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Caos insegnanti di sostegno disabili, sentenza tombale della Cassazione: “Non è possibile ridurre le ore una volta individualizzato il piano per l’alunno”

alunni con disabilità insegnanti di sostegno generica

Cancellare tutte o parte delle ore settimanali di sostegno agli alunni con disabilità, previste dalla loro programmazione educativa, è un atto illegittimo che crea un danno al giovane in formazione. A ribadirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25101: i giudici ermellini hanno spiegato che non è possibile fare modifiche una volta che il piano individualizzato dell’alunno disabile è stato stabilito. Pertanto, l’amministrazione scolastica non ha alcun titolo a modificare la quantità di ore assegnate: ogni volta che ciò accade, purtroppo spesso, va in contrasto con il diritto dell’alunno a una pari opportunità scolastica. Il nuovo ministro dell’Istruzione ne prende atto e verifica i perché di questa situazione incresciosa che si somma alla mancata assegnazione di tante supplenze annuali sugli oltre 50 mila posti in deroga. 

Cresce il numero delle famiglie che non si arrendono alle ore di sostegno negate ai figli disabili. Un genitore, scrive Orizzonte Scuola, ha presentato ricorso al Tribunale di Caltanissetta, chiedendo che venisse disposta la cessazione della condotta discriminatoria posta in essere dal Comune nei confronti del figlio minore. Il bambino frequenta la scuola dell’infanzia ed è affetto da disturbo di spettro autistico, motivo per cui ha diritto ad assistente della comunicazione per 22 ore settimanali. Il Comune ha però disposto 10 ore settimanali di assistenza, a fronte delle 22 individuate dal piano dinamico funzionale relativo all’alunno. Il Tribunale ha accolto il ricorso sulle “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni” presentato da un genitore del bambino, maresciallo dei carabinieri, dichiarando che la discriminazione nei confronti del giovane alunno c’era stata in maniera indiretta. 

La decisione dei giudici

Il piano educativo individualizzato, definito ai sensi dell’art. 12 della legge 104/1992, obbliga l’amministrazione scolastica a garantire il supporto per il numero di ore programmato, senza lasciare a essa il potere discrezionale di ridurne l’entità in ragione delle risorse disponibili, anche nella scuola dell’infanzia. Il dirigente scolastico deve perciò, secondo la sentenza, attribuire a ciascun alunno disabile un numero di ore di sostegno che corrisponda a quello oggetto del G.L.H.O, dal quale non si può discostare. 

L’annuncio di Fioramonti

Anche il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha detto, illustrando le linee programmatiche del suo mandato in Senato, che in Italia “abbiamo troppe cattedre di sostegno senza insegnanti, troppi insegnanti di sostegno non formati come tali, ma formati su altro. Stiamo cercando, con una indagine interna, di capire come mai non si è arrivati in tempo, all’apertura dell’anno scolastico, nel rispondere alle tante necessità sul sostegno. Ho riattivato l’Osservatorio sull’inclusione, fermo da qualche tempo. Siamo ragionando di aprire i numeri chiusi all’università per formare più persone sul sostegno. Le scuole devono essere inclusive”. Per questo, ha concluso il ministro sul tema, “ho subito ho inserito 5 milioni nella formazione degli insegnanti di sostegno e la formazione del personale in generale. Dobbiamo tendere a scuole inclusive, in tutte le sue formulazioni”.

Le pessime abitudini

La brutta abitudine degli Uffici scolastici di assegnare meno ore di quelle indicate nei “Pei” degli alunni disabili, sulla base della diagnosi funzionale, è una conseguenza della impostazione errata dell’amministrazione centrale sulla determinazione degli organici del personale di sostegno: l’incongruenza è stata evidenziata solo qualche giorno fa dallo stesso Miur, attraverso un Focus sui dati della Scuola pubblicato anche sul portale internet ministeriale, dal quale risulta che nel corrente anno scolastico dei 150.609 docenti di sostegno, a fronte di 835.489 insegnanti complessivi che operano in 8.223 scuole autonome, oltre 50 mila vanno ogni anno “in deroga”, come confermato dalla stampa specializzata, per via della Legge 128 del 2013 che impone un posto su tre da destinare ai precari.

I numeri della vergogna

Alla Lombardia e alla Sicilia, rispettivamente con 6.875 e 6.602 deroghe, spetta il primato dei posti liberi assegnati al 30 giugno 2020, seguono la Toscana, il Piemonte, il Lazio, l’Emilia Romagna, la Sardegna e il Veneto. Agli insegnanti specializzati nella didattica “speciale” (anche se poi 8 supplenti su 10 sono sprovvisti della specializzazione) spetta il sostegno ai 260 mila alunni con disabilità ufficialmente iscritti. Sono tutti posti che vengono ogni anno per forza assegnati ai precari, peraltro in alto numero coperti ad anno scolastico abbondantemente avviato. Tanto è vero che al termine della prima decade di ottobre, gli alunni disabili sono ancora senza sostegno o se ne vedono accreditare solo una parte di quello che gli spetta. Con le famiglie così indignate che arrivano a ritirare i figli da scuola e ad organizzare proteste eclatanti anche in piazza

Il commento del presidente Anief

“Sempre più genitori – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – decidono di rivolgersi al giudice. Con esiti in altissima percentuale positivi. Perché è estremamente raro che un giudice possa dire no all’assegnazione delle ore di sostegno stabilite da un pool di professionisti: se costoro hanno indicato, per tornare alla sentenza della Cassazione, che l’alunno necessita di 22 ore di sostegno a settimana, non è giustificabile in alcun modo assegnarne poi di fatto solo 10. Invece di speculare sulle ore, negando un diritto sacrosanto pur di fare cassa sui mesi estivi, sugli scatti di anzianità e sulla ricostruzione di carriera, perché al Miur non trovano il modo di coprire le cattedre con personale di ruolo, specializzandolo in alto numero e non più come è stato fatto sino ad oggi in quantità risibile?”. 

“Perché – continua Pacifico – gli enti locali non agiscono con celerità per assicurare dal primo giorno di scuola l’Assistente Educativo Culturale che, lavorando in adempimento dell’art. 13, comma 3, della legge n. 104/92, garantisce l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità? Sono domande che poniamo a chi di dovere da anni. Ben sapendo che per garantire la continuità didattica non si devono negare i trasferimenti, ma semplicemente immettere in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili”. 

La crescita esponenziale

Nell’anno scolastico 1997/98, la presenza di alunni con sostegno era dell’1,40%; dieci anni dopo era già arrivata all’1,95%; nell’anno scolastico 2012/13 al 2,50%; di recente, nel 2017/18, si è raggiunto il 3,10%. I termini numerici sono ancora più evidente: nell’anno scolastico 1997/98, gli iscritti disabili certificati erano poco più di 123 mila; nel 2018 siamo arrivati ad oltre 280 mila; quest’anno si sfioreranno i 300 mila iscritti disabili. 

Parallelamente, il numero dei docenti di sostegno in organico di diritto è però aumentato leggermente: nel 2007 erano 56.164; nel 2013 67.795; due anni dopo, nel 2015 si è passati a 90.032; poi, però dal 2017 ad oggi l’organico di diritto si è collocato a 100.080 cattedre. Così, abbiamo assistito al boom dei posti in deroga: tra il 2014 e il 2018, si è passati da 28.863 a 65.890. E quest’anno, secondo le proiezioni Anief, si arriverà a 80 mila contratti a tempo determinato con scadenza 30 giugno. 

Il sindacato rammenta, tra l’altro, che i posti di sostegno da coprire, senza titolare, in realtà sono ancora di più. Perché non si tiene conto di diverse migliaia di cattedre che, proprio a seguito dei ricorsi delle famiglie, come quella di Caltanissetta, ottengono l’assegnazione di ore settimanali così come aveva disposto l’équipe psico-pedagogica a seguito dell’esame approfondito dell’alunno. 

Anief ricorda, infine, che attraverso l’iniziativa gratuita Anief “Sostegno, non un’ora di meno!”, cresce di anno in anno il numero di alunni disabili che ottengono giustizia assieme alle loro famiglie: chi ha intenzione di ricorrere – anche lo stesso personale scolastico e i dirigenti – per ottenere i docenti o le ore dovute ma non assegnate può scrivere all’indirizzo e-mail sostegno@anief.net. Riceveranno le istruzioni per presentare alla scuola le richieste necessarie.

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Legge di Bilancio, per la scuola 80 euro in più in busta paga

ccnl comparto scuola soldi

Per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici, il Governo è pronto a inserire nella manovra di fine anno uno stanziamento che si ferma ad un miliardo di euro. La cifra verrebbe anche divisa in due tranche, con una parte per il 2020 e un’altra per il 2021: si tratta di risorse che vanno a sommarsi ai 1,775 miliardi di euro già stanziati dal precedente esecutivo. A scriverlo è Il Messaggero, che ha anche quantificato i fondi per il rinnovo del contratto 2019-2021 da assegnare ai dipendenti statali: “potrebbe contare complessivamente su 2,7 miliardi di euro circa”.

QUANTI SOLDI IN ARRIVO

La cifra complessiva, stima il quotidiano romano, “si tradurrebbe, secondo le prime simulazioni, in un aumento medio di 80 euro lordi mensili per ognuno dei circa 3 milioni di dipendenti delle amministrazioni pubbliche”. A ufficializzarlo ai sindacati sarà “nello stesso giorno in cui il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare la manovra di bilancio e il decreto fiscale che la accompagna, il ministro della Funzione pubblica Fabiana Dadone”.

“Il problema – commenta il sindacato Anief – è che stiamo parlando di somme lontanissime da quelle attese. E anche da quella annunciate dai componenti dell’attuale governo, che continuano a parlare, per rimanere agli insegnanti, di stipendi da adeguare alla media europea, avanti di circa il 30%. Per quantificare la modestia della somma investita dall’attuale esecutivo politico, è tutto dire che il precedente contratto, quello della tornata 2016-2018, concluso quando al governo c’era Matteo Renzi, aveva consentito un aumento superiore: 85 euro lordi mensili. Un incremento del 3,48%”. Mentre i rinnovi dei contratti dei lavoratori privati che si stanno chiudendo in questi mesi, fa notare sempre Il Messaggero, “hanno ottenuto somme decisamente più alte, circa 150 euro lordi mensili. Non solo. Il semplice riconoscimento di un adeguamento totale all’andamento del tasso di inflazione, anche considerando i dieci anni di blocco prima dell’ultimo rinnovo, comporterebbe un aumento di almeno 120 euro lordi mensili”.

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Concorso DSGA, è scontro sui 21/30: ANIEF prepara il ricorso

Scuola concorsi documenti scrittura uomo

Per il concorso DSGA le prove scritte sono previste nei giorni 5 e 6 novembre prossimi. Il Bando, però, prevede l’accesso all’orale, previa correzione della seconda prova scritta (teorico-pratica), solo per quei candidati che avranno raggiunto nella prima prova scritta almeno il punteggio di 21/30.

Anief ritiene illegittima tale determinazione e predispone le preadesioni gratuite al ricorso rivolto a quanti, dopo le prove scritte, si ritroveranno esclusi dalla prosecuzione del concorso per mancata correzione della prova teorico-pratica nonostante abbiano raggiunto la soglia della sufficienza nella prima prova scritta, e non avranno la possibilità di accedere all’orale sommando l’esito dello scritto con la prova teorico-pratica. 

Come funziona l’esame

I candidati che hanno superato la prova preselettiva – infatti – sono ammessi a sostenere le due successive prove scritte che il bando prevede in tali termini: una prima prova costituita da sei domande a risposta aperta, volta a verificare la preparazione dei candidati e una successiva prova teorico-pratica, consistente nella risoluzione di un caso concreto attraverso la redazione di un atto su un argomento specifico previsto nel programma allegato al Bando. La durata di ciascuna delle prove è pari a 180 minuti, fermi restando gli eventuali tempi aggiuntivi per i beneficiari dell’articolo 20 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Le commissioni giudicatrici, secondo quanto previsto dal Bando, dispongono di settanta punti, di cui trenta per le prove scritte, trenta per la prova orale e dieci per i titoli. La commissione assegna alle prove scritte un punteggio massimo di 30 punti ciascuna. A ciascuno dei sei quesiti a risposta aperta della prima prova scritta, la commissione assegna un punteggio compreso tra zero e 5 che sia multiplo intero di 0,5. Alla prova teorico-pratica la commissione assegna un punteggio compreso tra zero e 30. La commissione procede, per ciascun candidato, alla correzione della prima prova scritta, quella composta dai sei quesiti a riposta aperta, e solo nel caso in cui il candidato riporti un punteggio nella predetta prova inferiore a 21 punti, il Bando prevede che “non si procede alla correzione della prova teorico-pratica”. Accedono alla prova orale i candidati che abbiano conseguito, in ciascuna delle prove, un punteggio di almeno 21/30, ma il punteggio delle prove scritte è unico e dato dalla media aritmetica dei punteggi conseguiti in ciascuna delle prove con l’impossibilità, quindi, di accedere alla correzione della prova teorico-pratica per quanti non ottengano il punteggio di 21/30 alla prima prova scritta.

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Precari, il sistema è al collasso: in arrivo una nuova necessaria proroga per salvare idonei e vincitori dei concorsi

aula scuola generica

Dopo che il 60% delle assunzioni in ruolo è andato deserto ad agosto. La supplentite dilaga, i precari abbondano ma non riescono ad essere assunti dallo Stato, per colpa del mancato reclutamento dalle graduatorie d’Istituto e dal loro utilizzo sempre più anacronistico e inadeguato, tanto che in alcune aree è più facile essere nominati tramite libere Mad fuori graduatoria

LA NOTIZIA

Il Governo sembra voler correre ai ripari con la proroga, per la seconda volta (la rivista Orizzonte Scuola ricorda che le graduatorie del 2016 erano state già prorogate di un anno con la legge n. 205/2017), della validità delle graduatorie di merito della procedura concorsuale del 2016 prevista dalla legge 107/2015 (Buona scuola), inserita nello Schema di Decreto Legge di prossima approvazione, come richiesto sempre da Anief, e la possibilità di essere assunti l’anno prossimo, a domanda, anche in una regione diversa dove le graduatorie di merito sono esaurite. Questa possibilità verrebbe estesa anche agli idonei delle Graduatorie di merito regionali ad esaurimento.

L’organizzazione delle supplenze dei docenti è così contorta che pur in presenza del record di posti vacanti non si riesce ad assumere i vincitori dei concorsi, i quali, per non perdere ogni diritto, sono costretti ad aggrapparsi alle proroghe e ad assunzioni fuori regione. Soltanto a Palermo, nella scuola del primo ciclo, ci sono ben “400 vincitori che attendono l’agognato posto fisso che, di questo passo, ammesso che le graduatorie non scadano prima, dovranno attendere una quindicina d’anni prima di essere soddisfatti tutti. Anche nella regione Campania c’è poco da ridere: sono oltre mille i vincitori di concorso rimasti al palo, mai assunti, e che ora senza proroga delle graduatorie rischiano di decadere. Infine, in 35 mila stanno aspettando di essere assunti ancora dalle GMRE e in futuro non avranno né gli uni né gli altri più la quota parte del 50% dei posti destinate alle ex graduatorie permanenti esaurite.

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF, MARCELLO PACIFICO

Secondo Pacifico, “è una misura tampone necessaria ma non risolutiva, innanzitutto perché i vincitori hanno diritto a essere assunti dove hanno vinto il concorso e gli idonei che a domanda si trasferiscono in altra regione hanno diritto a rientrare con una mobilità straordinaria nel proprio territorio. Non è colpa loro se lo Stato prima bandisce concorsi su una previsione biennale di posti vacanti e disponibili salvo poi scoprire che non ci sono. Siamo pronti a chiedere emendamenti che coniughino il diritto alla famiglia con il diritto al lavoro. Ingiusto, infine, bloccare per cinque anni i neo-assunti, perché la continuità didattica si combatte eliminando la precarietà e le richieste di trasferimento con incentivi economici”.

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Italia, corpo insegnanti sempre più “vecchio”: in media ha più di 51 anni

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La categoria degli insegnanti continua ad invecchiare: in media hanno 51 anni e due mesi. Dopo il computo della Ragioneria dello Stato, che attraverso il Conto annuale ha confermato come gli insegnanti italiani siano quelli con l’età più avanzata in Europa, la stima stavolta è stata realizzata da Tuttoscuola, su dati ufficiali Miur, che è andata a mettere a confronto la situazione anagrafica dell’anno scolastico 2015-16 con quella di due anni dopo, il 2017-18: la rivista ha scoperto chel’età media dei docenti di ruolo di tutti gli ordini di scuola, compresi gli insegnanti di sostegno, (complessivamente erano 733.654 docenti nel 2015-16) era allora di 50 anni e 8 mesi. Due anni dopo, quando il numero di docenti di ruolo era salito a 737.243 unità, sebbene nel frattempo fosse stato realizzato il piano straordinario della Buona Scuola, l’età media degli insegnanti si è attestata a 51 anni e 2 mesi, compresi i docenti di sostegno. 

Questo significa che “gliinsegnanti di scuola primaria restano mediamente i più giovani, anche se poi anche loro hanno registrato un aumento dell’età media di circa 7 mesi, passando dai 49 anni e 6 mesi del 2015-16 a 50 anni e un mese di due anni dopo. Forse il turn over di quest’anno, arricchito dalle uscite di quota 100, potrebbe favorire una inversione di tendenza, ma indubbiamente ci vorranno molti anni per abbassare l’età media dei nostri insegnanti di ruolo avvicinandola a quella della maggior parte dei Paesi europei”. 

Il dubbio, tuttavia rimane, perché ammesso che si riesca a realizzare il turnover anche su quota 100, poiché i controlli dell’Inps sulle domande dei circa 14 mila docenti potrebbero essere svolti in tempi successivi alla formazione degli organici del personale scolastico, la maggior parte dei nuovi che subentreranno avranno una media anagrafica tutt’altro che bassa. Sempre Tuttoscuola ha fatto emergere che “per i supplenti che nel 2015-16 erano poco più di 100 mila e due anni dopo superavano le 135 mila unità, nell’arco di un biennio la loro età media complessiva si è innalzata di oltre un anno, passando da 39 anni e 3 mesi del 2015-16 a 40 anni e 4 mesi nel 2017-18”. 

Tra i diversi ordini di scuola la graduatoria dei più anziani vede in testa i supplenti della scuola dell’infanzia seguiti da quelli della primaria. Nell’uno e nell’altro caso si registra anche il più consistente aumento dell’età media nell’arco del biennio considerato: 43 anni e 7 mesi (era di 41 anni e 1 mese) per i docenti dell’infanzia, 41 anni e 2 mesi (era di 38 anni e 8 mesi) per quelli della primaria. 

Secondo Anief non è un caso se i docenti precari del primo ciclo scolastico sono quelli più avanti negli anni: stanno invecchiando da supplenti, in attesa che la giustizia si esprima sulle loro ragioni. E anche se queste sono da vendere, nell’ultimo periodo abbiamo assistito anche ad autorevoli pareri dei giudici negativi, come quelli del Consiglio di Stato su maestri con diploma magistrale. I quali ora sperano vivamente nei  pareri, sull’abuso delle supplenze anche in presenza di posti liberi, da parte della Corte di Cassazione, già riunita il 12 marzo scorso, della Corte Costituzionale, sulla legittimità del concorso straordinario della scuola secondaria, che avrà inevitabili ripercussioni sul primo ciclo e anche del Consiglio d’Europa

“La presenza in Italia di un corpo docente anziano – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è risaputa. Non si comprende, se non per meri motivi di finanza pubblica, il motivo per cui il Governo precedente e anche l’attuale non abbiano compreso i dipendenti scolastici tra le categorie professionali ad alto pericolo di salute, per via dello stress derivante dalla presenza di tanti alunni in contemporanea, e quindi da includere nell’Ape social. Anche l’accesso a quota 100 sarebbe stata utile per ringiovanire la categoria, ma senza prevedere decurtazioni dell’assegno di quiescenza e anticipando ulteriormente gli anni utili per lasciare e il numero di contributi da accumulare”. 

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Questa è la settimana europea del Coding. Ma in Italia l’informatica è ancora poca cosa

Bandiera dell'Unione Europea Europa Unita

Parte ‘Eu Code Week’, festival della programmazione informatica per promuovere le competenze digitali. Coinvolti più di 70 Paesi tra cui Turchia, Stati Uniti e India. L’evento, promosso dalla Commissione UE, è incentrato sull’importanza di giochi informatici ed esercizi interattivi nell’Istruzione moderna, quali metodologia didattica: partecipano attivamente scuole e insegnanti. Anief chiede di introdurre il coding a scuola, all’interno dei programmi.

In Italia è un gran parlare di informatica, di linguaggio digitale e di nuove tecnologie applicate alla didattica. Sul piano pratico, però, si fa poco. I numeri lo confermano. Quella che si apre oggi sarà infatti la settimana del coding, con oltre tremila attività organizzate solo in Italia e 25 mila complessive: proclamata dell’Unione europea, l’iniziativa prevede oltre 3 mila eventi per l’alfabetizzazione digitale, di cui circa l’80% coinvolgendo scuole di ogni ordine e grado. Tuttavia, il grado di informatizzazione dei nostri istituti scolastici rimane decisamente basso.

Le attività programmate in questa settimana, scrive Orizzonte Scuola, vogliono certamente rappresentare “anche una risposta alle statistiche Ue che inseriscono il nostro Paese in fondo alle classifiche sull’innovazione digitale. Secondo il Digital Economy and Society Index (Desi) 2018 di Eurostat, che rileva i progressi compiuti dagli Stati membri in termini di digitalizzazione”, rimane il fatto che “l’Italia è solo venticinquesima in Ue” su questo fronte. Questa posizione non ci fa onore: significa che siamo tra i peggiori ad investire nel pensiero computazionale, che è la capacità di risolvere problemi, anche di una certa complessità, adottando la logica, contestualizzando ogni volta la strategia migliore per risolvere un problema.”

LA SCUOLA DIGITALE ITALIANA PER L’AGCOM

Per comprendere i motivi del ritardo del nostro Paese, basta andare a leggere il rapporto realizzato quest’anno dall’Agcom sullo “stato di sviluppo della scuola digitale”: l’agenzia nazionale premette che la digitalizzazione del sistema scolastico “si presenta come un processo estremamente complesso che, oltre a richiedere un’attenta pianificazione, si basa in primis sulla realizzazione delle infrastrutture; la dotazione di strumenti tecnologici più avanzati per la didattica (device innovativi come tablet, lavagne luminose, connessioni wi-fi), rappresenta quella condizione minima necessaria alla quale affiancare le adeguate competenze di un corpo docente che voglia garantire sia la gestione digitale della conoscenza, sia l’implementazione degli elementi di innovazione all’interno di un curricolo verticale”. L’obiettivo, però, in Italia è lontano dal compiersi: “un dato significativo è rappresentato dalla percentuale italiana di alunni, più alta rispetto alla media, che non dispongono di una connessione a banda larga e, contemporaneamente, dalle percentuali più basse di connessioni ad alte velocità”.

L’Agcom ha calcolato che solo il 47% dei docenti delle scuole italiane utilizza con frequenza quotidiana strumenti digitali nello svolgimento delle proprie attività didattiche. Inoltre, rimane alta la percentuale di scuole che possono contare su una connessione medio-bassa, peraltro condivisa molto spesso tra più postazioni contemporaneamente. Come se non bastasse, il grado di obsolescenza dei computer presenti nelle scuole risulta elevato e in alta percentuale un pc è utilizzato da più di un alunno nello stesso momento. Certamente ci sono regioni – come l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia – dove il grado di incidenza informatica e delle performance che ne derivano sono nettamente superiori alla media nazionale. Ma nel complesso, il ritardo rimane grave. Ed il rammarico è alto, perché, ricorda ancora Agcom, “è solo attraverso lo sviluppo di competenze digitali del corpo docente e l’adozione di strategie digitali volte ad un approccio consapevole che si possono minimizzare i rischi sociali”.

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF

Sul fronte della tecnologia digitale e dell’insegnamento del pensiero computazionale non bastano più le buone intenzioni. Se su giochi informatici ed esercizi interattivi, vogliamo allinearci agli altri Paesi avanzati – dice Marcello Pacifico, leader del sindacato autonomo Anief – e non c’è più tempo da perdere. Bisogna stabilire un programma ben preciso e dotarci nella prossima legge di Bilancio di finanziamenti adeguati, altrimenti, continueremo a ricordarci del coding e dell’informatica da potenziare solo in queste occasioni, nelle ricorrenze, rammaricandoci per la nostra proverbiale lentezza nell’evolvere a livello tecnologico e didattico, e rimpiangendo i progressi conseguiti oltre confine”.

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Pacifico: “Il precariato scuola non si risolve solo coi concorsi”

marcello pacifico anief

Pragmatismo («Prima verifichiamo che nell’imminente legge di stabilità siano stanziate risorse adeguate, sarebbe inversione di tendenza, visto che nell’ultimo Def c’erano tagli fino al 2040») davanti al castello di buoni propositi snocciolato dal governo, fra abolizione delle classi pollaio, aumento significativo degli stipendi del personale della scuola e contrasto al bullismo e alla dispersione. E due punti fermi, due priorità, per fare ripartire il comparto Scuola. «Bisogna intervenire sulla definizione degli organici, per far funzionare davvero la scuola e sconfiggere la supplentite. Se si chiamano 210.000 supplenti è evidente che c’è un problema di gestione della continuità didattica e della valorizzazione professionale. Basterebbe estendere il doppio canale alle graduatorie d’istituto, in modo da reclutare chi già insegna tutti i giorni nelle nostre scuole».

Marcello Pacifico, leader del sindacato Anief, è intervenuto ai microfoni di Radio Cusano Campus. Facendo il punto su una delle voragini della scuola italiana, il precariato dilagante, l’abuso dei contratti a termine, su cui l’Italia fa leva, nonostante sia stata più volte richiamata dalle autorità europee, con tanto di anticamera della procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea.

«La mobilità volontaria su scala nazionale per assorbire vincitori e idonei di concorsi che non hanno ancora preso servizio? Nell’ultimo anno – fa notare il presidente nazionale del sindacato autonomo – su 53.00 posti in ruolo ne sono stati assegnati solo 22.000. Il dato del 60% dei posti non assegnati fa nascere l’esigenza della mobilità volontaria. Se ci sono graduatorie di merito esaurite, hai vinto in una regione, e in un’altra regione non c’è nessuno da chiamare, perché non devo utilizzare la tua professionalità? Non ci sono solo i vincitori e gli idonei 2016, ma perfino quelli che hanno sostenuto e vinto il concorso straordinario del 2018».

Non sono mancati negli ultimi anni le selezioni pubbliche. Per sconfiggere la supplentite il ministro Lorenzo Fioramonti punta su concorsi da espletare ogni due anni ma, fa notare Pacifico, «negli ultimi sette anni si sono svolti due concorsi ordinari e altrettanti straordinari e quest’anno abbiamo assistito al record dei posti andati a vuoto. Come Anief dimostrato che su 180.000 immissioni autorizzate dal governo negli ultimi 5 anni ben la metà, 90.000, sono andate a vuoto. È assurdo se si pensa che abbiamo 150.000 docenti abilitati e altri 100.000 che insegnano da anni senza abilitazione. Ma se non si devono immettere in ruolo, perché sono state chiamati? Se abbiamo fiducia in loro, tanto da farli insegnare, perché non stabilizzarli dopo tanti anni di lavoro?

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I docenti italiani sono i più vecchi d’Europa. Lo dice l’UE

Bandiera dell'Unione Europea Europa Unita

Anche l’Europa si meraviglia per l’indifferenza con cui vengono trattati professionalmente i nostri insegnanti. Nel 2017, scrivono da Bruxelles, oltre la metà (58%) dei docenti della scuola primaria e secondaria aveva più di 50 anni (contro il 37% nell’Ue) e il 17% superava i 60 anni (contro il 9% nell’Ue). La percentuale dei docenti prossimi alla pensione, sottolinea Bruxelles, è dunque “elevata” e “nei prossimi 15 anni una media di 3,8% docenti all’anno potrebbero ritirarsi”. 

C’è poi un’altra importante indicazione che giunge dalla Commissione europea: il dato che “l’Italia ha una delle più alte percentuali di insegnanti donne tra gli Stati membri, donne che quasi sempre devono sobbarcarsi il carico della famiglia e dei figli: nel 2016 – si legge ancora nel rapporto dell’Ue – le insegnanti donne erano il 99% nella scuola materna, il 63% nella secondaria superiore e il 37% nelle università”. E le docenti donne risultano “relegate ai gradi d’istruzione inferiori”, dove il grado di responsabilità e di attenzione per gli alunni, legato alla loro età ridotta, risulta per forza di cose maggiore.

Se a questo aggiungiamo che in Italia gli investimenti prodotti nell’istruzione si collocano al 3,8% del Pil e il 7,9% della spesa pubblica totale e “sono inferiori alla media Ue (4,6% del Pil), in particolare per quella superiore”, si comprende perché il nostro sistema scolastico risulta sempre più sofferente e con un grado di conoscenze e competenze acquisite dagli alunni sempre meno esaltante. 

I dati ufficiali non lasciano spazio ai dubbi: basta dire che le malattie professionali degli insegnanti che determinano l’inidoneità all’insegnamento presentano una diagnosi psichiatrica nell’80% dei casi. Una recente ampia indagine nazionale, volta ad indagare diversi ambiti problematici connessi con lo sviluppo della sindrome di burnout, ha rilevato che l’alta incidenza di malattie psichiatriche ed oncologiche tra coloro che soffrono o hanno sofferto di stress da lavoro è correlata, tra i docenti, alla mancanza di una rete (di esperti, di colleghi, etc.) che contribuisca a fornire un supporto sempre presente e disponibile nei momenti di inevitabile difficoltà vissuti a scuola.   

Il commento di ANIEF

“Tutti i dati nazioni ed internazionali – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – ci dicono che è indispensabile che i docenti italiani vengano collocati in pensione così come avviene nei Paesi europei, ovvero a 63 anni, e non legando l’uscita dal lavoro all’aspettativa di vita. Ancora di più perché i nostri docenti non si tirano mai indietro; l’ultima “Nota Paese rivolta all’Italia” ha espresso un giudizio più che positivo del docente medio italiano: sempre aggiornato, collaborativo e al passo con la tecnologia applicata alla didattica” 

“Del resto – continua il sindacalista – l’impegno dei docenti va ben oltre l’orario di servizio: nel corso degli anni, dei decenni di servizio, questo comporta stanchezza e logorio. Negli altri Paesi lo sanno bene: gli insegnanti si mandano in pensione attorno ai 60 anni di età o con meno di 30 anni di contributi e senza particolari decurtazioni sull’assegno di quiescenza. Da noi, in Italia, invece, tra le professioni più stressanti e gravose, quindi inserite nell’Ape Social, figurano gli educatori dei nidi e i maestri della scuola dell’infanzia. Perché lo stress e la fatica mentale non sono da meno rispetto a quello fisico e a quello pratico”.

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Fioramonti: “Stipendi più alti ai docenti che lavorano fuori regione”

lorenzo fioramonti ministro istruzione

Secondo il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, giustamente, molti insegnanti “restano nella propria regione di appartenenza dove non ci sono posti, vanno fuori, ma non possono permettersi di vivere lì, quindi devono costantemente fare i pendolari. Noi dobbiamo investire in quello che fa bene a una società. L’economia ha bisogno di formazione, di investimenti di base, queste sono le cose che fanno crescere l’economia”. 

Il sindacato ritiene positiva la posizione del ministro dell’Istruzione: un insegnante costretto a cambiare provincia o regione non può affrontare spese aggiuntive per trasporti, affitti, utenze e quant’altro, con uno stipendio bloccato per anni a 1.300 euro al mese. È una somma fortemente insufficiente per assolvere al carico di spese ulteriori che il docente è costretto ad affrontare. 

“Gli aumenti medi del 3,48% a regime approvati con il rinnovo di contratto di un anno e mezzo fa – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – hanno prodotto incrementi ‘miserevoli’ e arretrati insignificanti, lasciando il costo dalla vita superiore al 10% rispetto agli stipendi di chi insegna nel nostro Paese. E il futuro non è roseo. Perché il Governo precedente, composto da M5S e Lega, non è andato oltre a 40 euro lordi di incremento medio in tre anni. Si tratta di una somma davvero insufficiente: per ottenere l’allineamento all’inflazione, occorrerebbe almeno il triplo di quanto è stato inserito nell’ultima Legge di Bilancio”. 

In attesa di vedere prodotti i risultati di questa nuova politica, Anief consiglia di ricorrere al giudice per il conferimento dell’indennità di vacanza contrattuale nel periodo 2015-2018 mai corrisposta, in modo da far recuperare a docenti e Ata almeno il 50% del tasso IPCA non aggiornato dal settembre di tre anni fa. Si punta anche al recupero di migliaia di euro per i mancati arretrati. Tutti i lavoratori interessati al ricorso possono ancora chiedere il modello di diffida al seguente indirizzo di posta elettronica: segreteria@anief.net.

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Procedere d’infrazione UE contro l’Italia in forte aumento: 300 milioni di multe

Bandiera dell'Unione Europea Europa Unita

Mentre l’Italia si appresta a rispondere alla lettera di costituzione di messa in mora prodotta in piena estate dalla Commissione Ue per abuso di precariato scolastico, giunge notizia dell’aumento esponenziale, registrato nel 2019, pari al 40% in più in un solo anno, delle procedure avviate dall’Unione europea nei confronti del nostro Paese per colpa dei Governi che non applicano leggi e direttive europee: hanno raggiunto quota 79, di cui 71 per violazione del diritto Ue, 8 per mancato recepimento delle direttive. Il dato in sensibile crescita giunge dopo una riduzione del 50%, tra il 2017 e il 2018 (da 119 a 57), del numero di procedure di infrazione. Le “osservazioni” della Commissione cominciano a pesare sulle casse dello stato italiano, costretto fino ad oggi ad un esborso complessivo di 301 milioni di euro. I dati sono stati presentati dal professore universitario Daniela Corona, docente di Diritto dell’UE alla Luiss di Roma: “Sono tutti soldi buttati, nel nostro Paese c’è una situazione incancrenita. Il messaggio per l’attuale governo è che bisogna studiare e fare i compiti”, ha detto l’accademico. 

Sono numeri importanti quelli presentati poche ore fa da Daniela Corona, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università Luiss Guido Carli, contenuti in uno studio transnazionale realizzato dalla Luiss, in collaborazione con la testata giornalistica Sanità Informazione. 

I DATI RESI PUBBLICI

I dati numerici, presentati nel corso del II Convegno Nazionale sull’inadempimento di direttive comunitarie e obblighi risarcitori dello Stato nell’ambito sanitario, dicono che dal 2012 ad oggi l’Italia ha pagato 76 milioni per i contributi a favore delle imprese per l’assunzione di disoccupati con contratto formazione da convertire poi in contratti a tempo indeterminato contrari alle norme Ue. Sono invece 200 i milioni pagati in 4 anni a causa delle discariche abusive (attualmente sono 55 quelle da regolarizzare) e 25 nel solo 2019 per il trattamento delle acque reflue (procedura iniziata addirittura 15 anni fa). 

LA POSIZIONE DEL SINDACATO

L’Anief ricorda che il numero di procedure d’infrazione è molto probabilmente destinato a crescere: lo scorso mese di luglio, infatti, proprio da Bruxelles è stata inviata una lettera all’Italia, nella quale si scriveva che è un “Paese in cui i lavoratori del settore pubblico non sono tutelati contro l’utilizzo abusivo della successione di contratti a tempo determinato e la discriminazione come previsto dalle norme dell’UE (direttiva 1999/70/CE del Consiglio)”. Attualmente la legislazione italiana, infatti, scrivono da Bruxelles, “esclude da questa protezione diverse categorie di lavoratori del settore pubblico”, tra cui gli insegnanti e il personale Ata. 

IL PARERE DEL PRESIDENTE ANIEF

“La mancanza di garanzie sufficienti per impedire le discriminazioni in relazione all’anzianità di servizio maturata durante il periodo di precariato o in costanza di contratti a termine – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief – ha convinto la Commissione europea ad intervenire, rispondendo in questo modo positivamente alle stimolazioni di chi, come il nostro sindacato, ha bussato ai palazzi dell’Unione europea per evidenziare questa incongruenza, che confligge con la direttiva UE 70 datata 1999, quindi ben 20 anni fa. Nelle sollecitazioni formulate a Bruxelles, l’Anief ha evidenziato anche che i precari non hanno le progressioni di carriera”. 

“Preso atto della situazione – continua Pacifico – la Commissione qualche settimana fa ha invitato le autorità italiane a conformarsi pienamente alle pertinenti norme dell’UE. Spetta ora all’Italia replicare alle argomentazioni formulate dalla Commissione: subito dopo, forse già entro il 2019, la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato. E se, come sembra molto probabile, si tratterà di una condanna, a quel punto i nostri governanti avranno raggiunto un piccolo record: quello di dovere pagare all’Unione europea una multa di diversi milioni di euro, sicuramente superiore alle quote che si sarebbero spese se solo si fossero immessi in ruolo, visto anche che i posti per accoglierli ci sono ampiamente, i tanti precari, docenti e Ata, che ancora ad oggi risultano precari ed in molti casi addirittura disoccupati o costretti ad accettare supplenze brevi, anche di un solo giorno”, conclude il sindacalista autonomo.