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Pas, reclutamento e precariato: Anief continua a condannare l’accordo Miur – sindacati

marcello pacifico anief

“Si fanno sempre più grandi le falle dell’accordo raggiunto tra Miur e sindacati maggiori sul tema del reclutamento e del precariato scolastico, con l’avvio, oltre che dei Pas abilitanti, anche di un concorso riservato per la scuola secondaria, frutto a sua volta dell’Intesa siglata lo scorso 24 aprile a Palazzo Chigi alla presenza del premier Giuseppe Conte. Il piano straordinario di stabilizzazione per chi opera da almeno tre anni nelle scuole medie e superiori, alla pari di quello che si sta realizzando per il primo ciclo, andrà a sanare la situazione professionale di soli 24 mila precari: come se non bastasse che la quota corrisponde al 25% di quelli già selezionati, abilitati e supplenti di vecchia data che hanno pieno diritto a essere assunti a tempo indeterminato, analizzando più a fondo l’accordo si scopre che vi sono anche diverse categorie di precari che non potranno partecipare alla procedura. 

Professionalità escluse

Anief non comprende come si faccia a lasciare fuori dal concorso riservato il personale Ata, che da anni garantisce un servizio essenziale per i nostri istituti autonomi e ha il pieno diritto ad essere stabilizzato, alla pari di quello utilizzato dalle cooperative per i servizi esternalizzati. Lo stesso vale per il personale educativo, che ha gli stessi diritti dei maestri del primo ciclo ma che continua a rimanere fuori da queste procedure. Per non parlare dell’opera preziosa del personale educante che opera nelle sezioni Primavera, che da due anni fa parte del sistema ordinamentale dello Stato ma ad oggi non ha alcuna prospettiva di stabilizzazione. Lo stesso destino, senza prospettive, è quello di chi oggi si occupa di assistenza alla comunicazione, affiancando gli alunni disabili sulla base delle esigenze espresse dalle équipe psico-pedagogiche. 

Il commento di Marcello Pacifico

“Dimenticare tutte queste professionalità, fondamentali per garantire il servizio nelle scuole di tutti i cicli – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – va a costituire un atto di superficialità intollerabile nei confronti di personale che in un altro Paese moderno sarebbe da tempo stabilizzato. L’ostinazione a tenerlo in questa situazione di limbo, però avrà un solo sicuro effetto: incrementare il contenzioso. Perché Anief, statene certi, non starà di certo a guardare dinanzi a questa ennesima ingiustizia all’italiana”. 

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Concorso DSGA: i risultati a metà settimana

Scuola concorsi documenti scrittura uomo

“Abbiamo appreso, per le vie brevi, dal MIUR che gli esiti delle prove preselettive – che dovranno essere accertati dagli USR – saranno disponibili solo per martedì o mercoledì. La partecipazione complessiva alle prove è risultata essere di circa il 33%”.

Lo afferma la FLC Cgil attraverso il suo sito internet.

“Stiamo monitorando la situazione per dare tutte le informazioni utili ai candidati al concorso. Nel frattempo siamo stati convocati al Ministero per giovedì 20 giugno 2019 per discutere dei temi riguardanti il personale ATA, tra i quali una soluzione per gli Amministrativi facenti funzione”.

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No alla regionalizzazione, l’adesione di Anief

Anief Sciopero

Molte le sigle sindacali che saranno presenti alla manifestazione nazionale il 25 giugno, alle ore 14, presso piazza Montecitorio a Roma, per dire No alla regionalizzazione scolastica e difendere la Scuola di Stato. Tra gli interventi anche quello del presidente del giovane sindacato Anief Marcello Pacifico: “Confermo l’adesione dell’Anief all’evento. La scuola è di tutti, è un bene comune di cui devono fruire indistintamente, con le medesime modalità, gli stessi servizi e con un’offerta formativa che prenda ispirazioni dalle Indicazioni Nazionali, tutti gli studenti italiani. Ci siamo opposti sempre alla regionalizzazione scolastica e siamo pronti a urlare forte il nostro dissenso martedì prossimo a Roma, capitale della Repubblica Italiana. Forse è il caso di ricordarlo a chi pare lo abbia dimenticato”.

Cresce il malcontento nel mondo della scuola per il progetto del governo di regionalizzazione, che porterebbe, per forza di cose, a una differenziazione della scuola: al grido di “No regionalizzazione scolastica”, martedì 25 giugno ci sarà una manifestazione nazionale presso piazza Montecitorio a Roma, a partire dalle ore 14. Parteciperà lo scrittore e giornalista Pino Aprile; tra le sigle che aderiranno: And, Adida, Cobas, Unicobas e Anief.

La posizione del sindacato

Nel capitolo della scuola di contratto di Governo non si fa cenno alcuno allo spezzettamento dell’organizzazione dell’istruzione in tante parti quante sono le regioni. Non vorremmo che questa riforma della scuola, annunciata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, si riferisca invece proprio a quell’autonomia differenziata tanto cara ai politici e agli imprenditori del Veneto e dell’Emilia Romagna. Sulla regionalizzazione, inoltre, c’è già il beneplacito del ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, secondo il quale l’autonomia è un’opportunità che porterebbe maggiori risorse.

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“No regionalizzazione scolastica”, il 25 a Roma manifestazione nazionale

palazzo montecitorio camera deputati roma

No regionalizzazione scolastica, piazza Montecitorio ore 14.00 (orario di ingresso dei parlamentari), il 25 giugno 2019 a Roma “Sì all’eguaglianza dei bambini e giovani italiani, no alla scuola regionalizzata”. Questo il comunicato di convocazione della manifestazione da parte dei suoi organizzatori.

Il comunicato

Si è dimostrato con la Sanità che anche qualora lo stato mantenesse l’autorità di stabilire i Livelli Essenziali minimi, il processo di controllo, sanzione e sussidiarietà, è risultato pressoché inapplicabile e inapplicato.

I cittadini sono tutti uguali, i bambini devono essere tutti eguali di fronte ai diritti costituzionali, primo fra tutti l’istruzione. Per tutelare il valore di eguaglianza naturale dei cittadini, la costituzione istituisce il sistema statale pubblico dell’obbligo scolastico con cui si garantisce a tutti la qualità del livello d’istruzione ed educazione sui comuni valori etici e sociali di solidarietà e cooperazione anche per superare ogni tipo di disuguaglianza e discriminazione. L’autonomia differenziata risulterebbe lesiva di principio sancito storicamente sin dalla proclamazione della Repubblica. Infatti una qualsiasi modalità di differenziazione della tipologia e qualità della scuola dell’obbligo per territori porterebbe, ancorché fossero garantiti i livelli minimi (condizione per esperienza irrealizzabile), ad una sperequazione sul livello di istruzione sostenuto con la spesa pubblica e quindi ad un’effettiva scuola di serie A per le regioni più ricche ed una di serie B per le regioni meno ricche e la possibilità di discriminazioni negli stessi territori, come già avviene, sulla base di una discrezionalità nel distribuire le risorse e le opportunità. Va evidenziato che questa differenziazione sulla qualità della scuola pubblica su base regionale ingigantirebbe gli ostacoli per le fasce meno abbienti della cittadinanza impedendone il pieno sviluppo della persona umana e ” limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini ” (art. 3 della Costituzione) .

La protezione della scuola repubblicana è la difesa della scuola statale, attaccata da diversi decenni attraverso tagli economici. Siamo infatti il terzultimo paese per spesa pro capite per l’istruzione pubblica e l’ultimo per la quota di questa spesa sul totale della spesa pubblica. Questa aggressione viene portata avanti anche con l’incremento continuo della burocratizzazione: dal Dirigente scolastico all’ultimo applicato di segreteria, devono compilare moduli per le più banali e ripetitive attività. Possiamo capire cosa significa la regionalizzazione: permettere alle Regioni più forti di migliorare le proprie scuole a danno delle Regioni più povere. Si tratta di autorizzare regioni con il 40% del PIL italiano a trattenere un’alta percentuale dei tributi pagati dai cittadini, senza contare che ci possono essere differenze di luogo tra la produzione e la riscossione qualora le aziende del nord hanno i loro stabilimenti al sud.

Esempi degli effettletali della regionalizzazione lo abbiamo già nella formazione professionale che da anni, con la riforma del titolo V° della Costituzione, è stata totalmente attribuita alle regioni (legge 53/03) che in merito hanno ottenuto pieno potere legislativo. Vediamo come risultato una totale difformità di qualità formativa ed un dissolvimento degli enti pubblici in favore dei vari enti privati convenzionati (ovvero finanziati con soldi pubblici) perlopiù afferenti agli ordini religiosi o legate in qualche modo alle tre principali sigle sindacali nazionali. Constatiamo che di fatto tali enti privati sono arrivati a condizionare la legislazione regionale a loro favore, degli enti non certo degli studenti. Esempio ne è stata la legge sul “sistema educativo regionale di istruzione e formazione professionale” del Lazio, ovvero la LR 5/15 della giunta Zingaretti che era partita addirittura come “la legge della suora”, e che solo grazie all’opposizione M5S, è stata riequilibrata a vantaggio dei cittadini e non degli enti privati, nel caso religiosi. Bisogna allora stare molto attenti e mettere bene a fuoco gli effetti della Regionalizzazione sul settore scolastico formativo, non si tratta solo dei programmi scolastici; si tratta dell’assunzione del personale scolastico con concorsi regionali per dirigenti, docenti e non docenti e della messa in ruolo nella Regione; si tratta che le Regioni potranno decidere chi va dove e di quanto personale potrà disporre una scuola. Non esiste alcuna motivazione organizzativa alla dimensione regionale del sistema scolastico. L’unico effetto sarebbe di permettere alla politica regionale di influenzare assunzioni e concorsi dirigenziali del sistema scolastico, come successo in ambito sanitario, rendendo la scuola uno strumento di scambio elettorale. Questi effetti di malamministrazione specifici delle Regioni porteranno anche per la scuola come per la sanità ad incrementare il divario della qualità della scuola tra NORD e SUD. Se vediamo il divario è già presente tra nord e sud sia nel maggiore abbandono scolastico sia nel livello di efficacia formativa come risulta dai dati INVALSI. Con la regionalizzazione, che porta maggiori risorse alle Regioni più ricche del NORD, si avrà un incremento di tale divario a danno dei bambini e giovani italiani residenti al sud. Altro esempio di analogia con la sanità della differenza nord sud causata dalla regionalizzazione sta nella qualità degli edifici, nella popolazione degli alunni per classe, basta vedere un ospedale in Lombardia ed uno in Calabria, e scoprire che la differenza non viene dalla geografia, ma dalle superiori risorse assegnate alla Lombardia rispetto la Calabria rispetto a parita di posti letto. Si tratterà anche di favorire enti privati ponendoli a carico della spesa pubblica, come avviene già per la formazione professionale e in misura maggiore per la sanità, dove alla inefficienza delle strutture pubbliche le Regioni fanno fronte con convenzioni con enti privati. La già disattesa regola costituzionale delle scuole private senza oneri per lo stato, sarà ancora più disattesa. Quindi non solo scuole pubbliche di serie A e di serie B, ma anche il proliferare di scuole private convenzionate (pagate) con le Regioni. E’ inoltre da considerare che la separazione di competenze al momento centralizzate non può che incrementare il costo complessivo di gestione del sistema scolastico a causa delle numerose duplicazioni di funzioni al momento centralizzate a livello nazionale.

Non si tratta solo di contestare con un chiaro e semplice NO alla scuola regionalizzata, si tratta di prendere coscienza e portare avanti proposte capaci di interrompere ogni tentativo di disgregazione della Istruzione Pubblica Statale della Repubblica, cominciata con la Riforma Berlinguer e consolidata con la Legge 62 di Fioroni. Proponiamo e pretendiamo una inversione di rotta:

  •  più risorse per la scuola: raggiungere il 6% del PIL a partire dalla prossima finanziaria,
  • messa in sicurezza degli edifici,
  • riduzione degli alunni per classe,
  • adeguamento degli stipendi alla media europea per il personale scolastico (dirigenti, docenti, non docenti),
  • assunzione in ruolo solo per concorso statale con obbligo di conoscenza lingua e cultura italiana,
  • privilegiare la formazione curriculare sulla progettazione,
  • scuola-lavoro, fuori dall’orario scolastico e solo con retribuzione al discente,
  • controllo della qualità del servizio solo attraverso l’ispettorato ministeriale statale,
  • estensione dell’obbligo di scolastico da 16 a 18 anni,
  • incremento dei nidi e scuole materne gratuiti,
  • stabilità pluriennale nell’organizzazione formativa e discipline di esami,
  • mantenimento del valore legale del titolo di studio,
  • formazione dei docenti di qualità solo presso le università statali, con programmi standard certificati e con esame di abilitazione professionale
  • ultimo ma non meno importante, riportare le competenze della formazione professionale, allo stato.
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Reclutamento e PAS, il Miur difende la linea

Marco Bussetti Miur Ministro

Nei giorni scorsi al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è stato raggiunto l’accordo con le Organizzazioni Sindacali sul tema del reclutamento e del precariato nella scuola. L’accordo è stato chiuso nell’ambito di uno dei tavoli tematici attivati a seguito dell’Intesa siglata lo scorso 24 aprile a Palazzo Chigi alla presenza del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del Ministro Marco Bussetti.

“L’accordo raggiunto oggi – commenta Bussetti – è frutto del serio lavoro che abbiamo condotto in queste settimane con le Organizzazioni Sindacali. Un confronto franco che porterà alla stesura di una norma attraverso la quale metteremo in campo misure straordinarie a tutela dei precari storici e, in contemporanea, avvieremo una nuova stagione di concorsi ordinari per chi vuole insegnare nella scuola secondaria. Questo Governo sta mostrando grande attenzione verso il comparto dell’Istruzione. L’accordo di oggi ne è ulteriore riprova. Definiamo un percorso che ci consente di dare una risposta concreta al precariato giunto ormai a livelli esponenziali che rischiano di mettere in difficoltà il funzionamento del sistema, proprio perché negli ultimi anni sono mancati una seria programmazione e interventi adeguati”.

In particolare, saranno previsti, per i docenti che hanno già lavorato per almeno tre anni nella scuola, sia statale che paritaria, percorsi (PAS), che saranno attivati a stretto giro e che consentiranno di conseguire l’abilitazione all’insegnamento, utile, fra l’altro, per accedere alle supplenze annuali dalle graduatorie di seconda fascia e per insegnare nelle paritarie. Al PAS potranno accedere, tra gli altri, anche i docenti di ruolo e i dottori di ricerca.

Al contempo, sarà bandito un concorso straordinario e abilitante, da oltre 24.000 posti, per chi ha già maturato tre anni di insegnamento nella scuola statale, di cui uno specifico nella classe di concorso per cui si intende concorrere. La graduatoria finale sarà determinata assicurando un preminente rilievo ai titoli di servizio, oltre che in base al punteggio attribuito ad una prova scritta, da svolgere al computer, per la quale sarà prevista una soglia di punteggio minimo, nonché a una prova orale non selettiva, si legge nell’intesa siglata.

Ulteriori 24.000 posti saranno poi destinati a un concorso ordinario per laureati in possesso dei requisiti previsti dalla disciplina vigente, fra cui 24 crediti formativi in ambito antropo-psico-pedagogico e metodologie e tecnologie didattiche.

“Con questi due concorsi per la scuola secondaria bandiremo, fra straordinario e ordinario, quasi 50mila posti. Altri 17.000 sono quelli del concorso ordinario per infanzia e primaria – prosegue Bussetti -. Nei prossimi mesi, dunque, bandiremo quasi 70.000 posti nella scuola”.

I tavoli proseguiranno ora per affrontare, fra l’altro, anche le tematiche connesse al personale ATA.

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Precari scuola “sfruttati”: i giudici risarciscono anche gli eredi

tribunale giustizia martelletto

“Ci sono delle sentenze che hanno un sapore particolare: il sapore amaro del continuo e puntuale sfruttamento del lavoro precario da parte del Ministero dell’Istruzione a danno di una lavoratrice della scuola che da circa 10 anni prestava il proprio servizio a termine, licenziata a giugno e riassunta dopo qualche mese, ma pagata mensilmente e per tutti gli anni di servizio come se fosse al suo primo incarico, senza esperienza alcuna, perché è questo che prevede il contratto nazionale per i lavoratori precari della scuola; questo sapore amaro di ordinario sfruttamento del lavoro precario nella scuola pubblica italiana è stato reso ancora più amaro dal decesso della giovane docente, venuta a mancare ancora precaria. Ma la madre decide di non rassegnarsi alla palese violazione dei diritti della propria figlia e agisce comunque in tribunale contro il Ministero dell’Istruzione in “qualità di erede universale” per ottenere giustizia a nome della figlia, per restituirle in tribunale la dignità di lavoratrice con esperienza decennale che doveva essere retribuita diversamente, come avrebbero retribuito un docente di ruolo, mentre lo Stato italiano e il CCNL le avevano negato per tutto il suo periodo di lavoro il giusto riconoscimento della propria professionalità e il tribunale le dà ragione”. Lo racconta Anief.

La madre, infatti, si legge in sentenza, “ha ampiamente documentato i reiterati servizi di insegnamento a tempo determinato svolti” dall’insegnante “in relazione ai quali la stessa ha maturato un diritto di credito per differenze retributive relative a scatti di anzianità mai percepiti. In particolare la ricorrente ha indicato la classe di concorso nella quale la figlia era abilitata e ha elencato in maniera puntuale gli anni scolastici dalla stessa svolti e per i quali chiede il riconoscimento ai fini della progressione di carriera, producendo altresì i relativi contratti”. 

LA DISPARITÀ DA EVITARE

Il giudice del lavoro nella sentenza rileva senza ombra di dubbio “l’oggettiva disparità di trattamento che sussiste, sotto il profilo retributivo, tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato, in assenza di “ragioni oggettive”, con conseguente violazione del principio di non discriminazione” che è sancito da una Direttiva Comunitaria, la 1999/70/CE. 

In sentenza si legge a chiare lettere come “ai sensi del combinato disposto dell’art. 489 del D. Lgs. n. 297/1994 e dell’art. 11, comma 14 della legge 124/1999 – ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio per la collocazione nei corrispondenti scaglioni stipendiali, il periodo di insegnamento non di ruolo è considerato come anno scolastico intero se ha avuto durata di almeno 180 giorni, oppure se è stato prestato ininterrottamente dal 1 febbraio sino al termine delle operazioni di scrutinio finale”. Sulla base di tale principio, il giudice decide di “ricostruire la retribuzione spettante nel corso dei vari periodi di servizio a termine, prima ed a prescindere dall’eventuale immissione in ruolo”, disapplicando, quindi, quanto indicato dal Contratto collettivo nazionale del lavoro in relazione agli stipendi dei lavoratori precari, perché una norma interna o pattizia non può confliggere con norme superiori di natura vincolante, come una direttiva comunitaria, appunto. 

IL PARERE DEL PRESIDENTE ANIEF

“Lavoriamo ogni giorno – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – al fianco dei lavoratori precari della scuola, li supportiamo nel loro iter e ascoltiamo le loro storie di ordinario sacrificio, di giornate di lavoro che iniziano alle 3 di mattina per prendere il treno e andare a lavorare in una provincia diversa, di speranze deluse in attesa di un’immissione in ruolo che non arriva mai, di timori per il proprio futuro. Dietro i contratti a termine ci sono storie di Lavoratori cui da sempre il Miur nega pari dignità rispetto al personale di ruolo. Il contratto nazionale di categoria deve rispettare tutti i lavoratori e riconoscere pari dignità ai precari, lo Stato deve assumerli dopo 36 mesi di servizio, il contratto deve riconoscere loro scatti di anzianità, ferie, permessi retribuiti. Porteremo anche la loro voce ai tavoli della trattativa, probabilmente saremo l’unico sindacato a chiedere di rispettare questo principio, ma lo faremo come sempre a testa alta perché per noi dietro quei contratti precari, dietro le “tessere” sindacali dei precari ci sono persone, ci sono Lavoratori che ogni giorno con il loro impegno e la loro professionalità permettono il normale svolgimento delle lezioni in tutta Italia e sono Lavoratori, appunto, con la lettera maiuscola!”. 

IL PARERE DELLA CASSAZIONE

Il riferimento decisivo, ai fini dell’accoglimento del ricorso condotto dall’erede universale, è stata dunque la sentenza della Cassazione n. 22558/2016, ha enunciato il seguente principio di diritto: «La clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato». E la Cassazione ha anche chiarito sin dal 2011 che per quanto riguarda il riconoscimento degli scatti di anzianità, il principio vale sempre e non si applica la prescrizione breve, quinquennale, perché il credito vantato non è meramente retributivo, ma deriva da violazione di direttiva comunitaria, ed è quindi soggetto a prescrizione ordinaria decennale. 

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Reclutamento universitario, “Legittimo l’intervento in Corte di Giustizia UE”

flc cgil logo

Il Tar Lazio, in data 10 giugno 2019, con ordinanza n. 3803/2019, ha confermato la legittimità dell’intervento proposto dalla FLC CGIL e dalla CGIL nel procedimento di rinvio pregiudiziale in Corte di Giustizia riguardante l’ammissione dei ricercatori a tempo determinato alla procedura di stabilizzazione prevista dal Decreto Legislativo n. 75/2017 illegittimamente negata dalle università.

Con il medesimo provvedimento, il giudice amministrativo ha disposto che tutti gli atti ed i documenti prodotti siano trasmessi, a cura della Segreteria del Tar, alla Corte di Giustizia della UE per essere assunti al procedimento instaurato mediante ordinanza n. 4336/2019.

Per effetto di tale importante decisione, la FLC CGIL e la CGIL saranno presenti, con i propri legali, in Corte di Giustizia partecipando attivamente alla discussione sui diversi temi già ampiamente rilevati dal Tar Lazio nei provvedimenti sopra richiamati.

Non appena avremo notizia della data di udienza provvederemo a darvene comunicazione.

Alla luce di tale importante decisione occorre proseguire e rafforzare la nostra azione rivendicando la necessità di una risposta politica, che sappia affrontare e risolvere complessivamente il problema del precariato universitario e dell’accesso al pre-ruolo. Rispetto alla decisione del TAR Lazio non possiamo che rilevare come questa confermi una parte della nostra analisi e la necessità di porre fine a questo abnorme fenomeno di sfruttamento che è diventato sempre più “normalità” dall’uscita della legge 240/10.

Oltre ai Ricercatori precari di tipo A già inclusi nella Campagna “Restiamo in Contratto”  diventa sempre più urgente dare una soluzione per quanto concerne gli oltre 13.000 assegnisti di ricerca che popolano i dipartimenti e che arricchiscono col loro lavoro la crescita e l’innovazione dell’università.

L’utilizzo dell’assegno di ricerca, assieme alle docenze a contratto, continua ad essere la modalità più frequente degli atenei per garantirsi i servizi basilari di ricerca e didattica.

La precarietà dei tempi di durata e di rinnovo costringono i nostri cervelli a vivere uno stato di perenne attesa, di economia della promessa, di subalternità.

Nei prossimi giorni la FLC CGIL definirà tempi e modalità di intervento legale per gli assegnisti di ricerca, così come continuerà costantemente la mobilitazione con la Campagna di proposte e rivendicazioni dei “Ricercatori Determinati” e la funzione di rappresentanza presso il tavolo tecnico che si è aperto al Miur lo scorso 5 giugno.

(comunicato stampa FLC Cgil)

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“Mancano i decreti per l’anticipo del TFS”, il pressing della Gilda

Rino di Meglio

“Il Governo acceleri per chiudere l’accordo con l’Abi e varare i decreti attuativi entro agosto”. A dichiararlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, che invita l’Esecutivo a rispettare quanto stabilito dall’articolo 23 del decreto legge 4/2019 su pensioni e reddito di cittadinanza e dare ai docenti alle soglie della pensione la possibilità di riscuotere subito una parte del TFS pagando un tasso agevolato. 

“Stiamo ricevendo molte richieste da parte di docenti che vorrebbero preparare la documentazione ma, in mancanza dei decreti attuativi e dell’accordo con l’Abi entro fine agosto, rischiano di non poter accedere all’anticipo di 45.000 euro a tasso agevolato garantito dalla legge. Senza considerare che gli insegnanti che scelgono Quota 100 potrebbero dover aspettare fino a 5 anni per ottenere il TFS, diversamente dai colleghi con la pensione di anzianità o di vecchiaia per i quali il periodo di attesa è di ‘soli’ 2 anni”.

“I tassi di mercato applicati dagli istituti bancari non sono di certo convenienti e non si può negare a tanti dipendenti pubblici l’opportunità, garantita da una legge dello Stato, di godere di condizioni più vantaggiose”.

Lo comunica la Gilda degli Insegnanti in un comunicato stampa. 

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Dati biometrici per i controlli dei dipendenti ATA, è legge. Ed è polemica

videocamera di sorveglianza scuole

Dopo il disco verde all’emendamento che introduce la videosorveglianza nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, diventa legge dello Stato quello inserito nel ddl Concretrezza sui controlli biometrici dei dipendenti pubblici: il provvedimento, che nella scuola riguarderà circa 210 mila unità di personale Ata, è stato firmato e voluto a tutti i costi dal ministro della P.A. Giulia Bongiorno, la quale ora si dovrà assumere la responsabilità di avere approvato una norma del tutto inutile e che per essere portata a compimento necessiterà di centinaia di milioni di euro iniziali più altri per l’assistenza e manutenzione; tutti soldi pubblici che andranno a gravare ulteriormente le già limitate risorse dei nostri istituti scolastici. Marcello Pacifico (Anief ): Lo abbiamo sempre detto e lo ripetiamo ora che il testo è diventato legge: questo provvedimento è offensivo, perché si vogliano far passare i dipendenti della scuola come dei delinquenti. Anief sta valutando come impugnare il provvedimento per lesione della privacy.

All’indomani dell’approvazione del disegno di legge Concretezza, si evidenziano tutti i limiti del provvedimento. Tra i vari punti che lasciano molto a desiderare, oltre all’aspetto offensivo e a quello della lesione della privacy, “l’accento è stato posto – commenta giustamente Orizzonte Scuola – anche sul costo che la misura comporterà: si tratta infatti di dotare 45mila sedi scolastiche di apparecchiature apposite”.

LE CRITICHE DELL’ARAN

Sulla bontà della misura introdotta, basta ricordare che la stessa Aran, l’agenzia che agisce a tutela dell’amministrazione pubblica, ha avuto modo di dire che “il personale della scuola è costituito da 1.124.471 persone” ed il “provvedimento punta a mettere sotto controllo 209.169 unità di personale ATA e 6.714 dirigenti scolastici, che però non svolgono un lavoro prettamente amministrativo e sarebbero le figure chiamate a gestire e controllare il buon andamento delle istituzioni scolastiche e chi ci lavora. Insomma viene posto un controllo sui controllori”.

IL PARERE DEL GARANTE DELLA PRIVACY

È emblematico, inoltre, il pensiero del Garante per la Privacy, Antonello Soro, il quale si dice contrario a questa imposizione “perché l’assenteismo, la falsa attestazione di presenza è una cosa molto grave, è un reato e bisogna contrastarlo. Ma la strada scelta per contrastarlo a mio parere è sproporzionata”, in quanto basterebbe riflettere solo un dato: “il numero dei reati contestati, accertati sono nell’ordine delle decine in Italia, mentre gli impiegati pubblici sono tre milioni. Di questi larga parte verranno sottoposti a un controllo biomedico generalizzato, sistematico, indiscriminato, attraverso la raccolta di un dato particolarmente sensibile che è il dato biometrico”.

IL COMMENTO DI MARCELLO PACIFICO

Anief aggiunge che la scuola è il luogo per eccellenza del rapporto con il pubblico: è un contesto dove, per la continua presenza di alunni e l’alto flusso di genitori, docenti e cittadini, sarebbe impossibile essere presenti e invece stare da un’altra parte. “Tra l’altro – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – stiamo parlando di personale e dirigenti che con la scuola dell’autonomia hanno visto triplicare gli incarichi quotidiani da assolvere: compito che si raggiunge solo con quotidiano impegno e spirito di abnegazione. Il flusso di lavoro e di competenze richieste ha raggiunto livelli sempre maggiori. Invece di imporre dall’alto l’utilizzo coatto dei dati biometrici, si sarebbero potuti spendere tutti questi soldi per formare il personale o per assumere una parte dei tanti precari che dopo essere stati selezionati attendono solo di essere stabilizzati”.

“A noi – continua Pacifico – questa soluzione sembra sempre più un provvedimento spot. Perché, invece di snellire la burocrazia e le norme, va a colpire nel mucchio di una categoria, peraltro per un assenteismo che nel comparto non esiste. È una scelta infelice, che connota tutta la scarsa competenza, a livello di conoscenza del mondo della scuola, da parte di chi l’ha ideata: state certi che la contrasteremo, anche perché va a trattare degli aspetti della sfera personale dei lavoratori, che prima di essere tali sono cittadini dello Stato ai quali non possono essere sottratti dei diritti basilari”.

(fonte: Anief Ufficio Stampa)

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Il Miur mette a disposizione online i dati sulle disabilità 17/18

Dal 4 giugno sul sito del MIUR è disponibile l’approfondimento statistico dedicato agli studenti con disabilità nelle scuole italiane statali, paritarie e non paritarie, con dati riferiti all’anno scolastico 2017/2018.

I numeri

Nel 2017/2018 erano presenti nelle aule scolastiche 268.246 alunni con disabilità, il 3,1% del totale, 14 mila in più rispetto all’anno precedente, quando erano il 2,9%. Rispetto a venti anni fa, gli alunni con disabilità certificata sono più che raddoppiati (erano 123.862 nel 1997/1998). Nel 2017/2018, il 93,3% degli alunni con disabilità ha frequentato una scuola statale, il 5,1% una paritaria, l’1,6% una non paritaria comunque iscritta negli elenchi regionali. Le classi con almeno un alunno con disabilità sono state 192.606, pari al 45% del totale delle 427.728 classi attivate, comprese le sezioni della Scuola dell’infanzia. Nel 2017/2018 gli studenti con disabilità erano così distribuiti per ordine di scuola: 31.724 nella Scuola dell’infanzia, 95.081 nella Primaria, 71.065 nella Secondaria di I grado, 70.376 nella Secondaria di II grado. Netta la prevalenza del genere maschile.

Distribuzione territoriale

La Regione con la percentuale più alta di alunni con disabilità è stata l’Abruzzo (3,7%),quella con la percentuale più bassa, la Basilicata (2,3%). A livello territoriale si è evidenziata una distribuzione disomogenea, con notevoli differenze tra le singole Regioni. Mediamente, nelle Regioni del Centro e del Nord Ovest l’incidenza è stata maggiore che nel resto d’Italia. Nel complesso del sistema scolastico, la presenza è stata del 3,1%, mentre nel Centro e nel Nord Ovest si è attestata al 3,2%, rispettivamente 53.748 alunni con disabilità su un totale di 1.667.396 e 70.611 su un totale di circa 2.203.000. Nel Nord Est si è registrata la percentuale più contenuta, pari al 2,7%.

Tipologie di disabilità

Il 96,4% degli alunni con disabilità aveva una disabilitàpsicofisica, l’1,4% una disabilità visiva, il 2,3% una disabilità uditiva.

La disabilità nella Scuola secondaria di II grado

La percentuale media di alunni con disabilità rispetto al totale dei frequentanti nella Scuola secondaria di II grado è stata prossima al 2,6%. Per i Licei l’1,3%, per gli Istituti tecnici pari al 2,2%, nei Professionali ha raggiunto il 6,6%.
Il 23,8% del totale degli alunni con disabilità frequentava un Liceo, il 27,3% un Istituto tecnico, il 48,9% un Istituto professionale.

Posti e docenti per il sostegno nella Scuola statale

Nel 2017/2018 il rapporto tra numero di studenti con disabilità e posti di sostegno è stato pari, nella scuola statale, a 1,69 alunni per posto di sostegno. Sempre nel 2017/2018 si è registrato un incremento rispetto all’anno precedente di oltre 16.000 unità sul numero di docenti per il sostegno in tutti gli ordini di scuola. In numero complessivo, è risultato pari a 155.977 su un totale di 872.268, così ripartito: 17.743 per l’Infanzia55.578 per la Primaria41.512 per la Secondaria di I grado41.144 per la Secondaria di II grado.

Le nuove regole dell’inclusione

L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità si appresta a fare un passo avanti: il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato lunedì 20 maggio, in via preliminare, un importante provvedimento che interviene per modificare significativamente le nuove norme in materia che sarebbero entrate in vigore il prossimo settembre e che vengono riviste mettendo sempre di più al centro lo studente e le sue necessità. A partire dall’assegnazione delle ore di sostegno che, d’ora in poi, avverrà anche con il coinvolgimento delle famiglie, fino a oggi lasciate fuori da questo processo. Cambia radicalmente l’approccio alla disabilità in ambito scolastico.
L’Italia, già all’avanguardia in materia, si allinea definitivamente al principio riconosciuto dalle Nazioni Unite secondo cui la disabilità è tale in relazione al contesto: solo offrire opportunità specifiche ai ragazzi con diverse abilità garantisce maggiore autonomia e una qualità della vita più elevata. Con l’approvazione delle nuove norme, dunque, sussidi, strumenti, metodologie di studio più opportune, saranno decisi non in modo ‘standard’, in relazione al tipo di disabilità, ma con un Piano didattico veramente individualizzato che guarderà alle caratteristiche del singolo studente.