Per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici, il Governo è pronto a
inserire nella manovra di
fine anno uno stanziamento che si ferma ad un miliardo di euro. La cifra
verrebbe anche divisa in due tranche, con una parte per il 2020 e un’altra per
il 2021: si tratta di risorse che vanno a sommarsi ai 1,775 miliardi di euro
già stanziati dal precedente esecutivo. A scriverlo è Il
Messaggero, che ha anche quantificato i fondi per il rinnovo del
contratto 2019-2021 da assegnare ai dipendenti statali: “potrebbe contare
complessivamente su 2,7 miliardi di euro circa”.
QUANTI SOLDI IN ARRIVO
La cifra complessiva, stima il quotidiano romano, “si tradurrebbe, secondo
le prime simulazioni, in un aumento medio di 80 euro lordi mensili per ognuno
dei circa 3 milioni di dipendenti delle amministrazioni pubbliche”. A
ufficializzarlo ai sindacati sarà “nello stesso giorno in cui il Consiglio dei
ministri dovrebbe approvare la manovra di bilancio e il decreto fiscale che la
accompagna, il ministro della Funzione pubblica Fabiana Dadone”.
“Il problema – commenta il sindacato Anief – è che stiamo parlando di somme lontanissime da quelle attese. E anche da quella annunciate dai componenti dell’attuale governo, che continuano a parlare, per rimanere agli insegnanti, di stipendi da adeguare alla media europea, avanti di circa il 30%. Per quantificare la modestia della somma investita dall’attuale esecutivo politico, è tutto dire che il precedente contratto, quello della tornata 2016-2018, concluso quando al governo c’era Matteo Renzi, aveva consentito un aumento superiore: 85 euro lordi mensili. Un incremento del 3,48%”. Mentre i rinnovi dei contratti dei lavoratori privati che si stanno chiudendo in questi mesi, fa notare sempre Il Messaggero, “hanno ottenuto somme decisamente più alte, circa 150 euro lordi mensili. Non solo. Il semplice riconoscimento di un adeguamento totale all’andamento del tasso di inflazione, anche considerando i dieci anni di blocco prima dell’ultimo rinnovo, comporterebbe un aumento di almeno 120 euro lordi mensili”.
– L’inserimento negli elenchi aggiuntivi alla seconda fascia delle graduatorie di istituto dei docenti che hanno conseguito il titolo di abilitazione entro il 1° ottobre 2019. La domanda va presentata tramite il modello A3 entro il termine del 18 ottobre 2019. Se si è già presenti nelle graduatorie d´istituto la domanda va indirizzata alla scuola alla scuola che ha gestito il precedente inserimento.
– L’inserimento negli elenchi aggiuntivi di sostegno per i docenti che si sono specializzati su sostegno entro il 1° ottobre 2019, tramite il modello A5 compilato su “Istanze on line” tra il 18 ottobre 2019 ed il 31 ottobre 2019 (entro le ore 14,00).
– La priorità nell’attribuzione delle supplenze di terza fascia per i docenti che acquisiscono il titolo di abilitazione dopo il 1° ottobre, compilando su “Istanze on line” il modello A4. Le funzioni per la compilazione del modello A4 sono disponibili per tutto il triennio di validità delle graduatorie.
Eventuali sostituzioni delle scuole indicate nel modello B sono consentite solo per indicare sedi nelle quali siano impartiti nuovi insegnamenti. L´istanza si può compilare su POLIS dal 28 ottobre all´8 novembre 2019 (ore 14.00).
Non solo l’assunzione di 24mila precari scuola: un concorso riservato per i DSGA (i Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi) facenti funzione; eliminate le rilevazioni biometriche del personale scolastico; valide nove anni le abilitazioni scientifiche nazionali; semplificata l’internalizzazione dei servizi di pulizia delle scuole; più semplici anche gli acquisti di beni e servizi destinati alla ricerca; in arrivo altre stabilizzazioni per i precari degli Enti Pubblici di Ricerca.
Un concorso riservato per i DSGA facenti funzione
Gli assistenti amministrativi che per almeno 3 anni hanno svolto le funzioni di DSGA potranno partecipare a un concorso riservato. I vincitori saranno immessi in ruolo in subordine a quelli del concorso ordinario in svolgimento.
Eliminate le rilevazioni biometriche
Il decreto-legge, all’articolo 3, abroga le disposizioni per la rilevazione biometrica degli accessi e degli orari di servizio per il personale ATA (ausiliario, tecnico e amministrativo) e per i dirigenti scolastici prevista dalla legge 56 del 2019. Il provvedimento inoltre interviene sulla possibilità di garantire agevolazioni per gli scuolabus per le famiglie meno abbienti: consente ai Comuni di erogare gratuitamente il servizio di trasporto scolastico, purché sia rispettato l’equilibrio di bilancio complessivo.
Semplificata l’internalizzazione dei servizi di pulizia delle scuole
La legge di bilancio per il 2019 ha previsto l’internalizzazione dei servizi di pulizia mediante l’immissione in ruolo di 11.200 collaboratori scolastici da scegliere tra il personale delle imprese che abbia almeno 10 anni di servizio pregresso nelle scuole. Il decreto appena approvato stabilisce che la procedura selettiva avvenga per soli titoli così da consentirne il completamento entro il 31 dicembre 2019. Con l’internalizzazione è stimato un risparmio di circa 170 milioni di euro per il 2020.
Concorsi più snelli per reclutare i nuovi dirigenti scolastici
Saranno assunti con un concorso per titoli ed esami i nuovi dirigenti scolastici e non più con il corso-concorso previsto dall’attuale normativa. Una misura presa per semplificare e velocizzare le procedure di selezione dei futuri capi di istituto. Il Consiglio dei Ministri ha anche autorizzato l’assunzione a tempo determinato di 59 nuovi dirigenti tecnici (gli ispettori scolastici) per porre rimedio alla carenza di questi anni nelle more di un nuovo concorso per la selezione a tempo indeterminato, che sarà bandito quanto prima.
Valide nove anni le abilitazioni scientifiche nazionali
Passa da sei a nove anni la validità delle abilitazioni scientifiche nazionali. È quanto previsto dall’articolo 5 del decreto-legge che va a modificare quanto stabilito dalla legge 240 del 2010. Tra le misure previste dal decreto-legge l’esenzione per gli Atenei e le istituzioni di Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) dall’obbligo di ricorrere al MEPA (Mercato elettronico della pubblica amministrazione) per l’acquisto di beni e servizi destinati alla ricerca. La disposizione consentirà maggiore qualità e risparmi di spesa.
Altre stabilizzazioni per i precari degli Enti Pubblici di Ricerca
Il decreto-legge consentirà anche ai precari che abbiano maturato anzianità di servizio con assegni di ricerca di essere stabilizzati dai rispettivi Enti, purché rispettino i requisiti di cui all’articolo 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017.
Via libera del Consiglio dei Ministri all’assunzione di 24.000 docenti precari. Questa la principale delle misure adottate la scorsa ora nella seduta del Consiglio dei Ministri per quanto riguarda il settore della scuola, dell’università, della ricerca.
“Oggi approviamo un decreto-legge che dimostra la grande volontà di questo Governo di combattere il precariato nella scuola garantendo il numero più alto possibile di cattedre a partire da settembre 2020 – ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Lorenzo Fioramonti – è un impegno preciso quello di mettere la scuola davvero al centro del Paese perché è dalle scuole che comincia la costruzione di una nuova società. Tra le misure introdotte dal decreto-legge anche la semplificazione delle procedure per gli acquisti di beni e servizi destinati alla ricerca. Non meno importanti – aggiunge il Ministro – la proroga della scadenza dell’abilitazione scientifica nazionale e le misure per i precari della ricerca”.
Un concorso straordinario per 24.000 docenti precari
Il decreto-legge approvato nella seduta di oggi autorizza il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) a bandire un concorso straordinario abilitante per l’assunzione di almeno 24.000 docenti nella scuola secondaria statale di I e II grado per il prossimo anno scolastico (il 2020/2021). Il decreto-legge accoglie così l’accordo raggiunto nei giorni scorsi dal Ministro Fioramonti con le organizzazioni sindacali. Il concorso – che sarà bandito contestualmente a quello ordinario – sarà per titoli ed esami e sarà riservato a tutti gli insegnanti con una anzianità pregressa di servizio di almeno 3 anni – anche sul sostegno – e di cui uno nella classe di concorso per la quale affrontano la selezione. Per l’idoneità gli aspiranti docenti dovranno ottenere una votazione minima di sette decimi in una prova scritta computer based. I vincitori saranno ammessi a sostenere un anno di prova che sarà ‘rinforzato’ con una formazione universitaria mirata per 24 crediti formativi universitari. L’anno si concluderà con un colloquio di verifica in cui bisognerà conseguire un punteggio minimo di 7/10. I vincitori del concorso dovranno rimanere almeno cinque anni nella sede di prima assegnazione per assicurare la continuità didattica.
I docenti risultati “idonei” ma non collocati in posizione utile per la nomina in ruolo potranno comunque abilitarsi all’insegnamento nella classe di concorso per la quale hanno partecipato sostenendo una prova orale (sempre con un punteggio minimo di 7/10) e un anno di formazione per l’acquisizione di 24 crediti formativi universitari. Il decreto-legge annuncia misure anche per i vincitori dei precedenti concorsi del 2016 e del 2018: potranno scegliere di essere assunti in ruolo in una regione diversa da quella della propria graduatoria.
Per il concorso DSGA le prove scritte sono previste nei giorni 5 e 6 novembre prossimi. Il Bando, però, prevede l’accesso all’orale, previa correzione della seconda prova scritta (teorico-pratica), solo per quei candidati che avranno raggiunto nella prima prova scritta almeno il punteggio di 21/30.
Anief ritiene illegittima tale determinazione e predispone le preadesioni gratuite al ricorso rivolto a quanti, dopo le prove scritte, si ritroveranno esclusi dalla prosecuzione del concorso per mancata correzione della prova teorico-pratica nonostante abbiano raggiunto la soglia della sufficienza nella prima prova scritta, e non avranno la possibilità di accedere all’orale sommando l’esito dello scritto con la prova teorico-pratica.
Come funziona l’esame
I candidati che hanno superato la prova preselettiva – infatti – sono ammessi a sostenere le due successive prove scritte che il bando prevede in tali termini: una prima prova costituita da sei domande a risposta aperta, volta a verificare la preparazione dei candidati e una successiva prova teorico-pratica, consistente nella risoluzione di un caso concreto attraverso la redazione di un atto su un argomento specifico previsto nel programma allegato al Bando. La durata di ciascuna delle prove è pari a 180 minuti, fermi restando gli eventuali tempi aggiuntivi per i beneficiari dell’articolo 20 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Le commissioni giudicatrici, secondo quanto previsto dal Bando, dispongono
di settanta punti, di cui trenta per le prove scritte, trenta per la prova
orale e dieci per i titoli. La commissione assegna alle prove scritte un
punteggio massimo di 30 punti ciascuna. A ciascuno dei sei quesiti a risposta
aperta della prima prova scritta, la commissione assegna un punteggio compreso
tra zero e 5 che sia multiplo intero di 0,5. Alla prova teorico-pratica la
commissione assegna un punteggio compreso tra zero e 30. La commissione
procede, per ciascun candidato, alla correzione della prima prova scritta,
quella composta dai sei quesiti a riposta aperta, e solo nel caso in cui il
candidato riporti un punteggio nella predetta prova inferiore a 21 punti, il
Bando prevede che “non si procede alla correzione della prova teorico-pratica”.
Accedono alla prova orale i candidati che abbiano conseguito, in ciascuna delle
prove, un punteggio di almeno 21/30, ma il punteggio delle prove scritte è
unico e dato dalla media aritmetica dei punteggi conseguiti in ciascuna delle
prove con l’impossibilità, quindi, di accedere alla correzione della prova
teorico-pratica per quanti non ottengano il punteggio di 21/30 alla prima prova
scritta.
Innovazione digitale, cinema e media education, buone pratiche didattiche, sostenibilità e inclusione. Sono alcuni dei temi guida della tre giorni del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) a Fiera Didacta Italia. Alla sua terza edizione la manifestazione più importante a livello nazionale dedicata alla scuola ha preso il via oggi a Firenze. Rimarrà aperta fino a venerdì, 11 ottobre, alla Fortezza da Basso. Ad inaugurare i 500 metri espositivi del MIUR, questa mattina, è stato il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Lorenzo Fioramonti. Presente alla manifestazione anche il Sottosegretario all’Istruzione, Lucia Azzolina.
Oltre 50 i seminari, i laboratori e gli incontri professionalizzanti offerti dal MIUR, più di 2.200 i docenti e gli studenti accreditati. E ancora: lezioni con esperti, cinema e spettacoli. Sempre nello stand del MIUR i visitatori troveranno uno spazio interattivo. E poi, a disposizione, uno sportello dell’Ufficio Relazioni col Pubblico. L’Arena, al centro dello spazio espositivo, sarà punto di incontro, di confronto, di dibattito.
“È importante che la scuola torni ad essere al centro del dibattito politico, è al centro di una visione di società. Qui a Didacta c’è una bellissima opportunità per parlare della scuola e di come potrà essere, di come dovrebbe essere – ha detto il Ministro Fioramonti nel corso della cerimonia di apertura della manifestazione – Dobbiamo essere in grado di raccontare una scuola diversa. Per farlo è necessario poter riflettere sul modo di insegnare, sulla possibilità di portare l’innovazione nella modalità di apprendimento delle prossime generazioni. Nelson Mandela – ha aggiunto il Ministro – credeva molto nelle istituzioni e nell’istruzione come elemento di emancipazione. La sua prima preoccupazione era che ci fossero le scuole dove le persone vivono, non che ci fossero le persone dove le scuole esistono. Faceva in modo che le scuole andassero dalle persone, dalle comunità”.
Fiera Didacta Italia sarà l’occasione per presentare anche alcune delle iniziative che il MIUR sta mettendo in campo e fare un bilancio dei progetti già avviati. Fra le novità: lo spazio dedicato a CIPS – il Piano Nazionale Cinema per la Scuola promosso dal MIBACT (Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo) e dal MIUR. A Firenze si parlerà anche di “Peer e Media Education e nuovi ambienti per l’apprendimento”. E ancora: i laboratori, con la collaborazione dell’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, sulle “Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati” e sulle “Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni fuori della famiglia di origine”. Nell’ambito del Progetto Generazioni Connesse – Safer Internet Centre Italia – sarà lanciata una piattaforma e-Learning a supporto degli insegnanti.
Fiera Didacta Italia è rivolta a docenti, dirigenti scolastici, direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA), educatori, formatori, professionisti e imprenditori del settore. Nasce da Didacta International, il più importante appuntamento fieristico dedicato alla scuola che si tiene in Germania da oltre 50 anni. Dopo il successo delle due precedenti edizioni, Didacta Italia quest’anno si conferma l’appuntamento annuale di riferimento a livello nazionale per il lancio di nuove proposte per la scuola del futuro. La terza edizione è dedicata a Leonardo da Vinci nel quinto centenario della sua morte.
Dopo che il 60% delle assunzioni in ruolo è andato deserto ad agosto. La supplentite dilaga, i precari abbondano ma non riescono ad essere assunti dallo Stato, per colpa del mancato reclutamento dalle graduatorie d’Istituto e dal loro utilizzo sempre più anacronistico e inadeguato, tanto che in alcune aree è più facile essere nominati tramite libere Mad fuori graduatoria
LA NOTIZIA
Il Governo sembra voler correre ai ripari con la proroga, per la seconda
volta (la rivista Orizzonte
Scuola ricorda che le graduatorie del 2016 erano state già prorogate di un
anno con la legge n. 205/2017), della validità delle graduatorie di merito
della procedura concorsuale del 2016 prevista dalla legge 107/2015 (Buona
scuola), inserita nello Schema di Decreto Legge di prossima approvazione, come
richiesto sempre da Anief, e la possibilità di essere assunti l’anno
prossimo, a domanda, anche in una regione diversa dove le graduatorie di merito
sono esaurite. Questa possibilità verrebbe estesa anche agli idonei delle
Graduatorie di merito regionali ad esaurimento.
L’organizzazione delle supplenze dei docenti è così contorta che pur in presenza
del record di posti vacanti non si riesce ad assumere i vincitori dei concorsi,
i quali, per non perdere ogni diritto, sono costretti ad aggrapparsi alle
proroghe e ad assunzioni fuori regione. Soltanto a Palermo, nella scuola del
primo ciclo, ci sono ben “400
vincitori che attendono l’agognato posto fisso che, di questo passo,
ammesso che le graduatorie non scadano prima, dovranno attendere una quindicina
d’anni prima di essere soddisfatti tutti. Anche nella regione
Campania c’è poco da ridere: sono oltre mille i vincitori di concorso
rimasti al palo, mai assunti, e che ora senza proroga delle graduatorie
rischiano di decadere. Infine, in 35 mila stanno aspettando di essere assunti
ancora dalle GMRE e in futuro non avranno né gli uni né gli altri più la quota
parte del 50% dei posti destinate alle ex graduatorie permanenti esaurite.
IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF, MARCELLO PACIFICO
Secondo Pacifico, “è una misura tampone necessaria ma
non risolutiva, innanzitutto perché i vincitori hanno diritto a essere assunti
dove hanno vinto il concorso e gli idonei che a domanda si trasferiscono in
altra regione hanno diritto a rientrare con una mobilità straordinaria nel
proprio territorio. Non è colpa loro se lo Stato prima bandisce concorsi su una
previsione biennale di posti vacanti e disponibili salvo poi scoprire che non
ci sono. Siamo pronti a chiedere emendamenti che coniughino il diritto alla
famiglia con il diritto al lavoro. Ingiusto, infine, bloccare per cinque anni i
neo-assunti, perché la continuità didattica si combatte eliminando la
precarietà e le richieste di trasferimento con incentivi economici”.
In merito ai Fondi per il Miglioramento Offerta Formativa, va detto che la loro ripartizione serve infatti a rendere “vivo”, riassume Orizzonte Scuola, quel Fondo Unico per il miglioramento dell’offerta formativa, istituito dall’articolo 40 del CCNL 2016/2018, nel quale confluiscono tutte le risorse destinate a sovvenzionare il fondo dell’istituzione scolastica (lettera a); le attività complementari di educazione fisica (lettera b); le funzioni strumentali all’offerta formativa (lettera c); gli incarichi specifici ATA (lettera d); i progetti nelle aree a forte rischio sociale (lettera e); le ore eccedenti per le sostituzioni del personale (lettera f); le attività di recupero nella scuola secondaria di II grado (comma 5 lettera b); le risorse del bonus per la valorizzazione del merito dei docenti (comma 2 lettera a), aggiunto nell’ultimo biennio a seguito di una modifica di quanto inizialmente stabilito dalla Legge 107/2015.
FONDI DIMEZZATI
Si tratta di attività centrali per ogni istituzione scolastica, quali
possono essere le funzioni assunte annualmente dal personale, le sostituzioni
dei colleghi assenti, i corsi di ripetizione e gli sportelli didattici attivati
per far recuperare gli alunni in difficoltà. E per rendersi conto dalla
scarsità di risorse messe a disposizione da chi governa oggi la scuola, proprio
per finanziare queste attività e molte altre altrettanto meritevoli di
attenzione, basterebbe ricordare che a seguito dei tagli ingiustificati attuati
negli ultimi anni, rispetto ai fondi del 2011 questi fondi risultano
praticamente dimezzati.
I numeri non hanno bisogno di commenti. Il rapporto “Teachers’
and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe 2017/18”, esaminando
gli stipendi degli insegnanti delle scuole pubbliche pre-primarie,
primarie e secondarie di 42 Paesi europei, si è soffermato
sulle principali variazioni degli stipendi tabellari negli ultimi tre
anni ed ha confrontato gli stipendi medi effettivi dei docenti con il PIL
pro capite e con i guadagni medi di altri laureati. Dallo studio
deriva che l’importo degli stipendi medi lordi dei nostri insegnanti è
pari a 28.147,00 euro, somma che ha perso oltre
mille euro di potere d’acquisto solo negli ultimi sette anni e ci colloca
negli ultimi posti rispetto agli insegnanti delle maggiori economie
dell’UE.
LA MAGLIA NERA NELL’UE
I Paesi che occupano i primi dieci posti per i compensi annui medi lordi
percepiti sono la Danimarca con 60.444,00 euro; la Germania con
55.926,00 euro; l’Austria con 48.974,00 euro; i Paesi Bassi con
47.870,00 euro; il Belgio con 44.423,00 euro; la Finlandia con 44.269,00 euro;
la Svezia con 40.937,00 euro; il Regno Unito con 37.195,00 euro; la Francia con
33.657,00 euro; il Portogallo con 29.941,00 euro.
A rendere ancora più amaro il confronto è la riflessione sugli aumenti
degli ultimi quattro anni riguardante Paesi non certo più avanti
dell’Italia, dove gli incrementi sono stati superiori al 5% (mentre in Italia
abbiamo assistito alla manfrina con cui lo scorso anno, dopo quasi un decennio
di blocco, è stato accordato un
deludente 3,48% per tutti i dipendenti pubblici): in particolare, stiamo
parlando, tra i tanti, della Bulgaria, dell’Estonia, della Lettonia, della
Repubblica Ceca, dalla Romania, della Slovacchia e pure dell’Islanda.
Il gap si fa sentire anche per le progressioni di carriera.
Anche laddove sono non di molto superiori a quelle previste dai passaggi
stipendiali del contratto collettivo dell’Italia, comunque l’approdo al
compenso massimo (il 50% in più di quello iniziale) si raggiunge anche dopo
soli 25 anni di carriera (accade in Svizzera). Mentre nella vicina Francia,
l’incremento massimo è del 70% dello stipendio iniziale e si raggiunge dopo 30
anni di servizio. Invece, in Italia l’apice dello stipendio scatta solo dal
35esimo anno in poi.
“Leggendo, infine, la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanze 2019 – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief -, va rimarcato che non occorre farsi illusioni: almeno fino al 2022, considerando i tagli sicuri e i bassissimi investimenti, è molto difficile che l’Italia riuscirà a risalire la classifica. Ecco perché occorre assolutamente inserire nello stipendio tabellare tutte le voci oggi previste per la categoria. Lo stesso bonus merito potrebbe essere considerato per questo scopo, attraverso una riformulazione del contratto. A patto, però, che si torni ad una consistenza economica adeguata, quindi al 2015, quando si finanziò con 700 milioni di euro: oggi – conclude Pacifico – la sua consistenza si è ridotta a 130 milioni, un altro pessimo segnale che la dice lunga sulla considerazione dei nostri governanti per chi opera ogni giorno nelle nostre scuole”.
Con la recente sottoscrizione dell’Ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale Integrativo, sono state definite le risorse del Fondo unico per il ‘Mof 2019/20’ da destinare alle oltre 8.200 scuole autonome italiane. In questi giorni, il Ccni è al vaglio degli organi di controllo competenti e, una volta che arriverà il via libera, quei fondi saranno gestiti attraverso la contrattazione d’Istituto. La somma complessiva delle risorse è di 800.860.000 euro, mentre otto anni fa lo stanziamento superava il miliardo e mezzo: quando si andranno a dividere tra centinaia di migliaia di docenti e unità di personale Ata coinvolti in attività extra suddivise per 42 mila sedi scolastiche, si tradurranno in poche decine o centinaia di euro a lavoratore. E pensare che negli ultimi anni è aumentata in modo esponenziale la quantità di prestazioni e competenze professionali richieste al personale docente e Ata.
“Considerato che al personale arriveranno cifre irrispettose – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – noi riteniamo che sia giunta l’ora di convogliare i fondi del merito della Buona Scuola direttamente nei compensi. E che si torni almeno ai 700 milioni di euro del primo finanziamento del 2015/16. Quei soldi vanno collocati in busta paga, perché vi sono diverse attività che fanno ormai parte stabilmente delle funzioni del personale docente e Ata. Ad oggi, invece, ci ritroviamo con sempre meno fondi per salvaguardare l’offerta formativa e anche con altre indennità sottratte in modo scientifico, come l’annualità del 2013 mai recuperata per il passaggio di ‘gradone’. Così, i lavoratori della scuola vengono pagati con gli stipendi più bassi dell’area UE, come confermato in questi giorni dalla stessa Unione europea attraverso il rapporto Eurydice”.
Per il Miglioramento dell’offerta formativa 2019/20 arrivano i soliti “spiccioli”: un fondo praticamente dimezzato rispetto a quello del 2011. Eppure, i fondi del Mof risultano determinanti ai fini dell’attuazione dei progetti scolastici, contenuti nel Pof, oltre che per sovvenzionare una serie di attività scolastiche che non corrispondono all’attività didattica ma risultano basilari per raggiungere l’obiettivo della formazione completa dei discenti.
Utile, interessante e importante: nonostante il ruolo sempre più marginale in cui si trova relegata, è così che la Storia viene considerata dai docenti e dagli studenti italiani. È quanto emerge dall´indaginesull’insegnamento della Storia, realizzata dalla Swg per la Gilda degli Insegnanti e presentata oggi nell’ambito del convegno nazionale “Quale futuro senza la storia?promosso per la Giornata Mondiale dell´Insegnante.”
La ricerca è stata condotta su due distinti campioni composti da 300 insegnanti di tutti i gradi di istruzione e 100 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, intervistati online e face-to-face.
L’utilità della Storia Per il 64% degli insegnanti, la Storia è utile ad acquisire gli strumenti per interpretare meglio il presente, per il 18% a non ripetere gli errori del passato e per il 16% ad ampliare lo sguardo verso il futuro e a prevederlo meglio. Sul fronte degli studenti, invece, il 38% ritiene che la Storia serva a non ripetere gli errori del passatomentre per il 30%è utile a interpretare meglio il presente e per il 29% ad ampliare lo sguardo sul futuro e a prevederlo meglio.
La Storia a scuola Per il 55% dei docenti lo scopo dell’insegnamento della Storia a scuola è formare le nuove generazioni mentre per il 42% consiste nell’educare i giovani alla cittadinanza.
Imparare le date a memoria Sull’importanza di imparare le date a memoria nello studio della Storia, la grande maggioranza dei docenti intervistati, pari all’87%, ritiene che sia utile per collocare gli eventi nel tempo e nel contesto sociale. Per il rimanente campione è indispensabile (5%) e non serve (8%). La questione vista dagli studenti: conoscere a memoria le date degli eventi storici è utile per collocarli nel tempo e nel contesto sociale secondo il 63%, è indispensabile per il 17% e il 20% lo considera inutile.
L’opportunità della Storia locale I docenti che giudicano opportuna l’introduzione nei programmi scolastici dell’insegnamento della Storia locale rappresentano l’89%, di cui l’85% ritiene che deve essere comunque collocata nel contesto della Storia nazionale e mondiale e il 4% secondo cui, invece, deve avere un ruolo preponderante. Lo schieramento del “no” costituisce l’11%: “perché distoglie dallo studio dei contesti nazionali ed internazionali” secondo il 5% e “perché le ore sono insufficienti” per il 6%. A dichiararsi favorevoli all’introduzione della Storia locale è l’80% degli studenti: per il 63% la risposta è “sì, ma collocandola nel contesto della Storia nazionale e mondiale”, mentre il 17% ritiene che debba rivestire un ruolo preponderante. Il 20% secondo cui, invece, non è opportuno introdurre la Storia locale si compone di un 14% per il quale distoglie dallo studio dei contesti nazionali e internazionali e di un 6% che motiva la propria contrarietà con l’insufficienza delle ore a disposizione.
Bastano 2 ore la settimana? Uno scarto di 7 punti percentuali separa il 52% dei docenti secondo i quali per imparare la Storia servono più delle due ore settimanali previste attualmente dai programmi scolastici dal 45% di quelli che ritengono siano sufficienti. Tra gli studenti prevale l’opinione per cui due ore di Storia a settimana sono sufficienti: 58%; per il 31% ne servono di più, l’8% sostiene che sono troppe e che basterebbe una sola ora e il residuale 3% è del parere che bisognerebbe abolire del tutto la materia.
La trasversalità della disciplina Secondo l’88% degli insegnanti lo studio della Storia è trasversale alle altre discipline scolastiche e a pensarla così sono per il 92% i docenti con oltre 20 anni di anzianità. Il 12% del campione intervistato, invece, ritiene che la dimensione storica non sia comune a tutte le discipline. Per quanto riguarda gli studenti, il 71% considera lo studio della Storia trasversale alle altre materie (88% nel Nord Italia e 80% tra chi ha voti alti in Storia) contro il 29% secondo cui la dimensione storica non è comune a tutte le discipline (50% nel Mezzogiorno e 47% tra chi nutre uno scarso interesse per la materia).
“L’esito del sondaggio commenta Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti – è molto confortante perché esprime a chiare lettere l’apprezzamento non solo dei docenti, ma anche degli studenti, verso la disciplina. Un dato che va in direzione diametralmente opposta rispetto a quella della politica, che ha ridotto e marginalizzato l’insegnamento della Storia”
(fonte: Ufficio stampa Gilda)
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