Con il ritorno sui banchi di 5,6 milioni di alunni e presto dei quasi altri 3 milioni rimanenti, il personale torna a chiedere quell’attenzione che il Governo, anche attraverso le parole di stima del premier Giuseppe Conte per i docenti, ha promesso di non abbassare mai nel corso dell’anno scolastico. “Come Anief – ha detto oggi il suo presidente nazionale – crediamo che” vi sono diversi aspetti da affrontare, come “il contratto sulla mobilità e per questo motivo continueremo a produrre emendamenti per consentire che il diritto alla famiglia si contempli con quello al lavoro”.
TANTI PRECARI, POCHE FIGURE PROFESSIONALI
“Quest’anno, che si ricorderà per avere toccato il record di supplenti, lotteremo per la stabilizzazione dei precari. Gli ultimi concorsi – ha continuato Pacifico – è vero che ancora di devono svolgere: abbiamo toccato l’apice con oltre 50 mila immissioni in ruolo andate a vuoto. Quindi, continueremo con molta insistenza al rinnovo del contratto, come al rinnovo dei livelli professionali a partire da quello del personale Ata”, mai introdotti ma previsti per legge, “come anche dei lavoratori ‘fragili’ a cui bisogna fare ancora più attenzione durante i possibili contagi da Covid. Ma l’attenzione deve rimanere alta anche per coloro che svolgono dei ruoli mai riconosciuti” dallo Stato, “come i facenti funzione Dsga oppure coloro che hanno insegnato da precari ed ora rischiano di essere buttati fuori dalla scuola: pensiamo ai diplomati magistrale e agli insegnanti tecnico pratici”.
LE PAROLE D’ORDINE
“Quindi, le parole d’ordine sono ‘mobilità’, ‘contratto’, rinnovo di entrambi i contratti e di quello Collettivo nazionale, fermo da due anni, riconoscimento di tutte le figure professionali. E soprattutto una grande battaglia sugli organici e sui soldi del Recovery Fund destinati alla scuola. Dopo anni di tagli è ora di investire. Perché si parta dalla cultura, dalla formazione, dalle attività educative che i docenti, assieme al personale, dovranno portare avanti con i nostri studenti: tutti uniti, insieme ce la faremo”.
Cresce l’età media dei docenti italiani, con due su tre che hanno più di 50 anni. E con loro cresce anche il livello di usura psicofisica: lo sostiene il dottorVittorio Lodolo D’Oria, tra i massimi esperti nazionali sulle malattie derivanti da attività professionali, secondo il quale nella scuola, come in tutto il pubblico impiego, “dal 1992 al 2012 sono intervenute quattro riforme previdenziali ‘al buio’, cioè senza valutare la salute della categoria professionale dei docenti”. Marcello Pacifico (Anief): “Basta indugi: ci sono decine di migliaia di docenti in attesa, che meritano l’accesso alla pensione adottato nella maggior parte dei Paesi europei. In caso contrario, le loro condizioni psico-fisiche sono destinate a peggiorare, con lo Stato che se ne dovrà pure fare carico”.
La salute del corpo insegnante italiano non è buona. Dopo aver esaminato “i casi di due docenti relativamente giovani (la più grande ha 50 anni) che sono già stremate e manifestano le classiche somatizzazioni oltre a un forte senso di inadeguatezza nei confronti degli stessi alunni”, l’esperto di patologie da professione scrive su Orizzonte Scuola un’amara verità: “All’alba del terzo millennio non sono ancora riconosciute le malattie professionali degli insegnanti, non è finanziata la prevenzione e si usano terminologie che non hanno rilevanza medica ai fini della cura e dell’indennizzo (burnout, stress lavoro, correlato, rischi psicosociali). Nel giro di 20 anni siamo perciò passati dall’insostenibile situazione delle baby-pensioni ai 67 anni per andare in quiescenza. Stiamo perciò assistendo ai frutti degenerati di un sistema perverso”, conclude Lodolo D’Oria.
Anief ricorda che sull’incidenza delle patologie da stress ha certamente il suo peso l’ultimo rapporto realizzato dalla Commissione europea sull’età degli insegnanti italiani, ormai avanti negli anni come nessuno in Europa: ben il 58% ha oltre 50 anni, contro una media Ocse del 34%. Inoltre, sempre per la Commissione Ue, “l’Italia ha una delle più alte percentuali di insegnanti donne tra gli Stati membri, donne che quasi sempre devono sobbarcarsi il carico della famiglia e dei figli: nel 2016 – si legge ancora nel rapporto dell’Ue – le insegnanti donne erano il 99% nella scuola materna, il 63% nella secondaria superiore e il 37% nelle università”.
Dopo avere esaminato certi numeri, bisogna poi giungere alle inevitabili conclusioni. Quelle a cui è giunta di recente l’Organizzazione mondiale della Sanità, secondo la quale il burnout è il tipico malessere cronico che si riscontra nei lavoratori della scuola, come una sindrome che conduce allo ‘stress cronico’ impossibile da curare con successo. Il sindacato, a questo proposito ha chiesto di collocare l’insegnamento, non solo quello nella scuola dell’infanzia, nell’Ape Social.
“Il Governo – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – deve avviare un’inchiesta come abbiamo in passato scritto al MEF perché non ha mai voluto verificare il tasso di segnalazioni di stress da lavoro correlato nell’esercizio della professione del personale docente, Ata e dirigenziale né il numero di patologie invalidanti. La volontà di evitare magari nuovi aggravi finanziari dovuti al riconoscimento di quello che sempre più studi ci dicono non può compromettere la corretta adozione di tutti gli strumenti per contenere e monitorare questo fenomeno nel servizio che vogliamo offrire ai cittadini e nella tutela dei lavoratori. E non parliamo di malanni passeggeri di poco conto. Basta dire che le malattie professionali dei docenti che determinano l’inidoneità all’insegnamento nell’80% dei casi presentano una diagnosi psichiatrica“.
Un’indagine nazionale, volta a indagare diversi ambiti problematici connessi con lo sviluppo della sindrome di burnout, ha rilevato che l’alta incidenza di malattie psichiatriche ed oncologiche tra coloro che soffrono o hanno sofferto di stress da lavoro è correlata, tra i docenti, alla mancanza di una rete (di esperti, di colleghi, etc.) che contribuisca a fornire un supporto sempre presente e disponibile nei momenti di inevitabile difficoltà vissuti in ambiente scolastico.
“È ora di finirla con la convinzione errata che appiattisce le professioni – continua Pacifico -: siccome stiamo parlando di un lavoro stressante e gravoso, quale è l’insegnamento, è giunta l’ora che i docenti italiani vengano collocati in pensione così come avviene nei Paesi europei con i loro insegnanti: attorno ai 60 anni di età o con meno di 30 anni di contributi e senza particolari decurtazioni sull’assegno di quiescenza. Non più legando l’uscita dal lavoro all’aspettativa di vita, come accade da noi”.
Comunicato stampa della Federazione dei Lavoratori
della Conoscenza CGIL – Nel
conto annuale 2017 pubblicato dalla Ragioneria Generale dello Stato si legge
della perdita che hanno subito i salari del personale della scuola e del fatto
che essi siano tra i più bassi della Pubblica amministrazione.
La
muta eloquenza dei numeri non ha bisogno di alcun commento e denuncia la grave
responsabilità della politica che sottopaga la classe intellettuale che ha la
responsabilità di formare le future generazioni. Un fatto indegno di un paese
civile.
A
questo proposito le denunce sindacali sono state poste da tempo alle
controparti e con i conti alla mano: a parità di lavoro, i docenti italiani
guadagnano in media 8000 euro l’anno in meno rispetto ai colleghi europei.
Il
tempo è ormai scaduto. Il Governo crei le condizioni per aprire le trattative
per il rinnovo di un Contratto nazionale di lavoro che ci avvicini all’Europa,
abbandonando l’insano progetto della regionalizzazione del sistema di
istruzione che porterebbe con sé la territorializzazione dei diritti e delle
retribuzioni.
Al
rinnovo del CCNL si dovrà necessariamente accompagnare il rilancio di una
politica di investimenti in istruzione, formazione e ricerca, che riallinei il
nostro Paese al resto d’Europa.
Questo il terreno su cui incalzeremo la politica con un’azione forte, puntuale
e costante a partire dalla mobilitazione indetta unitariamente con tutti gli
altri sindacati della scuola.
“Di principio, la legge è chiara, perché lo dice l’art. 64 della legge
133/2008: il 30% dei risparmi dovuti ai tagli del tempo scuola, delle scuole
autonome, del personale Ata e docente devono essere utilizzati per costituire
un fondo per premiare la carriera dei docenti”, apre così una nota dell’Anief
riguardante il merito dei docenti.
Marcello Pacifico, presidente Anief: Sono trascorsi dieci anni, nel
frattempo il personale e le famiglie hanno pagato il conto in termini di
diritti e servizi ridotti, ma i soldi sono scomparsi. Invitiamo il Ministro
dell’Istruzione a trovare le risorse sottratte dal MEF e a disporle al tavolo
della contrattazione per adeguare gli stipendi ai livelli europei.
Dopo l’ultima riforma della scuola Pd, anche il governo M5S–Lega apre al
merito dei docenti: rispondendo ad una domanda sull’argomento, lo fa intendere
il Ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, sottolineando che al Miur si sta
cercando di lavorare in funzione dei bisogni degli studenti e quindi “chi
lavorerà e si impegnerà dovrà per forza essere considerato di più”.
Nessun particolare è stato però riservato dal Ministro “sulle modalità di
realizzazione e sui fondi che saranno utilizzati. Il pensiero non può che
correre al bonus merito della Buona Scuola, al momento gestito autonomamente
dalle scuole, ma che, ad oggi, ha lasciato scontenti molti docenti”.
Poi è arrivato un elogio, sempre da parte del Ministro, all’autonomia
scolastica che ha compiuto da poco 20 anni. “L’autonomia – ha detto – dà la
possibilità di responsabilizzare e deve finalizzare al miglioramento delle
competenze dei nostri studenti”. Per potenziarla, tuttavia, bisogna fare
sinergia, fare squadra con le istituzioni locali: “noi ci siamo e siamo
disposti a sostenere la volontà di mettere in campo progettazioni mirate”, ha
concluso Bussetti.
QUEI RICAVI DEI TAGLI
CON PRECISA DESTINAZIONE
Il sindacato Anief non vuole entrare nel merito delle posizioni del governo
sulla meritocrazia professionale. Tuttavia, prima di avviare qualsiasi forma di
incentivo per il personale scolastico, il Ministro dell’Istruzione ha il dovere
di spiegare dove sono finiti gli 11 miliardi che lo devono finanziare.
A stabilirne l’entità finanziaria da assegnare a questo “capitolo di spesa”
è stato il famigerato articolo 64 della Legge
133/2008, che dette il via al dimensionamento scolastico, con conseguente
sensibile riduzione del numero di istituti, di classi e di personale: quella
norma, ancora in vigore, diceva, in sostanza, che il 30% dei risparmi ricavati
dai tagli del tempo scuola, delle scuole autonome, del personale Ata e docente,
avrebbe dovuto essere utilizzato per costituire un fondo finalizzato a premiare
la carriera dei docenti.
COSA DICE L’ART. 64
DELLA LEGGE 133/2008
Nello specifico, al comma 6 dell’art. 64 della L. 133 del 2008, erano
previste “economie lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per
l’anno 2009, a 1.650 milioni di euro per l’anno 2010, a 2.538 milioni di euro
per l’anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012”; mentre
al comma 9 dello stesso articolo di legge si indicava che “una quota parte delle
economie di spesa di cui al comma 6” sarebbe stata “destinata, nella misura del
30 per cento, ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le
iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale
della carriera del personale della Scuola a decorrere dall’anno 2010, con
riferimento ai risparmi conseguiti per ciascun anno scolastico”.
“Gli importi corrispondenti alle indicate economie di spesa”, inoltre, si
sarebbero dovuti iscrivere “in bilancio in un apposito Fondo istituito nello
stato di previsione del Ministero dell’istruzione dell’università e della
ricerca, a decorrere dall’anno successivo a quello dell’effettiva realizzazione
dell’economia di spesa”, per essere poi “resi disponibili in gestione con
decreto del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca subordinatamente
alla verifica dell’effettivo ed integrale conseguimento delle stesse rispetto
ai risparmi previsti”.
Le assegnazioni e ripartizioni economiche si sarebbero dovute realizzare
con modalità continuativa, tanto che al comma 10 dello stesso art. 64 si è
prevista la realizzazione di “un comitato di verifica tecnico-finanziaria
composto da rappresentanti del Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca e del Ministero dell’economia e delle finanze, con lo scopo di
monitorare il processo attuativo delle disposizioni di cui al presente
articolo, al fine di assicurare la compiuta realizzazione degli obiettivi
finanziari ivi previsti, segnalando eventuali scostamenti per le occorrenti
misure correttive”.
IL COMMENTO DEL
PRESIDENTE ANIEF
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, il problema è che
“sono trascorsi dieci anni, il personale e le famiglie hanno pagato il conto in
termini di diritti e servizi ridotti, ma i soldi nel frattempo sono scomparsi.
Invitiamo il Ministro dell’Istruzione a trovare le risorse sottratte dal
Ministero dell’Economia e delle Finanze, e a disporle al tavolo della
contrattazione sindacale per adeguare gli stipendi del personale scolastico ai
livelli europei, quindi con aumenti pari a non meno di 200 euro al mese”.
I
docenti titolari di ambito e con incarico triennale diventeranno titolari nella
scuola di attuale incarico dal 1° settembre 2019.
Così
stabilisce l’articolo 6, comma 8, del CCNL 2016/18:
“Prima
di eseguire la mobilità, i docenti con incarico triennale, ivi inclusi i
docenti con incarico triennale in scadenza al 31 agosto 2019, acquisiscono la
titolarità sulla scuola di incarico. I docenti titolari su ambito, privi di
incarico su scuola, sono assegnati sulla provincia”
I
docenti interessati, ossia coloro i quali sono al momento titolari di ambito,
non devono presentare nessuna domanda per acquisire la titolarità nella scuola
di incarico triennale.
Le
operazioni sono state effettuate in automatico attraverso il sistema SIDI.
I
docenti che da ieri accedono a Istanze online per presentare la domanda di
mobilità, trovano la nuova titolarità già inserita nella scheda anagrafica.
Anche
coloro che non vogliono presentare domanda di mobilità, possono (ma è solo una
curiosità) visualizzare la nuova dicitura di titolarità accedendo alla
compilazione della domanda che, ovviamente, non sarà compilata se non di
interesse.
“Per le tante decine di
migliaia di docenti precari di terza fascia si sta facendo molto meno di quello
che era stato promesso: a questi insegnanti non servono punti in più, ma corsi
abilitanti e l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento con l’avvio
contestuale del doppio canale di reclutamento. È un passaggio chiave ed
imprescindibile se si vuole davvero vincere una volta per tutte la supplentite cronica nella scuola:
pensare di cavarsela, come ha fatto il governo giallo-verde, con un emendamento
che dà una supervalutazione del servizio in occasione del prossimo concorso,
non serve a molto”. A dirlo è Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief,
commentando l’avvenuta approvazione della modifica all’interno del Ddl 1018
relativo alla conversione in legge del decreto 28 gennaio 2019, n. 4 che apre a
quota 100 e al reddito di cittadinanza.
LA
TESI DELLA SENATRICE BIANCA LAURA GRANATO (M5S)
Le ragioni dell’esecutivo
sono state oggi espresse dalla senatrice Bianca Laura Granato (M5S), secondo la
quale si starebbe rispettando “il contratto di governo nel modo in cui abbiamo
potuto, visto che nelle more della legge di bilancio sono stati vinti alcuni
ricorsi che hanno reso impraticabile la via del concorso riservato. Mi
riferisco al transitorio della secondaria, laddove risultano bloccate le
rispettive graduatorie. Vogliamo far funzionare la scuola pubblica e
valorizzare il precariato – ha continuato la senatrice -. Ecco perché oltre a
destinare il 10% dei posti ai precari, nel concorso verrà valutato il servizio
grazie ad un emendamento che abbiamo approvato in commissione finito nel
decreto quota 100”.
La senatrice
pentastellata sostiene anche di non avere “alcun dubbio che docenti con
servizio siano in grado di superare il concorso meglio di altri appena usciti
dagli studi”, perché “l’esperienza è un valore aggiunto insostituibile. Ma a
questi timori vanno date delle risposte e vanno individuati correttivi, se
possibile, alle procedure concorsuali. Parlerò con il Ministro per trovare
soluzioni”, ha concluso Granato.
LE
RICHIESTE ANIEF
Anief invita la senatrice
a percorrere una delle strade indicate da tempo dal giovane sindacato:
aumentare la quota di accesso prevista dalla legge di stabilità per tutti i
docenti precari di terza fascia d’istituto. Oppure avviare un corso abilitante
e permettere la loro successiva collocazione nelle GaE. A meno che non si
voglia pensare ad un loro reclutamento dalla seconda fascia delle graduatorie
d’istituto. “Occorre percorrere una di queste strade – dice ancora il
presidente Anief – ed anche in fretta, perché se non si sana una volta per
tutte la loro posizione si rischia concretamente di andare incontro ad un
blocco delle attività didattiche”.
Il sindacato autonomo
ricorda che la Legge Europea, illustrata da Anief ai parlamentari del Senato,
prevede che gli stati membri debbano provvedere alla “conversione automatica
del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato se il
rapporto di lavoro perdura oltre una data precisa”, ovvero 36 mesi anche non
continuativi qualora stiano operando su posto vacante e disponibile. Una
soluzione che, tra l’altro, andrebbe anche a risolvere il problema delle 150
mila supplenze annuali o al termine delle attività didattiche.
Per questi motivi, Anief
ha chiesto anche di introdurre una apposita modifica al decreto-legge 14
dicembre 2018, n. 135, il cosiddetto decreto Semplificazioni, attraverso
un’audizione tenuta presso la I Commissione Affari Costituzionali del Senato,
andando a rivedere il comma 2 dell’articolo 10 del decreto Semplificazioni,
sostituendo all’articolo 1, comma 792 della legge di bilancio 2019, lettera o),
punto 2, le parole “10 per cento” con “50 per cento”: nella richiesta si è
chiesto, di fatto, la stabilizzazione del personale docente non abilitato con
36 mesi di servizio attraverso l’estensione della quota di posti riservata.
L’EUROPA
CHIAMATA IN CAUSA
La decima Sezione Corte
di Giustizia Europea solo pochi mesi fa ha emesso la sentenza C-331/17 Sciotto
che, richiamando “la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES,
UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato”, ha ribadito che gli stati membri
non possano osteggiare tale indicazione e nemmeno discriminare determinate
categoria di lavoratori. Invece, in Italia si continua proprio a fare questo.
Novità per la mobilità docenti 2019. Come sappiamo, la mobilità territoriale o professionale è possibile solo per quelle cattedre vacanti all’interno dell’autonomia delle singole scuole, ossia quelle cattedre che non hanno un docente titolare.
La mobilità docenti non sarà possibile per quelle cattedre che si rendono disponibili per motivi diversi dalla totale assenza del docente titolare, ossia perché collocato fuori ruolo, per mandato politico o per aspettativa. Su queste, infatti, la disponibilità si concretizza di fatto anche per un intero anno, ma il docente titolare è sempre il detentore della stessa.
Come chiarito dall’articolo 8 comma 1 del CCNI, la disponibilità per inoltrare domanda di mobilità territoriale, sono determinate dalle vacanze effettive che si sono configurate a causa delle variazioni di stato giuridico del personale. Di conseguenza, se si dovessero creare cattedre libere a causa di dimissioni, decadenza del contratto o collocamento a riposo, si potrà, tramite domanda o tramite procedimento d’ufficio, candidarsi secondo le disposizioni ministeriali.
Quali tipologie di cattedre sono disponibili per le operazioni di mobilità docenti?
Posti in Istituti ex-novo per l’organico dell’autonomia e mancanti di personale titolare.
Cattedre già vacanti ad inizio anno o che dovessero rendersi tali durante lo stesso che vengano comunicati al sistema informativo nei termini previsti.
Posti non assegnati in via definitiva al personale assunto a tempo indeterminato.
I posti vacanti a causa dei movimenti in uscita, tranne per la sistemazione del soprannumerario della provincia.
Cattedre non disponibili per la mobilità
Posti disponibili di fatto ima non vacanti nell’organico dell’autonomia.
Posti la cui disponibilità non è stata trasmessa al sistema informativo entro il termine prefissato dal MIUR.
Alcune cattedre sono, invece, detratte alla mobilità docenti. È il caso di quei posti occupati da personale ritornato dopo il collocamento fuori ruolo. Per l’anno scolastico 2019/20 sono detratte, inoltre, quelle cattedre il cui personale docente è stato in servizio per l’a.s. precedente assunto con il concorso indetto tramite il DDF 85/2018 e inserito nelle relative graduatorie.
Buone notizie per i circa 739mila insegnanti italiani: è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Contratto collettivo nazionale di Lavoro per il personale del comparto scuola. L’accordo, firmato lo scorso aprile all’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni), è però già causa di discussione perché – a differenza di quanto riportato in Gazzetta Ufficiale – la firma del sindacato SNALS CONFSAL è stata smentita dai vertici del sindacato stesso.
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