Lo sciopero di tutto il personale scolastico proclamato per lunedì 8 giugno è confermato e si svolgerà regolarmente. I sindacati hanno inviato alla Commissione di Garanzia una nota nella quale, oltre a confermare le motivazioni dello sciopero e la data dell’8 giugno per la sua effettuazione, spiegano le ragioni per le quali, a scuole chiuse, vengono meno a loro parere i motivi alla base dell’obbligo di preavviso di 15 giorni, legati esclusivamente alla necessità di comunicare alle famiglie quali livelli di servizio si preveda di poter erogare, anche sotto il profilo della custodia e vigilanza sui minori.
Non essendovi oggi questa esigenza, che sussiste unicamente per la scuola, i sindacati ritengono sufficiente il preavviso di dieci giorni previsto in via generale per i pubblici servizi.
Lo sciopero resta pertanto confermato e riguarderà, per l’intera giornata, personale docente, educativo, ATA e Dirigenti Scolastici.
“Hanno le loro ragioni, i promotori dello sciopero generale nella scuola proclamato per il prossimo venerdì 14 febbraio: la stabilizzazione di tutti i docenti precari con più di 36 mesi di servizio, infatti, assieme ad altri punti nevralgici – come la mancata equiparazione dei supplenti sul piano dei diritti contrattuali, il reclutamento da rivedere di sana pianta e l’emergenza stipendi – rappresenta un passaggio cruciale per dare finalmente una svolta a un sistema scolastico italiano sempre più in difficoltà”. Lo afferma Anief in una nota.
Anief, quindi, solidarizza pur non aderendo con i promotori della giornata di
sciopero: ritiene infatti pertinenti le
motivazioni che hanno portato alla mobilitazione, a partire dalla decisione
di approvare un decreto scuola, con la Legge
n. 159 del 20 dicembre scorso e la pubblicazione del testo nella Gazzetta
Ufficiale, che solo sulla carta “promette 24 mila posti ai docenti precari
con più di 36 mesi di servizio: di fatto – spiegano le organizzazioni – a causa
dell’attuale, progressivo e sempre meno tollerabile rigonfiamento dell’organico
di fatto, saranno necessari molti anni per immettere interamente i docenti
precari in ruolo”.
“La verità – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è che le
politiche degli ultimi governi hanno lasciato sostanzialmente immutata, la
questione del precariato scolastico italiano. Mai si era infatti arrivati a un
numero così alto di supplenti, chiamati
tutto l’anno a coprire ormai oltre 200 mila posti vacanti, che il Miur si
ostina quasi sempre a nascondere nell’organico di fatto, proprio per evitare le
stabilizzazioni e lucrare anche sulle supplenze estive. Trascinando i precari
verso un’età media di assunzione a tempo indeterminato sempre
più alta. Una politica che Anief ha ‘stanato’ da tempo, chiedendo al
Parlamento di interromperla approvando precise richieste anche al recente di decreto
Milleproroghe. E che continua a contrastare in tribunale, come in seno alla
giustizia europea”.
“Ecco perché – dice il sindacalista – chiediamo a gran voce, oltre che dei
bandi per un numero molto più alto di posti, anche l’estensione della
partecipazione alla procedura riservata per tutti gli esclusi, rivendicando una
prova unificata per i precari del sistema nazionale di istruzione, l’accesso
libero al Pas senza pre-selezione, una valutazione maggiorata del servizio
nella tabella dei titoli, il superamento con la sufficienza della prova
pre-ordinata, la possibilità di scegliere una seconda lingua comunitaria oltre
l’inglese. Le strategie di risparmio pubblico sulla pelle dei precari di Stato,
stavolta ha escluso, producendo una vera discriminazione, supplenti della
dall’infanzia e primaria, maestri con diploma magistrale e Insegnanti tecnico
pratici già assunti in ruolo e licenziati in un secondo tempo, oltre che
tantissimi docenti di religione. E con loro anche educatori, Dsga facenti
funzione e decine di migliaia di Ata, che si vedono scavalcare dagli ex
lavoratori socialmente utili”.
All’Aran si è tenuto un ulteriore incontro per rinegoziare l’accordo sui servizi minimi in caso di sciopero.
L’Agenzia è rimasta ferma nel proporre la possibilità di precettare un certo numero docenti in caso di sciopero e la Gilda-Unams ha ribadito la propria netta contrarietà a questa ipotesi.
Riteniamo inaccettabile una proposta che preveda un ulteriore compressione del diritto di sciopero e che imponga il demansionamento dei docenti precettati, i quali, oltre a vedersi precludere la possibilità di scioperare, verrebbero assoggettati ad un ruolo di mera vigilanza nei confronti degli alunni.
Alcuni passi avanti sono stati fatti, invece, per quanto riguarda la richiesta avanzata dall’Aran circa la possibilità, per i dirigenti, di chiedere ai docenti di presentare una dichiarazione di adesione o meno allo sciopero. Dichiarazione che sarà facoltativa. E anche per quanto riguarda l´obbligo, per le istituzioni scolastiche, di informare i genitori sul peso delle organizzazioni sindacali che abbiano indetto lo sciopero. In questa materia l’Aran ha specificato che le informazioni da dare alle famiglie dovranno riguardare solo le astensioni proclamate nell´anno in corso e in quello precedente.
Centinaia di lavoratori della scuola hanno protestato a Roma, davanti Montecitorio, per chiedere modifiche all’inconcludente decreto salva scuola e al deludente capitolo del comparto Istruzione della Legge di Bilancio.
La manifestazione, svolta nel giorno dello sciopero nazionale Anief aperto a tutto il personale docente e Ata, di ruolo e precario, agli educatori, al personale Ata, dell’Afam e dell’Università, ha voluto sensibilizzare il Parlamento, dove in questi giorni è entrato nel vivo il confronto sul decreto ribattezzato “salva precari bis”: il testo è giunto all’esame delle Commissioni di competenza, prima del voto finale dell’Aula previsto a fine mese.
Il leader dell’Anief, Marcello Pacifico, ha detto, prima alla piazza e poi ai parlamentari, che “sul precariato cronico italiano è giunta l’ora di trovare soluzioni adeguate rispetto al diritto dell’Unione Europea, ma anche della nostra Costituzione. È bene che, come accaduto in passato, i nostri governanti della scuola abbiano la coscienza di ascoltare le richieste di chi, come l’Anief, segue da anni le necessità dei lavoratori della scuola, ad iniziare da quelli precari. I problemi riguardanti alcuni particolari e sentiti temi, come gli organici sottodimensionati, i profili professionali bloccati e le cattive norme che regolano il reclutamento del personale, non si possono risolvere da soli o con provvedimenti deboli”.
Ai lavoratori della scuola non piacciano i decreti che il Governo si
appresta a varare. Oggi i manifestanti lo hanno detto a gran voce, partecipando
al sit-in Anief di Montecitorio, chiedendo anche delle soluzioni per risolvere
una volta per tutte la piaga del precariato e della supplentite, ma
anche per chiedere stipendi adeguati da assegnare al personale della scuola e
diverse soluzioni che migliorerebbero la vita scolastica in modo deciso.
Sempre nella stessa mattinata, una delegazione del giovane sindacato Anief, guidata dal presidente nazionale Marcello Pacifico, ha presentato nel corso di un’audizione tenuta presso la VII e XI Commissione riunite della Camera ben trenta proposte di modifica, anche al fine di fare condannare l’Italia alla procedura d’infrazione per la mancata stabilizzazione di decine e decine di migliaia di precari della scuola italiana pur in presenza di posti vacanti e disponibili.
“Anief si batterà sino all’ultimo – ha spiegato il suo presidente nazionale
perché vengano portati a termine questi obiettivi in sede parlamentare, ben
definiti nella piattaforma sindacale.
Nel frattempo, comunque, il giovane sindacato ha deciso di aprire
le preadesioni gratuite ai ricorsi, al fine di tutelare nelle sedi
opportune i diritti dei troppi docenti, amministrativi, tecnici e collaboratori
scolastici, facenti funzione Dsga, dirigenti tecnici con incarichi temporanei e
ora anche esclusi dal nuovo concorso riservato oppure al corso abilitante o di
specializzazione per l’insegnamento agli alunni con disabilità accertata. Ma
anche per andare a determinare una riflessione
seria sui testi ora all’esame di Montecitorio”.
No regionalizzazione scolastica, piazza Montecitorio ore 14.00 (orario di ingresso dei parlamentari), il 25 giugno 2019 a Roma “Sì all’eguaglianza dei bambini e giovani italiani, no alla scuola regionalizzata”. Questo il comunicato di convocazione della manifestazione da parte dei suoi organizzatori.
Il comunicato
Si è dimostrato con la Sanità che anche qualora lo stato mantenesse l’autorità di stabilire i Livelli Essenziali minimi, il processo di controllo, sanzione e sussidiarietà, è risultato pressoché inapplicabile e inapplicato.
I cittadini sono tutti uguali, i bambini devono essere tutti eguali di fronte ai diritti costituzionali, primo fra tutti l’istruzione. Per tutelare il valore di eguaglianza naturale dei cittadini, la costituzione istituisce il sistema statale pubblico dell’obbligo scolastico con cui si garantisce a tutti la qualità del livello d’istruzione ed educazione sui comuni valori etici e sociali di solidarietà e cooperazione anche per superare ogni tipo di disuguaglianza e discriminazione. L’autonomia differenziata risulterebbe lesiva di principio sancito storicamente sin dalla proclamazione della Repubblica. Infatti una qualsiasi modalità di differenziazione della tipologia e qualità della scuola dell’obbligo per territori porterebbe, ancorché fossero garantiti i livelli minimi (condizione per esperienza irrealizzabile), ad una sperequazione sul livello di istruzione sostenuto con la spesa pubblica e quindi ad un’effettiva scuola di serie A per le regioni più ricche ed una di serie B per le regioni meno ricche e la possibilità di discriminazioni negli stessi territori, come già avviene, sulla base di una discrezionalità nel distribuire le risorse e le opportunità. Va evidenziato che questa differenziazione sulla qualità della scuola pubblica su base regionale ingigantirebbe gli ostacoli per le fasce meno abbienti della cittadinanza impedendone il pieno sviluppo della persona umana e ” limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini ” (art. 3 della Costituzione) .
La protezione della scuola repubblicana è la difesa della scuola statale, attaccata da diversi decenni attraverso tagli economici. Siamo infatti il terzultimo paese per spesa pro capite per l’istruzione pubblica e l’ultimo per la quota di questa spesa sul totale della spesa pubblica. Questa aggressione viene portata avanti anche con l’incremento continuo della burocratizzazione: dal Dirigente scolastico all’ultimo applicato di segreteria, devono compilare moduli per le più banali e ripetitive attività. Possiamo capire cosa significa la regionalizzazione: permettere alle Regioni più forti di migliorare le proprie scuole a danno delle Regioni più povere. Si tratta di autorizzare regioni con il 40% del PIL italiano a trattenere un’alta percentuale dei tributi pagati dai cittadini, senza contare che ci possono essere differenze di luogo tra la produzione e la riscossione qualora le aziende del nord hanno i loro stabilimenti al sud.
Esempi degli effettletali della regionalizzazione lo abbiamo già nella formazione professionale che da anni, con la riforma del titolo V° della Costituzione, è stata totalmente attribuita alle regioni (legge 53/03) che in merito hanno ottenuto pieno potere legislativo. Vediamo come risultato una totale difformità di qualità formativa ed un dissolvimento degli enti pubblici in favore dei vari enti privati convenzionati (ovvero finanziati con soldi pubblici) perlopiù afferenti agli ordini religiosi o legate in qualche modo alle tre principali sigle sindacali nazionali. Constatiamo che di fatto tali enti privati sono arrivati a condizionare la legislazione regionale a loro favore, degli enti non certo degli studenti. Esempio ne è stata la legge sul “sistema educativo regionale di istruzione e formazione professionale” del Lazio, ovvero la LR 5/15 della giunta Zingaretti che era partita addirittura come “la legge della suora”, e che solo grazie all’opposizione M5S, è stata riequilibrata a vantaggio dei cittadini e non degli enti privati, nel caso religiosi. Bisogna allora stare molto attenti e mettere bene a fuoco gli effetti della Regionalizzazione sul settore scolastico formativo, non si tratta solo dei programmi scolastici; si tratta dell’assunzione del personale scolastico con concorsi regionali per dirigenti, docenti e non docenti e della messa in ruolo nella Regione; si tratta che le Regioni potranno decidere chi va dove e di quanto personale potrà disporre una scuola. Non esiste alcuna motivazione organizzativa alla dimensione regionale del sistema scolastico. L’unico effetto sarebbe di permettere alla politica regionale di influenzare assunzioni e concorsi dirigenziali del sistema scolastico, come successo in ambito sanitario, rendendo la scuola uno strumento di scambio elettorale. Questi effetti di malamministrazione specifici delle Regioni porteranno anche per la scuola come per la sanità ad incrementare il divario della qualità della scuola tra NORD e SUD. Se vediamo il divario è già presente tra nord e sud sia nel maggiore abbandono scolastico sia nel livello di efficacia formativa come risulta dai dati INVALSI. Con la regionalizzazione, che porta maggiori risorse alle Regioni più ricche del NORD, si avrà un incremento di tale divario a danno dei bambini e giovani italiani residenti al sud. Altro esempio di analogia con la sanità della differenza nord sud causata dalla regionalizzazione sta nella qualità degli edifici, nella popolazione degli alunni per classe, basta vedere un ospedale in Lombardia ed uno in Calabria, e scoprire che la differenza non viene dalla geografia, ma dalle superiori risorse assegnate alla Lombardia rispetto la Calabria rispetto a parita di posti letto. Si tratterà anche di favorire enti privati ponendoli a carico della spesa pubblica, come avviene già per la formazione professionale e in misura maggiore per la sanità, dove alla inefficienza delle strutture pubbliche le Regioni fanno fronte con convenzioni con enti privati. La già disattesa regola costituzionale delle scuole private senza oneri per lo stato, sarà ancora più disattesa. Quindi non solo scuole pubbliche di serie A e di serie B, ma anche il proliferare di scuole private convenzionate (pagate) con le Regioni. E’ inoltre da considerare che la separazione di competenze al momento centralizzate non può che incrementare il costo complessivo di gestione del sistema scolastico a causa delle numerose duplicazioni di funzioni al momento centralizzate a livello nazionale.
Non si tratta solo di contestare con un chiaro e semplice NO alla scuola regionalizzata, si tratta di prendere coscienza e portare avanti proposte capaci di interrompere ogni tentativo di disgregazione della Istruzione Pubblica Statale della Repubblica, cominciata con la Riforma Berlinguer e consolidata con la Legge 62 di Fioroni. Proponiamo e pretendiamo una inversione di rotta:
più risorse per la scuola: raggiungere il 6% del PIL a partire dalla prossima finanziaria,
messa in sicurezza degli edifici,
riduzione degli alunni per classe,
adeguamento degli stipendi alla media europea per il personale scolastico (dirigenti, docenti, non docenti),
assunzione in ruolo solo per concorso statale con obbligo di conoscenza lingua e cultura italiana,
privilegiare la formazione curriculare sulla progettazione,
scuola-lavoro, fuori dall’orario scolastico e solo con retribuzione al discente,
controllo della qualità del servizio solo attraverso l’ispettorato ministeriale statale,
estensione dell’obbligo di scolastico da 16 a 18 anni,
incremento dei nidi e scuole materne gratuiti,
stabilità pluriennale nell’organizzazione formativa e discipline di esami,
mantenimento del valore legale del titolo di studio,
formazione dei docenti di qualità solo presso le università statali, con programmi standard certificati e con esame di abilitazione professionale
ultimo ma non meno importante, riportare le competenze della formazione professionale, allo stato.
L’autunno caldo degli scioperi relativi al comparto istruzione continua: è di poche ore fa la notizia dello stato di agitazione, proclamato dall’ULM SCUOLA per il 12 novembre, manifestazione alla quale hanno aderito i comitati Nastrini Liberi Uniti, DISA 2014, Osservatorio Diritti scuola e il Comitato 8.000 esiliati fase B Docenti Immobilizzati.
L’obiettivo dello sciopero è quello di portare all’attenzione del MIUR le problematiche degli insegnanti dislocati sul territorio, che hanno la necessità di tornare nelle loro città di origine, soprattutto al meridione.
Ancora una volta, dunque, la questione territoriale è al centro: sono numerosissimi i docenti costretti al trasferimento o al pendolarismo pur di poter insegnare e inseguire il sogno di una vita. Insegnanti e personale sottoposti a stress mentale, fisico ed emotivo, perchè la lontananza da casa si fa sentire e non permette di godere appieno di una vita dignitosa e soddisfacente.
Nella nota a firma di Nastrini Liberi Uniti, DISA 2014, Osservatorio Diritti scuola, Comitato 8000 esiliati fase B, Docenti Immobilizzati gruppo fb, che appoggiano lo sciopero della ULM Scuola, si legge: “È la prima volta in assoluto che viene indetto uno sciopero con l’unica motivazione del rientro dei docenti meridionali nelle proprie terre. Ed ora più che mai, in un momento in cui la forbice delle disuguaglianze tra Nord e Sud potrebbe subire un’accelerazione proprio a partire dal sistema scolastico con l’ipotesi di avviare una regionalizzazione iniziando dalle regioni più ricche del nostro paese, è di vitale importanza essere uniti e gridare le nostre ragioni.
Abbiamo preso coscienza delle intenzioni del Ministero e del Governo emerse nell’incontro avvenuto al MIUR il 16 ottobre 2018 con una nostra delegazione di docenti e siamo molto preoccupati: nessun fondo inserito in legge di bilancio e dunque nessuna stabilizzazione di posti (unica soluzione costantemente chiesta dai docenti e veramente utile a tutte le componenti scolastiche), nessuna intenzione di aumentare in modo considerevole le percentuali riservate ai trasferimenti territoriali unita all’intenzione di realizzare un blocco triennale nei confronti del docente che otterrà trasferimento su una sede richiesta volontariamente, negando di fatto la libertà di movimento e la possibilità di riavvicinarsi a tappe nei propri territori. Dopo anni di politiche scolastiche scellerate nei confronti del personale insegnante, si continua a non voler trovare una strada ragionevole ed al contrario ancora ci si indirizza verso la scelta di canali plurimi di reclutamento ed idee che porteranno a perpetuare la guerra tra poveri in atto nel settore scolastico da decenni.
Scendiamo in piazza il 12 novembre per dire basta a tutto questo, per dire che c’è una soluzione concreta da mettere in atto ADESSO per i tanti docenti che, con un’età media intorno ai 50 anni, sono lontani dai propri territori e contesti: l’aumento della quota mobilità.
Non è necessario aspettare gennaio 2019 per dimostrare che c’è la volontà politica di affrontare un piano di rientro e non basta più essere riconosciuti solo come vittime delle politiche sbagliate del passato: i docenti meridionali desiderosi di tornare nelle proprie terre, sono comunque una risorsa e costituiscono attualmente una buona parte del personale a tutti gli effetti alle dipendenze del MIUR che deve dare loro ascolto migliorandone le condizioni lavorative con sicure ricadute positive sulla qualità del servizio reso.
E’ troppo lo scollamento tra quanto dichiarato durante la campagna elettorale ed ancora oggi ribadito nel contesto politico più ampio, e ciò che ormai sappiamo non c’è intenzione alcuna di fare.
Dobbiamo ancora una volta scendere in piazza!
Come comitati e associazioni siamo consapevoli che lo sciopero può riportare al centro del dibattito politico il nostro punto di vista che affermeremo nelle sedi opportune attraverso una ampia piattaforma programmatica.
Per questo, in continuità con le nostre lotte e con le innumerevoli iniziative portate avanti negli ultimi tre anni, aderiamo ad uno sciopero che ha come primario obiettivo rendere pubblico il disagio dei docenti esiliati e riteniamo che la posizione dell’ULM, così autoreferenziale ed intransigente rispetto al coinvolgimento nell’organizzazione e nella partecipazione allo sciopero dei comitati dei docenti esiliati ed immobilizzati, sia per noi in fondo ininfluente e secondaria rispetto alla decisione di appoggiare e promuovere tale manifestazione”.
La chiamata in piazza è prevista per l’11 settembre 2018 alle 9 per protrarsi fino alle 14. A Palazzo Montecitorio si discute l’approvazione del Milleproroghe, all’esterno l’Anief (Associazione nazionale insegnanti e formatori) manifesterà con il primo sciopero dei docenti dell’anno scolastico 2018/19 quando ancora non è del tutto iniziato in Italia.
Intanto prima dello sciopero Anief e Cobas hanno aperto la piattaforma unitaria.
Più che dimezzate le cattedre deserte
I partecipanti – spiega l’Anief in un comunicato – chiederanno l’approvazione dell’emendamento salva-precari che riapre le graduatorie ad esaurimento a tutto il personale docente precario abilitato, come avvenuto fino al 2012. Secondo l’Anief in tal modo si potrebbe garantire la copertura del 60% delle cattedre rimaste deserte in questi giorni di immissioni in ruolo e tutelerebbe i tanti insegnanti assunti a tempo indeterminato con riserva o che si accingono a frequentare il terzo anno del Fit.
25mila unità in meno
Sebbene i punti critici siano tanti – si pensi all’edilizia e alla sicurezza dei plessi scolastici che in questi giorni torna prepotente nel dibattito di denuncia in denuncia – da un punto di vista di assunzioni il Ministero guidato da Marco Bussetti aveva dato un imprinting forte per “ripartire bene” in quest’anno scolastico e farsi trovare pronti. Secondo i piani del Ministero entro inizio anno almeno 57mila docenti dovevano essere immessi in ruolo, di cui 13mila insegnanti di sostegno.
Come è possibile, quindi, che all’appello manchino circa 25mila unità?
Perché, per assurdo, mancano.
C’è una carenza strutturale che non ha permesso, soprattutto nelle regioni settentrionali, di avere un adeguato numero di candidati principalmente in tre specializzazioni:
insegnanti di sostegno;
docenti di matematica;
docenti di lingua spagnola.
I docenti abilitati non sono nelle graduatorie ad esaurimento, il bacino da cui dovrebbero venire assunti, ma restano nelle graduatorie d’istituto. Per loro resta quindi il nodo del concorso, che ancora è un miraggio all’orizzonte.
Mancano anche i presidi
Altro problema strutturale è quello della carenza dei dirigenti scolastici. Ad oggi in Italia le reggenze sono più di 1700. Il concorso per dirigenti scolastici si è tenuto lo scorso luglio, ma prima di arrivare a conclusione ci vorrà ancora del tempo. Nel frattempo, i reggenti continueranno a essere tali con situazioni limite in cui una sola persona era atta a gestire anche 19 strutture scolastiche.
Stesso discorso per i dirigenti amministrativi: ad oggi, ne mancano ancora circa 2400.
(immagine di copertina d’archivio dal sito Anief.org)
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