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Precari scuola “sfruttati”: i giudici risarciscono anche gli eredi

tribunale giustizia martelletto

“Ci sono delle sentenze che hanno un sapore particolare: il sapore amaro del continuo e puntuale sfruttamento del lavoro precario da parte del Ministero dell’Istruzione a danno di una lavoratrice della scuola che da circa 10 anni prestava il proprio servizio a termine, licenziata a giugno e riassunta dopo qualche mese, ma pagata mensilmente e per tutti gli anni di servizio come se fosse al suo primo incarico, senza esperienza alcuna, perché è questo che prevede il contratto nazionale per i lavoratori precari della scuola; questo sapore amaro di ordinario sfruttamento del lavoro precario nella scuola pubblica italiana è stato reso ancora più amaro dal decesso della giovane docente, venuta a mancare ancora precaria. Ma la madre decide di non rassegnarsi alla palese violazione dei diritti della propria figlia e agisce comunque in tribunale contro il Ministero dell’Istruzione in “qualità di erede universale” per ottenere giustizia a nome della figlia, per restituirle in tribunale la dignità di lavoratrice con esperienza decennale che doveva essere retribuita diversamente, come avrebbero retribuito un docente di ruolo, mentre lo Stato italiano e il CCNL le avevano negato per tutto il suo periodo di lavoro il giusto riconoscimento della propria professionalità e il tribunale le dà ragione”. Lo racconta Anief.

La madre, infatti, si legge in sentenza, “ha ampiamente documentato i reiterati servizi di insegnamento a tempo determinato svolti” dall’insegnante “in relazione ai quali la stessa ha maturato un diritto di credito per differenze retributive relative a scatti di anzianità mai percepiti. In particolare la ricorrente ha indicato la classe di concorso nella quale la figlia era abilitata e ha elencato in maniera puntuale gli anni scolastici dalla stessa svolti e per i quali chiede il riconoscimento ai fini della progressione di carriera, producendo altresì i relativi contratti”. 

LA DISPARITÀ DA EVITARE

Il giudice del lavoro nella sentenza rileva senza ombra di dubbio “l’oggettiva disparità di trattamento che sussiste, sotto il profilo retributivo, tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato, in assenza di “ragioni oggettive”, con conseguente violazione del principio di non discriminazione” che è sancito da una Direttiva Comunitaria, la 1999/70/CE. 

In sentenza si legge a chiare lettere come “ai sensi del combinato disposto dell’art. 489 del D. Lgs. n. 297/1994 e dell’art. 11, comma 14 della legge 124/1999 – ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio per la collocazione nei corrispondenti scaglioni stipendiali, il periodo di insegnamento non di ruolo è considerato come anno scolastico intero se ha avuto durata di almeno 180 giorni, oppure se è stato prestato ininterrottamente dal 1 febbraio sino al termine delle operazioni di scrutinio finale”. Sulla base di tale principio, il giudice decide di “ricostruire la retribuzione spettante nel corso dei vari periodi di servizio a termine, prima ed a prescindere dall’eventuale immissione in ruolo”, disapplicando, quindi, quanto indicato dal Contratto collettivo nazionale del lavoro in relazione agli stipendi dei lavoratori precari, perché una norma interna o pattizia non può confliggere con norme superiori di natura vincolante, come una direttiva comunitaria, appunto. 

IL PARERE DEL PRESIDENTE ANIEF

“Lavoriamo ogni giorno – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – al fianco dei lavoratori precari della scuola, li supportiamo nel loro iter e ascoltiamo le loro storie di ordinario sacrificio, di giornate di lavoro che iniziano alle 3 di mattina per prendere il treno e andare a lavorare in una provincia diversa, di speranze deluse in attesa di un’immissione in ruolo che non arriva mai, di timori per il proprio futuro. Dietro i contratti a termine ci sono storie di Lavoratori cui da sempre il Miur nega pari dignità rispetto al personale di ruolo. Il contratto nazionale di categoria deve rispettare tutti i lavoratori e riconoscere pari dignità ai precari, lo Stato deve assumerli dopo 36 mesi di servizio, il contratto deve riconoscere loro scatti di anzianità, ferie, permessi retribuiti. Porteremo anche la loro voce ai tavoli della trattativa, probabilmente saremo l’unico sindacato a chiedere di rispettare questo principio, ma lo faremo come sempre a testa alta perché per noi dietro quei contratti precari, dietro le “tessere” sindacali dei precari ci sono persone, ci sono Lavoratori che ogni giorno con il loro impegno e la loro professionalità permettono il normale svolgimento delle lezioni in tutta Italia e sono Lavoratori, appunto, con la lettera maiuscola!”. 

IL PARERE DELLA CASSAZIONE

Il riferimento decisivo, ai fini dell’accoglimento del ricorso condotto dall’erede universale, è stata dunque la sentenza della Cassazione n. 22558/2016, ha enunciato il seguente principio di diritto: «La clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato». E la Cassazione ha anche chiarito sin dal 2011 che per quanto riguarda il riconoscimento degli scatti di anzianità, il principio vale sempre e non si applica la prescrizione breve, quinquennale, perché il credito vantato non è meramente retributivo, ma deriva da violazione di direttiva comunitaria, ed è quindi soggetto a prescrizione ordinaria decennale. 

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Reclutamento universitario, “Legittimo l’intervento in Corte di Giustizia UE”

flc cgil logo

Il Tar Lazio, in data 10 giugno 2019, con ordinanza n. 3803/2019, ha confermato la legittimità dell’intervento proposto dalla FLC CGIL e dalla CGIL nel procedimento di rinvio pregiudiziale in Corte di Giustizia riguardante l’ammissione dei ricercatori a tempo determinato alla procedura di stabilizzazione prevista dal Decreto Legislativo n. 75/2017 illegittimamente negata dalle università.

Con il medesimo provvedimento, il giudice amministrativo ha disposto che tutti gli atti ed i documenti prodotti siano trasmessi, a cura della Segreteria del Tar, alla Corte di Giustizia della UE per essere assunti al procedimento instaurato mediante ordinanza n. 4336/2019.

Per effetto di tale importante decisione, la FLC CGIL e la CGIL saranno presenti, con i propri legali, in Corte di Giustizia partecipando attivamente alla discussione sui diversi temi già ampiamente rilevati dal Tar Lazio nei provvedimenti sopra richiamati.

Non appena avremo notizia della data di udienza provvederemo a darvene comunicazione.

Alla luce di tale importante decisione occorre proseguire e rafforzare la nostra azione rivendicando la necessità di una risposta politica, che sappia affrontare e risolvere complessivamente il problema del precariato universitario e dell’accesso al pre-ruolo. Rispetto alla decisione del TAR Lazio non possiamo che rilevare come questa confermi una parte della nostra analisi e la necessità di porre fine a questo abnorme fenomeno di sfruttamento che è diventato sempre più “normalità” dall’uscita della legge 240/10.

Oltre ai Ricercatori precari di tipo A già inclusi nella Campagna “Restiamo in Contratto”  diventa sempre più urgente dare una soluzione per quanto concerne gli oltre 13.000 assegnisti di ricerca che popolano i dipartimenti e che arricchiscono col loro lavoro la crescita e l’innovazione dell’università.

L’utilizzo dell’assegno di ricerca, assieme alle docenze a contratto, continua ad essere la modalità più frequente degli atenei per garantirsi i servizi basilari di ricerca e didattica.

La precarietà dei tempi di durata e di rinnovo costringono i nostri cervelli a vivere uno stato di perenne attesa, di economia della promessa, di subalternità.

Nei prossimi giorni la FLC CGIL definirà tempi e modalità di intervento legale per gli assegnisti di ricerca, così come continuerà costantemente la mobilitazione con la Campagna di proposte e rivendicazioni dei “Ricercatori Determinati” e la funzione di rappresentanza presso il tavolo tecnico che si è aperto al Miur lo scorso 5 giugno.

(comunicato stampa FLC Cgil)

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Dati biometrici per i controlli dei dipendenti ATA, è legge. Ed è polemica

videocamera di sorveglianza scuole

Dopo il disco verde all’emendamento che introduce la videosorveglianza nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, diventa legge dello Stato quello inserito nel ddl Concretrezza sui controlli biometrici dei dipendenti pubblici: il provvedimento, che nella scuola riguarderà circa 210 mila unità di personale Ata, è stato firmato e voluto a tutti i costi dal ministro della P.A. Giulia Bongiorno, la quale ora si dovrà assumere la responsabilità di avere approvato una norma del tutto inutile e che per essere portata a compimento necessiterà di centinaia di milioni di euro iniziali più altri per l’assistenza e manutenzione; tutti soldi pubblici che andranno a gravare ulteriormente le già limitate risorse dei nostri istituti scolastici. Marcello Pacifico (Anief ): Lo abbiamo sempre detto e lo ripetiamo ora che il testo è diventato legge: questo provvedimento è offensivo, perché si vogliano far passare i dipendenti della scuola come dei delinquenti. Anief sta valutando come impugnare il provvedimento per lesione della privacy.

All’indomani dell’approvazione del disegno di legge Concretezza, si evidenziano tutti i limiti del provvedimento. Tra i vari punti che lasciano molto a desiderare, oltre all’aspetto offensivo e a quello della lesione della privacy, “l’accento è stato posto – commenta giustamente Orizzonte Scuola – anche sul costo che la misura comporterà: si tratta infatti di dotare 45mila sedi scolastiche di apparecchiature apposite”.

LE CRITICHE DELL’ARAN

Sulla bontà della misura introdotta, basta ricordare che la stessa Aran, l’agenzia che agisce a tutela dell’amministrazione pubblica, ha avuto modo di dire che “il personale della scuola è costituito da 1.124.471 persone” ed il “provvedimento punta a mettere sotto controllo 209.169 unità di personale ATA e 6.714 dirigenti scolastici, che però non svolgono un lavoro prettamente amministrativo e sarebbero le figure chiamate a gestire e controllare il buon andamento delle istituzioni scolastiche e chi ci lavora. Insomma viene posto un controllo sui controllori”.

IL PARERE DEL GARANTE DELLA PRIVACY

È emblematico, inoltre, il pensiero del Garante per la Privacy, Antonello Soro, il quale si dice contrario a questa imposizione “perché l’assenteismo, la falsa attestazione di presenza è una cosa molto grave, è un reato e bisogna contrastarlo. Ma la strada scelta per contrastarlo a mio parere è sproporzionata”, in quanto basterebbe riflettere solo un dato: “il numero dei reati contestati, accertati sono nell’ordine delle decine in Italia, mentre gli impiegati pubblici sono tre milioni. Di questi larga parte verranno sottoposti a un controllo biomedico generalizzato, sistematico, indiscriminato, attraverso la raccolta di un dato particolarmente sensibile che è il dato biometrico”.

IL COMMENTO DI MARCELLO PACIFICO

Anief aggiunge che la scuola è il luogo per eccellenza del rapporto con il pubblico: è un contesto dove, per la continua presenza di alunni e l’alto flusso di genitori, docenti e cittadini, sarebbe impossibile essere presenti e invece stare da un’altra parte. “Tra l’altro – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – stiamo parlando di personale e dirigenti che con la scuola dell’autonomia hanno visto triplicare gli incarichi quotidiani da assolvere: compito che si raggiunge solo con quotidiano impegno e spirito di abnegazione. Il flusso di lavoro e di competenze richieste ha raggiunto livelli sempre maggiori. Invece di imporre dall’alto l’utilizzo coatto dei dati biometrici, si sarebbero potuti spendere tutti questi soldi per formare il personale o per assumere una parte dei tanti precari che dopo essere stati selezionati attendono solo di essere stabilizzati”.

“A noi – continua Pacifico – questa soluzione sembra sempre più un provvedimento spot. Perché, invece di snellire la burocrazia e le norme, va a colpire nel mucchio di una categoria, peraltro per un assenteismo che nel comparto non esiste. È una scelta infelice, che connota tutta la scarsa competenza, a livello di conoscenza del mondo della scuola, da parte di chi l’ha ideata: state certi che la contrasteremo, anche perché va a trattare degli aspetti della sfera personale dei lavoratori, che prima di essere tali sono cittadini dello Stato ai quali non possono essere sottratti dei diritti basilari”.

(fonte: Anief Ufficio Stampa)

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FIT: firmato il contratto per utilizzazioni e assegnazioni provvisorie

aula scuola generica

Al ministero dell’Istruzione è stato sottoscritto oggi il contratto che regolerà le prossime utilizzazioni ed assegnazioni provvisorie del personale scolastico: si tratta di un documento importante, perché va ad incidere sul futuro professionale di diverse migliaia di dipendenti, tra insegnanti, educatori e unità di personale amministrativo, tecnico e ausiliario. All’ultimo momento, grazie alle pressioni del giovane sindacato, viene concessa la possibilità di accedere alla mobilità annuale anche ai docenti del terzo anno Fit, il sistema di Formazione iniziale e tirocinio, introdotto con il nuovo reclutamento per la scuola secondaria approvato dal decreto legislativo 59/2017, riguardante i vincitori del concorso riservato del 2018.

Il contratto, anticipa Orizzonte Scuola, sarà triennale, ma le domande annuali. Saranno ripristinate le preferenze del comune e del distretto così come già previsto per i trasferimenti. Potranno presentare domanda anche i docenti che saranno soddisfatti nella mobilità interprovinciale nella provincia di ricongiungimento, eliminando quindi un ulteriore vincolo rispetto all’anno scolastico precedente. Ripristinata la possibilità di partecipare alla mobilità annuale, anche tra distretti sub-comunali per i docenti beneficiari di una delle precedenze previste dall’art. 8 del Contratto. 

(fonte: Anief)

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Arrivano i mini-aumenti per i docenti, ma “manco se ne accorgono”

ccnl comparto scuola soldi

Con lo stipendio del prossimo mese si conclude il processo di micro-adeguamento dei compensi del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola, attraverso l’applicazione dell’indennità di vacanza contrattuale, da adottare per legge visto che il comparto si ritrova ancora una volta con il contratto scaduto da quasi sei mesi. Considerando che nella maggior parte dei casi le addizionali regionali e comunali applicate automaticamente in busta paga sono superiori, oltre un milione di dipendenti pubblici ancora una volta si ritrova con il salario fermo e al di sotto del costo della vita. Secondo Marcello Pacifico, presidente del sindacato Anief, “il tutto avviene al netto degli incrementi del 3,48% dello scorso anno e degli arretrati ridicoli accordati dal Governo Gentiloni. Anief avrebbe da tempo individuato le risorse per raddoppiare gli aumenti previsti, a legislazione vigente, ma continua a non essere considerato, né convocato ai tavoli di contrattazione nazionale, malgrado che il rinnovo delle Rsu della primavera del 2018, sommato al numero ufficiale di iscrizioni, abbia sancito la rappresentatività del giovane sindacato”. 

PERCHÉ CAMBIANO GLI STIPENDI

Dopo l’introduzione di una prima tranche, risalente allo scorso mese di aprile, quando furono aggiunti in busta paga dai 3,90 euro del collaboratore scolastico ai 5,60 euro di un docentedelle superiori, l’accreditamento degli arretrati, sotto forma di conguaglio, dell’elemento perequativo nello stipendio del mese di maggio 2019, l’adozione a giugno dell’indennità di vacanza contrattuale in base al “gradone” di appartenenza e non più come unico gradone, come fatto per i mesi di aprile e maggio, il prossimo mese assisteremo all’ultima operazione di adeguamento. 

LA POSIZIONE DEL SINDACATO

Secondo Anief siamo alle solite. Dopo l’euforia pre e post elezioni politiche, i compensi mensili e annuali assegnati al personale scolastico continuano ad essere tra i più bassi a livello di pubblica amministrazione e rispetto a quelli percepiti dai colleghi che lavorano oltre confine, dove in media si lavora anche meno ore. Anief ha già spiegato quali sono le ragioni che hanno portato a questo intollerabile gap retributivo: si va dall‘invalidità finanziaria nelle assunzioni per via dell’abolizione del primo gradone stipendiale voluto dal CCNL del 4 agosto 2011 e coperto dalla Legge 128/12, alla disparità di trattamento negli scatti stipendiali tra personale a tempo determinato e indeterminato, contraria al diritto dell’Unione Europea, come certificato dalla Cassazione; dal mancato adeguamento dell’organico di fatto all’organico di diritto, che continua ad essere attuato dallo Stato per contenere la spesa nell’erogazione del servizio scolastico, fino al disallineamento degli stipendi dall’inflazione, misurabile in dieci punti percentuali dell’attuale stipendio rispetto al blocco decennale del contratto e agli aumenti dell’ultimo rinnovo per il 2016/2018. 

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30mila firme per l’aumento degli stipendi docenti: le portano a Palazzo Chigi la Gilda degli Insegnanti

Rino di Meglio

Oltre 30.000 firme raccolte online, attraverso la piattaforma https://www.change.org/p/giuseppe-conte-stipendi-più-alti-per-gli-insegnanti, e in tutte le scuole d’Italia grazie all’impegno in prima linea di Rsu e Tas. Ha riscosso grande successo la petizione promossa dalla Gilda degli Insegnanti, e indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per chiedere lo “scongelamento” dello scatto di anzianità del 2013 e l’aumento degli stipendi dei docenti. L’iniziativa si è conclusa oggi con la consegna delle sottoscrizioni alla presidenza del Consiglio.

“Il numero elevato di adesioni – dichiara il coordinatore nazionale Rino Di Meglio, che questa mattina si è recato a Palazzo Chigi con una delegazione della Gilda per depositare le firme – è una spia inequivocabile del disagio e del malcontento che serpeggia tra gli insegnanti e della loro voglia di riscatto”. Come evidenziato dai dati elaborati dal Centro Studi Nazionale della Gilda degli Insegnanti, in 10 anni le retribuzioni dei docenti italiani sono calate mediamente del 7% rispetto all’andamento dell’inflazione. Tradotto in altri termini, ciò significa che dal 2007 a oggi gli stipendi sono diminuiti di circa 170 euro lordi.

“La significativa riduzione del potere di acquisto – afferma Di Meglio – ha provocato una sostanziale diminuzione anche del prestigio sociale dei docenti. Le buste paga sempre più leggere hanno portato gli insegnanti a diventare fanalino di coda non soltanto nell’impietoso confronto con i colleghi degli altri Paesi europei, ma anche con tutti gli altri dipendenti pubblici italiani. Per cambiare questa situazione indecorosa, occorre recuperare la progressione di carriera scippata nel 2013. Bisogna, inoltre, investire maggiori risorse nel rinnovo del contratto, a partire dalle somme stanziate dalla legge 107/2015 per il bonus merito che non serve per premiare davvero i bravi insegnanti”.

“Ci auguriamo che il presidente del Consiglio, il quale ha già dimostrato sensibilità e apertura verso questo tema impegnandosi in prima persona con l’accordo siglato lo scorso 24 aprile con i sindacati rappresentativi della scuola, presti ascolto alle richieste di chi ogni giorno lavora per formare l’Italia del futuro e alle quali dà voce la nostra petizione”. 

(fonte: Gilda degli Insegnanti)

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Precariato, Anief: “Accordo fa acqua da tutte le parti”

Anief Sciopero

Dopo diversi mesi, è stata raggiunta un’intesa che lascerà ancora 200 mila supplenti al balletto delle cattedre per via della mancata riapertura delle GaE provinciali, da cui si attinge per assegnare le supplenze annuali e il 50% dei posti destinati alle immissioni in ruolo. In pratica, si apre ad un concorso selettivo in entrata che porterà all’assunzione solo di un quinto dei supplenti aventi diritto. Marcello Pacifico (Anief): Si dà il via a un nuovo PAS per migliaia di insegnanti, quando in 70 mila del vecchio PAS ancora aspettano dopo sette anni l’assunzione a tempo indeterminato.  

Nella serata di ieri, al ministero dell’Istruzione è stato raggiunto l’accordo con le organizzazioni sindacali sul tema del reclutamento e del precariato nella scuola. L’accordo è stato chiuso nell’ambito di uno dei tavoli tematici attivati a seguito dell’Intesa siglata lo scorso 24 aprile a Palazzo Chigi alla presenza del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro Marco Bussetti. 

IL GIUDIZIO CRITICO DI ANIEF

Pur apprezzando – come da nostra richiesta – la apertura del percorso abilitante al personale di ruolo, a chi ha prestato servizio nella paritaria e a che ha conseguito il dottorato di ricerca, Anief ritiene insufficiente la sola indizione di un terzo concorso riservato per assumere 24 mila supplenti con 36 mesi di servizio; assunzioni che, peraltro, avverranno in coda a quelle del concorso ordinario e dei 35 mila ex Fit in attesa di una cattedra. Il concorso, peraltro, sarà selettivo in entrata, con un punteggio minimo da raggiungere agli scritti per poter sostenere il colloquio, e porterà alla stabilizzazione soltanto di un precario su cinque avente diritto. 

Sbaglia il ministro Marco Bussetti a cantare vittoria ricordando che, parallelamente, in più anni tutti potranno conseguire un’abilitazione per insegnare dalla seconda fascia delle graduatorie d’istituto. È una sconfitta sua perché, piuttosto che riaprire annualmente le graduatorie ex permanenti provinciali per nominare i quasi 200 mila supplenti della scuola, si rassegna a utilizzare un meccanismo casuale che li nomina in base alla scelta fortuita delle dieci-venti scuole segnalate. Questo sistema, come il ministro sa bene, ha portato soltanto l’anno scorso la chiamata di più di 10 mila supplenti dalle domande di messa a disposizione (MAD, da cui si attinge quando è esaurita la terza fascia d’istituto) dei capi dirigenti scolastici. É logico questo sistema? Certamente no.  

IL COMMENTO DI MARCELLO PACIFICO

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “se in passato il Parlamento avesse riaperto le GaE non ci sarebbe stato bisogno di indire un concorso riservato al personale abilitato che, peraltro, ad  oggi ha stabilizzato con le GRME (graduatorie regionali di merito ad esaurimento) neanche un decimo degli aspiranti aventi diritto. E sempre oggi si ripropone lo stesso problema, segno che la politica e il sindacato non sanno trovare una soluzione giusta”, dichiara il leader dell’organizzazione sindacale che si è sempre distinta nella lotta contro la precarietà. 

“Addirittura – prosegue Pacifico – vi era una soluzione più semplice, quella della stabilizzazione tout court adottata dal Parlamento per il solo personale delle cooperative per i servizi esternalizzati, eppure presentata in una proposta di legge – senza copertura finanziaria – dall’attuale presidente della VII Commissione del Senato, Mario Pittoni. Ma figuriamoci se è stata presa seriamente in considerazione. E che dire del personale educativo, delle sezioni Primavera o dell’assistenza alla comunicazione degli alunni con disabilità? La verità è che la strada scelta non risolverà il problema del precariato e, invece, alimenterà il contenzioso nei tribunali, come sta avvenendo attualmente pure sul TFA di sostegno bandito, per la quale abbiamo chiesto di aumentare decisamente i posti erroneamente banditi. Sul precariato, l’Anief aveva presentato una proposta seria e risolutiva ma il Miur non ci ha ascoltato e ora – conclude il sindacalista – in migliaia continueranno a scegliere la via dei ricorsi”.

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Ricostruzione di carriera, dalla Corte d’Appello di Torino importante vittoria Anief

tribunale giustizia martelletto

La Corte d’Appello di Torino dà piena ragione agli avvocati Anief Fabio Ganci, Walter Miceli e Giovanni Rinaldi e condanna il Miur a corrispondere a una collaboratrice scolastica l’integrale ricostruzione di carriera e oltre 7.500 euro tra risarcimento e condanna alle spese.

La sentenza, piana e lineare nelle sua ricostruzione della normativa interna ed euorunitaria, nell’accogliere il ricorso Anief ha tenuto a evidenziare, citando proprio quanto precisato dalla CGUE, come “Il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C-177/14, Regojo Dans, punto 32), cui ciascun Stato membro è obbligato a dare attuazione”, specificando che “non essendo possibile dare alla normativa nazionale un’interpretazione conforme alla norma comunitaria, trattandosi di disposizioni di contenuto incompatibile, non resta che disapplicarla”.

“Il personale ATA – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – svolge le stesse identiche mansioni tanto nella fase antecedente la stabilizzazione quanto in quella successiva all’immissione in ruolo e per loro la normativa interna non riconosce alcun favoritismo, l’omessa e integrale considerazione del periodo pre-ruolo nella ricostruzione di carriera costituisce, quindi, una discriminazione ingiustificata in danno del lavoratore precario e, come tale, la Corte d’Appello di Torino ha concordato sulla necessità di dichiararla illegittima”. La Corte d’Appello, infatti condanna il MIUR a collocare la collaboratrice scolastica ormai immessa in ruolo nella fascia stipendiale 9-14 dal 1°.3.2013 e, conseguentemente, anche a corrisponderle gli arretrati e le spese di entrambi i gradi di giudizio oltre rimborso forfettario, Iva e Cpa per un totale che supera i 7.500 euro. 

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Aumentare gli stipendi dei docenti italiani: lo dice (di nuovo) Bruxelles

Bandiera dell'Unione Europea Europa Unita

Nel mirino di Bruxelles finiscono anche gli stipendi dei docenti italiani che «rimangono bassi rispetto agli standard internazionali e rispetto ai lavoratori con un titolo di istruzione terziaria. Le retribuzioni crescono più lentamente rispetto a quelle dei colleghi di altri paesi e le prospettive di carriera sono più limitate, basate su un percorso di carriera unico con promozioni esclusivamente in funzione dell’anzianità anziché del merito». Il risultato del particolare contesto italiano è una «scarsissima attrattiva della professione di insegnante per le persone altamente qualificate e in un effetto disincentivante sul personale docente, che a sua volta ha un impatto negativo sui risultati di apprendimento degli studenti.» 

Secondo Il Sole 24 Ore, “è certamente vero che le retribuzioni dei docenti italiani sono basse, e sarebbe quindi giusto innalzarle, ciò è reso difficile da altre “peculiarità” della professione, a cominciare dalla dimensione extra large della platea”. Il quotidiano legato a Confindustria fa anche una “considerazione sul merito. A oggi le busta paga dei prof crescono esclusivamente per anzianità, vale a dire con il mero passare del tempo in cattedra. Tutti i tentativi di introdurre una differenziazione degli stipendi legati al merito e alla valutazione è fallita: da Berlinguer, ai progetti Gelmini, al famoso bonus merito di 200 milioni di euro annui voluto da Matteo Renzi. Ma utilizzato in larga parte per garantire gli aumenti dell’ultimo Ccnl”. 

La posizione di Anief

A renderlo noto tramite comunicato stampa è il giovane sindacato Anief.

Per Anief è “difficile non essere d’accordo sul pasticcio introdotto con la Buona Scuola di Renzi. Però ricordiamo che ci sono anche 3 miliardi di euro che secondo la riforma dell’ultimo Governo Berlusconi si sarebbero dovuti assegnare proprio per premiare i docenti migliori e impegnati attivamente: questa possibilità non ha mai avuto seguito, ma la norma rimane sempre in vigore e quindi un Esecutivo serio e che tiene al bene della Scuola, dei suoi studenti e del personale che vi opera, ha il dovere di applicarla. Anche perché quei soldi sono stati sottratti all’Istruzione pubblica, con l’azione spietata prodotta dall’allora Ministro ‘mani di forbice’ Giulio Tremonti, attraverso la cancellazione di un terzo degli istituti scolastici e di conseguenza dell’organico”. 

Il giovane sindacato si sofferma però soprattutto sull’esiguità degli stipendi assegnati ai docenti italiani, che non trova giustificazione nemmeno nel numero di ore di insegnamento frontale, né nell’espletamento di funzioni correlate obbligatorie, come i collegi dei docenti, i consigli di classe, gli scrutini, i colloqui con i genitori, la preparazione e correzione dei compiti e tanto altro. “Anzi, per dirla tutta, i docenti italiani svolgono più ore a settimana di lezione rispetto alla media europea. Dagli ultimi confronti internazionali risulta che il disavanzo esiste sia nella scuola primaria (22 contro 19,6) che nella secondaria superiore (18 contro 16,3). Solo alle medie il carico di ore è leggermente minore rispetto alla media del vecchio Continente”. 

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Posti ATA che scompaiono nel nulla, Anief prova a ricomporre la vicenda

Anief Sciopero

“Nella pubblica amministrazione, il personale Ata della scuola continua ad essere considerato l’ultima ruota del carro: dopo avere previsto l’accantonamento di 12 mila posti, da destinare agli ex LSU e senza stabilizzare i precari dello Stato, la notizia della mancata immissione in ruolo dei collaboratori scolastici, l’inutile attesa per l’attivazione dei posti previste per legge come AS e C, coordinatori dei collaboratori scolastici, degli assistenti tecnici e amministrativi, ora arriva la doccia fredda dei tagli ingiustificati di amministrativi, tecnici e ausiliari. Solo a Biella si sono perse le tracce di 51 posti”. Lo sostiene Anief in una nota stampa.

Ma a cosa sono dovuti, allora, i tagli sensibili in alcune province? “Probabilmente – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – a delle compensazioni. Le quali, tuttavia, vanno a scapito di realtà già in carenza di personale. L’ultima grande riduzione di posti, derivante dalla Legge 133 del 2008, ha fatto perdere alle scuole italiane decine di migliaia di posti come Ata. Proprio mentre, con la stessa legge sul ‘dimensionamento’, le scuole assumevano proporzioni maggiori, con un numero di sedi distaccate in perenne crescita. E negli anni quei posti non sono mai stati recuperati, anzi il calo è continuato. In queste condizioni, il personale Ata assegnato alle scuole diventa più che fondamentale, se non indispensabile, per il regolare svolgimento delle lezioni e delle incombenze organizzative. Diffidiamo l’amministrazione, centrale e periferica, a ridurre i posti di personale Ata”. 

“L’organico di diritto comunicato dagli Uffici Scolastici Territoriali, quelli che una volta erano i Provveditorati agli Studi, ai sindacalisti di non poche province risulta infatti ridimensionato. A Biella, ad esempio, il sindacato Anief ha contato una riduzione immotivata pari a 51 posti complessivi: di questi, ben 41 riguardano il profilo come collaboratore scolastico; poi sono stati cancellati 5 posti come assistente amministrativo ed altrettanti come assistente tecnico. Una situazione simile si prospetta anche a Vercelli e Verbania”. 

Secondo il sindacato Anief: “Il fatto che l’amministrazione spieghi di aver invece incrementato i posti in altre province della regione non significa nulla. L’organizzazione sindacale rivendica l’immotivata decisione di cassare tanti posti di lavoro, fondamentali per la conduzione delle scuole e il regolare svolgimento delle lezioni: la mancanza di collaboratori scolastici in molti istituti, infatti, pregiudica la loro pulizia e sorveglianza, oltre che regolare apertura e chiusura. E lo stesso vale per gli amministrativi e tecnici. Anche perché con la scuola delI’autonomia, derivante dal D.P.R. n. 275 dell’8 marzo 1999, nell’ultimo ventennio il numero di incombenze e responsabilità in carico a queste figure professionali è fortemente aumentato”.