, nella parte
in cui viene stabilito che la prova scritta della procedura per il
reclutamento, nonché la prova scritta della procedura per il conseguimento
dell’abilitazione all’insegnamento, riguardano il programma di esame previsto
anche per il concorso ordinario, per titoli ed esami, per la scuola secondaria,
che sarà avviato contestualmente alla procedura straordinaria (e non più il
programma di esame del concorso ordinario bandito nel 2016) (art. 1, co.
10-terdecies).
Un’altra disposizione sulla Scuola, sempre inclusa nella Legge 88/2020, è
quella sulle prove Invalsi: i risultati, si legge, non saranno
inseriti nel “curriculum degli studenti” del quinto anno che si apprestano a
svolgere gli esami di maturità 2020. In pratica, il Governo ha chiesto e
ottenuto di far slittare l’ingresso del curriculum allegato al diploma al 1°
settembre prossimo. La partecipazione alle prove rimane invece requisito
obbligatorio per essere ammessi agli Esami di Stato 2020.
Secondo Marcello Pacifico, leader del giovane sindacato, “si poteva e doveva fare molto di più, specialmente reclutamento del personale precario che continua a essere lasciato fuori in modo illegittimo, nonostante sia presenti nelle graduatorie di istituto e ata 24 mesi. Migliaia di docenti saranno licenziati la prossima estate dopo che hanno superato l’anno di prova e hanno insegnato da diversi anni. Sono ancora vigenti i ricorsi avvero le procedure per la selezione dei dirigenti scolastici. Tantissimi insegnanti non avranno accesso al concorso riservato soltanto per la scuola secondaria. Il Governo ci convochi e ci ascolti per risolvere la supplentite”
Un altro anno è passato e nelle scuole italiane continuano ad essere
presenti oltre 20 mila classi con più di 30 alunni, frutto dell’innalzamento
dei parametri della formazioni delle classi imposti dall’art.
64 della Legge Gelmini 133/08: in media, significa che ogni istituto
autonomo detiene tre classi con maxi numeri di frequentanti. E così sarà anche
l’anno prossimo, nonostante i buoni propositi della politica e le continue
richieste sindacali per cancellare questa pessima pratica tutta italiana che
lede fortemente il diritto allo studio e quasi sempre aggira i limiti imposti
dalle norme della sicurezza.
CLASSI POLLAIO: TUTTO COME SEMPRE
“Le classi pollaio sono confermate, nonostante alcune dichiarazioni
politiche e il Def 2020. Pessimi segnali che ipotizzano solo molte nubi
all’orizzonte”, scrive oggi Orizzonte
Scuola.Se si legge l’elenco dei provvedimenti della Legge di Bilancio
(160/2019,riguardanti la scuola, non esiste traccia del superamento della
riduzione del sovraffollamento delle classi. “Eppure – rileva la rivista -, in
piena crisi di governo (agosto 2019) L. Di Maio aveva dichiaratoche ”la
scuola pubblica è un bene comune serve prima di ogni altra cosa una legge
contro le classi pollaio e valorizzare la funzione dei docenti”.
Anche alla ripresa autunnale nel Def 2020 si legge (pag. 20): “Nel comparto
della scuola pubblica occorrono politiche dirette a limitare le classi troppo
affollate…”.
Ad arenarsi è stato anche il disegno
di legge n. 877 del 5 luglio 2018, la cui prima firma era dell’on. Lucia
Azzolina (M5S), a breve in procinto di giurare come ministro
dell’Istruzione, che per raggiungere l’obiettivo di formare classi con al
massimo 22-23 alunni prevedeva un impegno oneroso, messo nero su bianco nella
Proposta di legge, equivalente “a 338.500.000 euro per l’anno 2019, a
1.180.000.000 di euro per l’anno 2020, a 1.715.100.000 euro per l’anno 2021 e a
2.130.000.000 di euro a decorrere dall’anno 2022…“(art. 1 comma 2).
“L’assenza del provvedimento nella Legge di Bilancio – continua la rivista – rappresenta
sostanzialmente il quarto rinvio senza una scadenza e quindi
rimandato sine die”.
LA PROPOSTA ANIEF
Anche l’Anief ha tentato, pure di recente, di modificare l’ingiusto assetto
che mette le scuole nelle condizioni di poter allestire classi con numeri
altissimi. Il giovane sindacato, a questo proposito, si è fatto formalmente
promotore di un
emendamento specifico per migliorare il rapporto alunni-docenti, la cui
approvazione avrebbe avuto “ricadute positive sulla didattica e
sull’apprendimento degli alunni” e consentito “di assicurare agli studenti
ambienti idonei allo svolgimento delle attività, laboratori e aree comuni di
condivisione”. Il tutto, si sarebbe fatto riproponendo esattamente “quanto
previsto nel disegno di legge AC 877 a firma dell’on. Azzolina con le relative
coperture finanziarie lì definite”.
IL PENSIERO DEL PRESIDENTE
“La speranza – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è che,
con l’approdo dell’Onorevole Azzolina all’importante ruolo di ministro
dell’Istruzione, questo obiettivo fondamentale per la qualità della didattica e
della vivibilità dei nostri istituti scolastici possa finalmente andare in
porto. È una misura prioritaria, alla pari di quella relativa all’integrazione
degli organici, alla costituzione del tempo pieno in tutte le province e alla
valorizzazione del personale docente, attraverso stipendi finalmente adeguarti
al ruolo e alla funzione svolta.”
LE RISORSE STANZIATE PER IL 2020 PER CONOSCENZA E RICERCA
Nella tabella sottostante vengono indicate le risorse pubbliche, molto al di
sotto delle aspettative, che la Legge di Bilancio (la L. 160/2019) approvata a
fine dicembre ha riservato ai comparti della Scuola, dell’Università e della
Ricerca.
Un progetto di legge targato M5S cambierebbe la scuola, ed è difficile non accoglierlo positivamente. È la proposta di legge n. 877, presentata da deputati pentastellati e che ha come primo firmatario Lucia Azzolina e tra gli Luigi Gallo, presidente della Commissione Cultura della Camera. Da una settimana ha iniziato il suo iter di approvazione ma la strada è tutta in salita.
L’attuale normativa
Attualmente vige il DPR 81/2009, approvato dall’ultimo esecutivo Berlusconi, che ha permesso la concentrazione di alunni sino ad arrivare alla presenza di oltre 30 iscritti per classe.
“Progetto inattuabile”
Sebbene quindi sarebbe più che auspicabile per ovvie ragioni intervenire in tal senso e portare le classi a un ragionevole numero di frequentanti, l’opposizione parlamentare, in particolare il Partito Democratico e Forza Italia, riportano tutti con i piedi per terra parlando di “progetto inattuabile”, per via dei costi che comporterebbe.
Nel disegno di legge, si prevedono 338.500.000 euro per l’anno in corso e a salire per gli anni a venire fino a superare i 2 miliardi di euro a decorrere dal 2022.
C’è poi da considerare che chi conosce la scuola sa bene che l’incremento delle classi comporta, a cascata, anche delle spese indirette (di gestione, personale aggiunto, ecc.) che potrebbero far lievitare le economie preventivate dal ddl 877.
Il problema esiste, tanto che lo stesso Luigi Gallo, tra i firmatari della proposta di legge, ha fatto sapere: “Ci sarà tutto il mio impegno a chiedere le risorse necessarie al governo già per il 2020 per dare un segnale straordinario alla scuola. È una battaglia storica che vuole ridare dignità al nostro Paese, è una battaglia che si fa anche in Europa per far uscire dai vincoli di bilancio gli investimenti in istruzione e cultura. Noi in commissione continueremo a difendere il lavoro per cancellare le classi pollaio”. Quindi, di risorse al momento non se ne parla: semmai, si reperiranno, sempre se il governo si dirà d’accordo, solo a partire dal prossimo anno.
Anche per l’anno prossimo, quindi, potremmo ritrovarci con classi pure da 36 alunni. Perché, c’è scritto nella relazione illustrativa del disegno di legge “nelle scuole secondarie di secondo grado è attualmente possibile comporre classi di 33 alunni; se poi si tiene conto della possibilità di derogare fino al 10 per cento al numero massimo degli alunni per classe, prevista dall’articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, è facile comprendere come ad oggi sia legittimo e pienamente conforme alla legge comporre sezioni con ben 36 alunni”.
La situazione è seguita con attenzione dai sindacati, tra cui ANIEF che nelle scorse ore ha riassunto il tutto in una nota stampa.
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