Premesso che le norme contenute nell’accordo non si discostano molto da quelle precedenti, a nostro avviso sono due, in particolare, gli elementi che vanno sottolineati:
Il Dirigente scolastico invita il personale a dichiarare la propria volontà di aderire o di non aderire allo sciopero. La scelta del verbo invitare non configura, dunque, l’obbligo di comunicare la decisione o meno di partecipare all’astensione dal servizio. Da considerare che se per ogni sciopero proclamato nel settore scuola tutti i docenti e gli ATA (circa 1.200.000) rispondessero all’invito dei Dirigenti scolastici, le segreterie sarebbero sommerse di mail, con un enorme aggravio burocratico, spreco di tempo e risorse non indifferente
In base a quanto stabilito dal Protocollo d’intesa tra Aran e Confederazioni sindacali del 31 maggio 2001, l’accordo sullo sciopero non è oggetto di contrattazione da parte delle RSU a livello di singola istituzione scolastica, bensì da parte delle rappresentanze sindacali a livello territoriale.
Lo afferma la Gilda degli Insegnanti che sul suo sito ha pubblicato integralmente la Scheda Tecnica elaborata dal suo Centro Studi Nazionale.
La Commissione di Garanzia Sciopero (CGS), con delibera n. 20/303, ha valutato idoneo il nuovo Accordo nazionale sulle norme di garanzia dei servizi pubblici essenziali e le procedure di raffreddamento e di conciliazione in caso di sciopero nel comparto “Istruzione e Ricerca”, sottoscritto all’ARAN da tutte le organizzazioni sindacali rappresentative del comparto (FLC CGIL, Cisl Fsur, Uil Scuola Rua, Snals Confsal, Gilda Unams e Anief Cisal) e le rispettive confederazioni il 2 dicembre 2020. L’accordo entrerà quindi in vigore, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che avverrà entro la fine dell’anno, superando definitivamente il rischio di adozione di una procedura di provvisoria regolamentazione, unilateralmente da parte della CGS.
“La trattativa all’ARAN che ha portato alla sottoscrizione dell’accordo – spiega la FLC Cgil in una nota – è durata più di un anno, stante anche le posizioni iniziali dell’ARAN che erano per noi irricevibili, in quanto avrebbero pregiudicato irrimediabilmente il diritto di sciopero nel comparto “Istruzione e Ricerca” e in particolare nella scuola”.
“Non vi era dubbio – continua il sindacato – che, dopo la costituzione del comparto “Istruzione e Ricerca” che unificava i precedenti quattro distinti comparti della scuola, dell’università, degli enti di ricerca e dell’AFAM, fosse necessario sottoscrivere un accordo di regolamentazione del diritto di sciopero che racchiudesse in un unico testo le attuali diverse discipline esistenti in materia. Eravamo però in presenza, in avvio del negoziato all’ARAN, di una proposta della controparte inaccettabile in particolare sul versante della scuola, dove nei fatti si sanciva l’impossibilità di aderire allo sciopero per la maggioranza del personale docente e ATA, con l’ampliamento del novero dei servizi essenziali ed il conseguente ampliamento abnorme dei contingenti di personale esonerato dallo sciopero”.
“Nell’accordo – spiega – invece si è giunti ad un testo che armonizza la preesistente disciplina dei vari settori, rafforzando gli obblighi di informazione all’utenza in capo ai dirigenti scolastici in occasione della proclamazione di uno sciopero, senza ampliare il novero delle prestazioni indispensabili e, di conseguenza, del personale contingentabile in caso di sciopero, mantenendo dunque in vigore il precedente testo. In tutto il comparto “Istruzione e Ricerca”, quindi, i servizi essenziali ed i contingenti di personale restano i medesimi. Importante aver portato a 10 giorni il preavviso per la proclamazione di sciopero che, per la sola scuola, era invece fissato in 15 giorni, creando non pochi problemi organizzativi, nonché l’aver ridotto i tempi per l’espletamento del tentativo di conciliazione in sede regionale, provinciale e locale. Un punto complicato della trattativa ha riguardato le franchigie, ovvero i periodi in cui non è possibile proclamare un’azione di sciopero. A fronte di una iniziale proposta ARAN di ampliamento di questi periodi si è concordato invece di considerare come franchigia nella scuola i soli giorni dal 1 al 5 di settembre e i 3 giorni successivi alla ripresa delle attività didattiche dopo la pausa natalizia e pasquale. Sul versante di università e ricerca sono rimaste sostanzialmente immutate le preesistenti normative, così come per l’AFAM dove si è avuto come riferimento di prossimità più la normativa riguardante l’università che non la scuola. Una specifica clausola dell’accordo prevede che le parti si rivedranno per valutare, alla luce del nuovo sistema di rilevazione dei dati avviato da settembre dal Ministero Istruzione, la effettiva adeguatezza del nuovo codice di regolamentazione ai fini della conciliazione tra la salvaguardia sia del diritto di sciopero che del diritto all’istruzione (diritti entrambi costituzionalmente garantiti). Tale valutazione verrà dunque effettuata, come da richiesta unitaria delle organizzazioni sindacali, solo in base a dati effettivi e verificati, e non a posizioni troppo spesso pregiudiziali”.
Le Organizzazioni sindacali FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola RUA, SNALS Confsal e GILDA Unams prenderanno parte alla manifestazione indetta dal Comitato “Priorità alla scuola” che si terrà sabato 26 settembre a Roma, per riaffermare il ruolo centrale e prioritario della scuola e della conoscenza come condizione di crescita del Paese e per denunciare ritardi e incertezze che accompagnano l’avvio dell’anno scolastico, rischiando di comprometterne la riapertura in presenza e in sicurezza, obiettivo principale dell’azione sindacale condotta nella prolungata fase di emergenza.
“FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola RUA, SNALS Confsal e GILDA Unams, già dalla scorsa primavera, hanno individuato priorità e necessità per la ripartenza, indicato soluzioni e sollecitato investimenti in termini di organici, di spazi, di servizi connessi al diritto allo studio quali, per esempio, i trasporti e le mense, ritenendo prioritario l’investimento sulle risorse professionali di cui la scuola ha soprattutto bisogno”. Lo spiegano le oo.ss. in una nota stampa.
“Mobilitazione e proposta, dallo sciopero dell’8 giugno alla partecipazione alla stesura dei protocolli di sicurezza, hanno caratterizzato l’azione sindacale unitaria di questi mesi; a ciò non è corrisposto analogo impegno e assunzione di responsabilità da parte del governo e del Ministero dell’istruzione. Ma il Paese non può permettersi di ripartire con un’offerta formativa al ribasso, a causa dei ritardi e dell’insufficienza delle risorse. Serve un’inversione di rotta nelle politiche pubbliche, da orientare con decisione a sostegno dello sviluppo attraverso scelte mirate di forte investimento nei settori strategici, a partire dall’ istruzione e formazione, fattori indispensabili per il rafforzamento del tessuto democratico e la ripresa del Paese. La crisi determinata dalla pandemia rende ancor più indispensabile un radicale cambio di paradigma sociale-economico-politico, che la conoscenza ha il compito di orientare nella direzione di una cittadinanza attiva, intesa come capacità di prendere parte ai processi di trasformazione, avendo come fondamento d’azione i valori della democrazia, della sostenibilità ecologica, della pace”.
“Servono provvedimenti urgenti per garantire da subito a tutte e a tutti il diritto all’istruzione, al lavoro, alla salute e, accanto a questo, investimenti per riqualificare il sistema pubblico di istruzione, per innalzare i livelli di conoscenza, rafforzando ed estendendo il diritto all’istruzione e alla formazione; è il momento di fare scelte coraggiose per combattere disuguaglianze, dispersione, precarietà, destinando parte consistente dei fondi “Next Generation Ue”, cosiddetto Recovery fund, ai luoghi dove le “prossime generazioni” dovranno crescere e formarsi”.
“La piazza del 26 settembre ci vedrà insieme alle lavoratrici e ai lavoratori, con gli studenti, le famiglie, i cittadini, per affermare e difendere la nostra idea di scuola, organo costituzionale e pilastro della democrazia, sulla cui valorizzazione si giocano la credibilità e il futuro dell’intero Paese”, concludono.
Lo sciopero di tutto il personale scolastico proclamato per lunedì 8 giugno è confermato e si svolgerà regolarmente. I sindacati hanno inviato alla Commissione di Garanzia una nota nella quale, oltre a confermare le motivazioni dello sciopero e la data dell’8 giugno per la sua effettuazione, spiegano le ragioni per le quali, a scuole chiuse, vengono meno a loro parere i motivi alla base dell’obbligo di preavviso di 15 giorni, legati esclusivamente alla necessità di comunicare alle famiglie quali livelli di servizio si preveda di poter erogare, anche sotto il profilo della custodia e vigilanza sui minori.
Non essendovi oggi questa esigenza, che sussiste unicamente per la scuola, i sindacati ritengono sufficiente il preavviso di dieci giorni previsto in via generale per i pubblici servizi.
Lo sciopero resta pertanto confermato e riguarderà, per l’intera giornata, personale docente, educativo, ATA e Dirigenti Scolastici.
Il 6 marzo 2020 ci sarà la prima giornata di sciopero nella scuola incentrata sui temi del precariato e degli amministrativi facenti funzione Dsga. I sindacati uniti, in vista dello sciopero, hanno diffuso una nota stampa comune.
“L’emergenza precari nella scuola ha assunto termini e dimensioni di vera e propria patologia del sistema e va contrastata con decisione; a tale obiettivo vanno aggiunti il rinnovo del Ccnl e l’incremento degli investimenti in Istruzione”.
“Finora, da parte di tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi anni, non abbiamo visto un solo provvedimento che abbia messo nero su bianco un piano di investimenti consistente per far uscire l’istruzione e la formazione dallo stato di abbandono in cui si trovano, contrastando la precarizzazione del lavoro e garantendo retribuzioni adeguate agli insegnanti”.
“Invece, leggiamo ancora una volta che la Ministra Azzolina indica nel taglio del cuneo fiscale e nei fondi stanziati per il rinnovo del Ccnl le condizioni per riconoscere un aumento di 100 euro mensili netti al personale della scuola“.
“Non è così. Ad oggi, queste condizioni non ci sono affatto. Il taglio del cuneo fiscale è una misura di equità sociale che riguarda tutti i lavoratori: nel caso specifico della scuola, peraltro, non tutti potranno beneficiarne. Il Contratto ha un altro scopo: è finalizzato, da un lato, a recuperare la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni, dall’altro a riconoscere l’impegno professionale di tutti i dipendenti. Sommare impropriamente i benefici del taglio del cuneo fiscale agli aumenti del Ccnl significa giocare con la realtà dei fatti”.
“Il punto è che finora i fondi stanziati per gli aumenti contrattuali nel triennio 2019/2021 comportano un aumento di 80 euro medi mensili lordi, elemento perequativo compreso. Come si può sostenere che si tratti di aumenti dignitosi per una categoria su cui grava la responsabilità di formare le future generazioni, che tutti riconoscono di importanza fondamentale per il futuro del Paese, ma che continua ad essere schiacciata e pervicacemente tenuta, sul piano stipendiale, sulla dimensione di un lavoro impiegatizio, peraltro ai livelli iniziali?”
“La scuola, dopo il piano che accompagnò alla fine degli anni novanta il varo dell’autonomia scolastica, ha dovuto registrare soprattutto tagli, pseudo riforme, blocchi dei Ccnl, aumento delle pastoie burocratiche. Basti ricordare che in quegli anni i finanziamenti per i piani dell’offerta formativa erano di circa 196 milioni di euro mentre oggi si sono ridotti a 30 milioni”.
“L’attuale Presidente del Consiglio il 24 aprile 2019 in un testo con noi sottoscritto si è impegnato a stanziare risorse per avvicinare gli stipendi del personale scolastico a quella della media europea”.
“E cultura di Governo vuole che chi assume l’incarico di Ministro dell’Istruzione si senta investito della responsabilità di onorare quegli impegni istituzionali che appartengono alla precedente e all’attuale maggioranza e al medesimo Presidente del Consiglio. Da qui parte la nostra piattaforma rivendicativa: 16 miliardi di investimenti in più anni – il punto di Pil che ci separa dall’Europa – per dire basta al lavoro precario, per superare il divario tra organico di diritto e situazioni di fatto, per aumentare il tempo scuola, per rinnovare il contratto con aumenti a tre cifre che vadano ben oltre i 100 euro mensili. Se il Governo continuerà a fare orecchie da mercantenon ci fermeremo con lo sciopero del 6, ma proseguiremo con altre iniziative di mobilitazione per rivendicare più scuola, stipendi più alti e più ampi spazi negoziali”.
“Hanno le loro ragioni, i promotori dello sciopero generale nella scuola proclamato per il prossimo venerdì 14 febbraio: la stabilizzazione di tutti i docenti precari con più di 36 mesi di servizio, infatti, assieme ad altri punti nevralgici – come la mancata equiparazione dei supplenti sul piano dei diritti contrattuali, il reclutamento da rivedere di sana pianta e l’emergenza stipendi – rappresenta un passaggio cruciale per dare finalmente una svolta a un sistema scolastico italiano sempre più in difficoltà”. Lo afferma Anief in una nota.
Anief, quindi, solidarizza pur non aderendo con i promotori della giornata di
sciopero: ritiene infatti pertinenti le
motivazioni che hanno portato alla mobilitazione, a partire dalla decisione
di approvare un decreto scuola, con la Legge
n. 159 del 20 dicembre scorso e la pubblicazione del testo nella Gazzetta
Ufficiale, che solo sulla carta “promette 24 mila posti ai docenti precari
con più di 36 mesi di servizio: di fatto – spiegano le organizzazioni – a causa
dell’attuale, progressivo e sempre meno tollerabile rigonfiamento dell’organico
di fatto, saranno necessari molti anni per immettere interamente i docenti
precari in ruolo”.
“La verità – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è che le
politiche degli ultimi governi hanno lasciato sostanzialmente immutata, la
questione del precariato scolastico italiano. Mai si era infatti arrivati a un
numero così alto di supplenti, chiamati
tutto l’anno a coprire ormai oltre 200 mila posti vacanti, che il Miur si
ostina quasi sempre a nascondere nell’organico di fatto, proprio per evitare le
stabilizzazioni e lucrare anche sulle supplenze estive. Trascinando i precari
verso un’età media di assunzione a tempo indeterminato sempre
più alta. Una politica che Anief ha ‘stanato’ da tempo, chiedendo al
Parlamento di interromperla approvando precise richieste anche al recente di decreto
Milleproroghe. E che continua a contrastare in tribunale, come in seno alla
giustizia europea”.
“Ecco perché – dice il sindacalista – chiediamo a gran voce, oltre che dei
bandi per un numero molto più alto di posti, anche l’estensione della
partecipazione alla procedura riservata per tutti gli esclusi, rivendicando una
prova unificata per i precari del sistema nazionale di istruzione, l’accesso
libero al Pas senza pre-selezione, una valutazione maggiorata del servizio
nella tabella dei titoli, il superamento con la sufficienza della prova
pre-ordinata, la possibilità di scegliere una seconda lingua comunitaria oltre
l’inglese. Le strategie di risparmio pubblico sulla pelle dei precari di Stato,
stavolta ha escluso, producendo una vera discriminazione, supplenti della
dall’infanzia e primaria, maestri con diploma magistrale e Insegnanti tecnico
pratici già assunti in ruolo e licenziati in un secondo tempo, oltre che
tantissimi docenti di religione. E con loro anche educatori, Dsga facenti
funzione e decine di migliaia di Ata, che si vedono scavalcare dagli ex
lavoratori socialmente utili”.
Centinaia di lavoratori della scuola hanno protestato a Roma, davanti Montecitorio, per chiedere modifiche all’inconcludente decreto salva scuola e al deludente capitolo del comparto Istruzione della Legge di Bilancio.
La manifestazione, svolta nel giorno dello sciopero nazionale Anief aperto a tutto il personale docente e Ata, di ruolo e precario, agli educatori, al personale Ata, dell’Afam e dell’Università, ha voluto sensibilizzare il Parlamento, dove in questi giorni è entrato nel vivo il confronto sul decreto ribattezzato “salva precari bis”: il testo è giunto all’esame delle Commissioni di competenza, prima del voto finale dell’Aula previsto a fine mese.
Il leader dell’Anief, Marcello Pacifico, ha detto, prima alla piazza e poi ai parlamentari, che “sul precariato cronico italiano è giunta l’ora di trovare soluzioni adeguate rispetto al diritto dell’Unione Europea, ma anche della nostra Costituzione. È bene che, come accaduto in passato, i nostri governanti della scuola abbiano la coscienza di ascoltare le richieste di chi, come l’Anief, segue da anni le necessità dei lavoratori della scuola, ad iniziare da quelli precari. I problemi riguardanti alcuni particolari e sentiti temi, come gli organici sottodimensionati, i profili professionali bloccati e le cattive norme che regolano il reclutamento del personale, non si possono risolvere da soli o con provvedimenti deboli”.
Ai lavoratori della scuola non piacciano i decreti che il Governo si
appresta a varare. Oggi i manifestanti lo hanno detto a gran voce, partecipando
al sit-in Anief di Montecitorio, chiedendo anche delle soluzioni per risolvere
una volta per tutte la piaga del precariato e della supplentite, ma
anche per chiedere stipendi adeguati da assegnare al personale della scuola e
diverse soluzioni che migliorerebbero la vita scolastica in modo deciso.
Sempre nella stessa mattinata, una delegazione del giovane sindacato Anief, guidata dal presidente nazionale Marcello Pacifico, ha presentato nel corso di un’audizione tenuta presso la VII e XI Commissione riunite della Camera ben trenta proposte di modifica, anche al fine di fare condannare l’Italia alla procedura d’infrazione per la mancata stabilizzazione di decine e decine di migliaia di precari della scuola italiana pur in presenza di posti vacanti e disponibili.
“Anief si batterà sino all’ultimo – ha spiegato il suo presidente nazionale
perché vengano portati a termine questi obiettivi in sede parlamentare, ben
definiti nella piattaforma sindacale.
Nel frattempo, comunque, il giovane sindacato ha deciso di aprire
le preadesioni gratuite ai ricorsi, al fine di tutelare nelle sedi
opportune i diritti dei troppi docenti, amministrativi, tecnici e collaboratori
scolastici, facenti funzione Dsga, dirigenti tecnici con incarichi temporanei e
ora anche esclusi dal nuovo concorso riservato oppure al corso abilitante o di
specializzazione per l’insegnamento agli alunni con disabilità accertata. Ma
anche per andare a determinare una riflessione
seria sui testi ora all’esame di Montecitorio”.
Molte le sigle
sindacali che saranno presenti alla manifestazione
nazionale il 25 giugno, alle ore 14, presso piazza Montecitorio a Roma, per
dire No alla
regionalizzazione
scolastica e difendere la Scuola di Stato. Tra gli interventi anche quello del
presidente del giovane sindacato
Anief Marcello Pacifico:
“Confermo l’adesione
dell’Anief all’evento. La scuola è di tutti, è un bene comune di cui devono
fruire indistintamente, con le medesime modalità, gli stessi servizi e con
un’offerta formativa che prenda ispirazioni dalle Indicazioni Nazionali, tutti
gli studenti italiani. Ci siamo opposti sempre alla
regionalizzazione scolastica e siamo pronti a urlare forte il nostro dissenso martedì prossimo a
Roma, capitale della Repubblica Italiana. Forse è il caso di ricordarlo a chi pare lo abbia
dimenticato”.
Cresce il malcontento
nel mondo della scuola per il progetto del governo di regionalizzazione, che
porterebbe, per forza di cose, a una differenziazione della scuola: al grido di
“No regionalizzazione
scolastica”,
martedì 25 giugno ci sarà una manifestazione
nazionale
presso piazza Montecitorio a Roma, a partire dalle ore 14. Parteciperà lo
scrittore e giornalista Pino Aprile; tra le sigle che aderiranno: And, Adida,
Cobas, Unicobas e Anief.
La posizione del
sindacato
Nel capitolo della
scuola di contratto di Governo non si fa cenno alcuno allo spezzettamento
dell’organizzazione dell’istruzione in tante parti quante sono le regioni. Non
vorremmo che questa riforma della scuola, annunciata dal ministro dell’Interno
Matteo Salvini, si riferisca invece proprio a quell’autonomia differenziata
tanto cara ai politici e agli imprenditori del Veneto e dell’Emilia Romagna.
Sulla regionalizzazione, inoltre, c’è già il beneplacito del ministro
dell’Istruzione Marco Bussetti, secondo il quale l’autonomia è un’opportunità
che porterebbe maggiori risorse.
No regionalizzazione scolastica, piazza Montecitorio ore 14.00 (orario di ingresso dei parlamentari), il 25 giugno 2019 a Roma “Sì all’eguaglianza dei bambini e giovani italiani, no alla scuola regionalizzata”. Questo il comunicato di convocazione della manifestazione da parte dei suoi organizzatori.
Il comunicato
Si è dimostrato con la Sanità che anche qualora lo stato mantenesse l’autorità di stabilire i Livelli Essenziali minimi, il processo di controllo, sanzione e sussidiarietà, è risultato pressoché inapplicabile e inapplicato.
I cittadini sono tutti uguali, i bambini devono essere tutti eguali di fronte ai diritti costituzionali, primo fra tutti l’istruzione. Per tutelare il valore di eguaglianza naturale dei cittadini, la costituzione istituisce il sistema statale pubblico dell’obbligo scolastico con cui si garantisce a tutti la qualità del livello d’istruzione ed educazione sui comuni valori etici e sociali di solidarietà e cooperazione anche per superare ogni tipo di disuguaglianza e discriminazione. L’autonomia differenziata risulterebbe lesiva di principio sancito storicamente sin dalla proclamazione della Repubblica. Infatti una qualsiasi modalità di differenziazione della tipologia e qualità della scuola dell’obbligo per territori porterebbe, ancorché fossero garantiti i livelli minimi (condizione per esperienza irrealizzabile), ad una sperequazione sul livello di istruzione sostenuto con la spesa pubblica e quindi ad un’effettiva scuola di serie A per le regioni più ricche ed una di serie B per le regioni meno ricche e la possibilità di discriminazioni negli stessi territori, come già avviene, sulla base di una discrezionalità nel distribuire le risorse e le opportunità. Va evidenziato che questa differenziazione sulla qualità della scuola pubblica su base regionale ingigantirebbe gli ostacoli per le fasce meno abbienti della cittadinanza impedendone il pieno sviluppo della persona umana e ” limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini ” (art. 3 della Costituzione) .
La protezione della scuola repubblicana è la difesa della scuola statale, attaccata da diversi decenni attraverso tagli economici. Siamo infatti il terzultimo paese per spesa pro capite per l’istruzione pubblica e l’ultimo per la quota di questa spesa sul totale della spesa pubblica. Questa aggressione viene portata avanti anche con l’incremento continuo della burocratizzazione: dal Dirigente scolastico all’ultimo applicato di segreteria, devono compilare moduli per le più banali e ripetitive attività. Possiamo capire cosa significa la regionalizzazione: permettere alle Regioni più forti di migliorare le proprie scuole a danno delle Regioni più povere. Si tratta di autorizzare regioni con il 40% del PIL italiano a trattenere un’alta percentuale dei tributi pagati dai cittadini, senza contare che ci possono essere differenze di luogo tra la produzione e la riscossione qualora le aziende del nord hanno i loro stabilimenti al sud.
Esempi degli effettletali della regionalizzazione lo abbiamo già nella formazione professionale che da anni, con la riforma del titolo V° della Costituzione, è stata totalmente attribuita alle regioni (legge 53/03) che in merito hanno ottenuto pieno potere legislativo. Vediamo come risultato una totale difformità di qualità formativa ed un dissolvimento degli enti pubblici in favore dei vari enti privati convenzionati (ovvero finanziati con soldi pubblici) perlopiù afferenti agli ordini religiosi o legate in qualche modo alle tre principali sigle sindacali nazionali. Constatiamo che di fatto tali enti privati sono arrivati a condizionare la legislazione regionale a loro favore, degli enti non certo degli studenti. Esempio ne è stata la legge sul “sistema educativo regionale di istruzione e formazione professionale” del Lazio, ovvero la LR 5/15 della giunta Zingaretti che era partita addirittura come “la legge della suora”, e che solo grazie all’opposizione M5S, è stata riequilibrata a vantaggio dei cittadini e non degli enti privati, nel caso religiosi. Bisogna allora stare molto attenti e mettere bene a fuoco gli effetti della Regionalizzazione sul settore scolastico formativo, non si tratta solo dei programmi scolastici; si tratta dell’assunzione del personale scolastico con concorsi regionali per dirigenti, docenti e non docenti e della messa in ruolo nella Regione; si tratta che le Regioni potranno decidere chi va dove e di quanto personale potrà disporre una scuola. Non esiste alcuna motivazione organizzativa alla dimensione regionale del sistema scolastico. L’unico effetto sarebbe di permettere alla politica regionale di influenzare assunzioni e concorsi dirigenziali del sistema scolastico, come successo in ambito sanitario, rendendo la scuola uno strumento di scambio elettorale. Questi effetti di malamministrazione specifici delle Regioni porteranno anche per la scuola come per la sanità ad incrementare il divario della qualità della scuola tra NORD e SUD. Se vediamo il divario è già presente tra nord e sud sia nel maggiore abbandono scolastico sia nel livello di efficacia formativa come risulta dai dati INVALSI. Con la regionalizzazione, che porta maggiori risorse alle Regioni più ricche del NORD, si avrà un incremento di tale divario a danno dei bambini e giovani italiani residenti al sud. Altro esempio di analogia con la sanità della differenza nord sud causata dalla regionalizzazione sta nella qualità degli edifici, nella popolazione degli alunni per classe, basta vedere un ospedale in Lombardia ed uno in Calabria, e scoprire che la differenza non viene dalla geografia, ma dalle superiori risorse assegnate alla Lombardia rispetto la Calabria rispetto a parita di posti letto. Si tratterà anche di favorire enti privati ponendoli a carico della spesa pubblica, come avviene già per la formazione professionale e in misura maggiore per la sanità, dove alla inefficienza delle strutture pubbliche le Regioni fanno fronte con convenzioni con enti privati. La già disattesa regola costituzionale delle scuole private senza oneri per lo stato, sarà ancora più disattesa. Quindi non solo scuole pubbliche di serie A e di serie B, ma anche il proliferare di scuole private convenzionate (pagate) con le Regioni. E’ inoltre da considerare che la separazione di competenze al momento centralizzate non può che incrementare il costo complessivo di gestione del sistema scolastico a causa delle numerose duplicazioni di funzioni al momento centralizzate a livello nazionale.
Non si tratta solo di contestare con un chiaro e semplice NO alla scuola regionalizzata, si tratta di prendere coscienza e portare avanti proposte capaci di interrompere ogni tentativo di disgregazione della Istruzione Pubblica Statale della Repubblica, cominciata con la Riforma Berlinguer e consolidata con la Legge 62 di Fioroni. Proponiamo e pretendiamo una inversione di rotta:
più risorse per la scuola: raggiungere il 6% del PIL a partire dalla prossima finanziaria,
messa in sicurezza degli edifici,
riduzione degli alunni per classe,
adeguamento degli stipendi alla media europea per il personale scolastico (dirigenti, docenti, non docenti),
assunzione in ruolo solo per concorso statale con obbligo di conoscenza lingua e cultura italiana,
privilegiare la formazione curriculare sulla progettazione,
scuola-lavoro, fuori dall’orario scolastico e solo con retribuzione al discente,
controllo della qualità del servizio solo attraverso l’ispettorato ministeriale statale,
estensione dell’obbligo di scolastico da 16 a 18 anni,
incremento dei nidi e scuole materne gratuiti,
stabilità pluriennale nell’organizzazione formativa e discipline di esami,
mantenimento del valore legale del titolo di studio,
formazione dei docenti di qualità solo presso le università statali, con programmi standard certificati e con esame di abilitazione professionale
ultimo ma non meno importante, riportare le competenze della formazione professionale, allo stato.
“Apprendiamo che la maggioranza parlamentare, nella risoluzione che accompagna il Documento di Economia e Finanza (DEF), ha chiesto al Governo l’impegno a portare a termine il percorso di autonomia differenziata a favore delle regioni che ne hanno fatto richiesta”. Così apre la nota stampa della FLC Cgil che, in vista dello sciopero generale del 17 maggio, lancia un appello che si può sottoscrivere online per chiedere un ripensamento al Governo sul tema dell’autonomia differenziata. “Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”, commentano dal sindacato.
“Abbiamo detto al Ministro Bussetti e all’intero governo, così come ai rappresentanti dei partiti di maggioranza, che la scuola, l’università, la ricerca, l’AFAM, non ci stanno – continua la FLC – Non ci stanno alla disgregazione dell’istruzione nazionale e alla regionalizzazione dei processi pedagogico didattici alla base del progetto di autonomia differenziata. Non ci stanno alla regionalizzazione dei diritti, che non possono essere un bene limitato al luogo dove si vive. Il diritto all’istruzione deve essere garantito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, cosa che già oggi avviene a fatica. Questa pervicace persistenza nell’errore, in contrasto con il sentire dei lavoratori della Conoscenza del nostro Paese, merita una sola risposta: la lotta. Il 17 maggio 2019, giornata nazionale di sciopero, sarà il primo passo. E non sarà certamente l’ultimo”.
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