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Mobilità, Ccnl utilizzazioni e assegnazioni provvisorie alla stretta finale. Anief chiede di far accedere anche i 7 mila docenti che terminano il Fit.

Anief Sciopero

Anief chiede di far accedere anche i 7 mila docenti che terminano il Fit. È in dirittura d’arrivo l’accordo sul Contratto collettivo nazionale che regolerà per il prossimo triennio le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie del personale scolastico. Durante l’incontro svolto il 29 maggio si evince che il problema numero uno da risolvere rimane la possibile apertura del Miur ai tanti docenti che stanno seguendo il percorso di formazione, il cosiddetto Fit: potranno partecipare alle operazioni di mobilità annuale? Questo è un punto posto sul piatto del tavolo di contrattazione tra sindacati e Ministero e che dovrà essere sciolto. Per Anief non vi sono dubbi: l’esclusione sarebbe discriminatoria, dopo l’approvazione dell’ultima legge di stabilità che ha cambiato le regole della formazione iniziale.

Sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie del personale della scuola non si sarebbe giunti ad una risposta univoca su diverse importanti questioni, come l’assegnazione provvisoria all’interno del comune di titolarità, qualora fosse diviso in due distretti, ma anche la conferma della possibilità di ottenere la mobilità su posto di sostegno agli alunni disabili anche per i candidati docenti di ruolo privi di specializzazione. Tutti i nodi da sciogliere, spiega la rivista Orizzonte Scuola, con molta probabilità saranno affrontati in modo definitivo il prossimo 4 giugno. 

Anief ricorda che il contratto dei candidati insegnanti ammessi al terzo anno Fit comporta lo stesso lavoro di chi sta superando l’anno di prova, assunto da GaE o da concorso ordinario. Ne consegue che i predetti docenti non godono delle tutele contrattuali previste per i colleghi assunti a tempo indeterminato, anche se, a tutti gli effetti, risultano in periodo di prova e formazione come gli altri docenti assunti da GaE e da graduatoria di merito 2016. Sulle motivazioni di questo differente trattamento non si hanno informazioni sicure. 

“L’unica certezza è che il vincolo per l’accettazione della richiesta di assegnazione provvisoria – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – dovrebbe rimanere quello dello svolgimento del periodo di prova. Superato questo periodo, chiamato anche di ‘straordinariato’, riteniamo che tutti i docenti a gli Ata abbiano pieno diritto ad accedere ai trasferimenti di sede e anche alle utilizzazioni ed assegnazione provvisorie di durata annuale. Introdurre dei paletti è ingiusto, perché discrimina dei lavoratori che, anche per i giudici, italiani e non, hanno identici doveri e diritti rispetto a chi è assunto a tempo indeterminato”.

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Il burnout è ufficialmente “disturbo medico”: lo dice l’Oms ma non l’Italia

prof lodolo d'oria

L’Organizzazione mondiale della Sanità colloca il burnout nel suo grande elenco dei disturbi medici, aggiornato di anno in anno: è una “sindrome che porta a stress cronico impossibile da curare con successo”. Invece, in Italia si continua ad operare per fare finta di nulla: basta dire che i medici delle Commissioni Mediche di Verifica quasi sempre ignorano le patologie professionali dei docenti, finendo per riammettere in servizio prof con pesanti diagnosi psichiatriche. A denunciarlo è stato anche il dottor Vittorio Lodolo D’Oria, tra i massimi esperti nazionali della patologia tra gli insegnanti ed in generale sullo stress da lavoro.

Dopo decenni di studi, a 45 anni da quando lo psicologo Herbert Freudenberger se ne occupò per primo, l’Organizzazione mondiale della Sanità ha ufficialmente inserito il burnout nel suo grande elenco dei disturbi medici, aggiornato di anno in anno. Secondo gli esperti mondiali in fatto di salute, lo stress da lavoro non è una vera e propria malattia, ma un “problema associato alla professione” caratterizzato da evidenti sintomi: “spossatezza sul luogo di lavoro”, “cinismo, isolamento o in generale sentimenti negativi” ed “efficacia professionale ridotta”. La conclusione dell’Oms è però l’aspetto più importante dell’importante catalogazione del burnout: stiamo parlando, sostiene l’Organizzazione mondiale della Sanità, di una “sindrome che porta a stress cronico impossibile da curare con successo”, che in questo modo conferma la decisione dell’agenzia speciale dell’Onu per la salute di fornire precise direttive ai medici per diagnosticarlo. 

Il problema è che ci sono ancora dei Paesi, come l’Italia, che si professano moderni ma poi non fanno nulla per andare a rimuovere il motivo principale che, soprattutto in determinati ambienti di lavoro, è alla base di un numero crescente di patologie, quale è appunto il burnout. Tra le professioni più coinvolte in questo processo stressogeno, che se protratto per anni e anni favorisce l’insorgenza di malattie professionali anche invalidanti, risultano tutte quelle che hanno a che fare con persone in situazioni di disagio, in difficoltà e in crescita: quindi, necessariamente, anche l’insegnamento. 

Il commento di Anief

Secondo Marcello Pacifico, alla luce di quanto detto dall’Oms, non si può perdere altro tempo: “Occorre procedere ad un immediato adeguamento, anche attraverso una formazione apposita, delle Commissioni e dei Centri medici pubblici di competenza perché si adeguino alla consistenza e gravità delle patologie mentali. Inoltre, il personale della scuola, ad iniziare dai docenti, va mandato in pensione così come avviene nei Paesi europei, ovvero a 63 anni, non legando più l’uscita dal lavoro all’aspettativa di vita, ma collocando la professione docente tra quelle di tipo gravoso. Infine, bisogna permettere a tutti gli insegnanti che non ce la fanno più a gestire la classe con serenità, di passare ad un ruolo formativo alternativo, magari affiancandoli ai colleghi neo-assunti o bisognosi di specializzarsi o abilitarsi in altri insegnamenti”. 

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Graduatorie interne d’Istituto: è vittoria Anief in tribunale, annullato il CCNI che discrimina i precari

Anief Sciopero

Piena vittoria tutta targata Anief presso il Tribunale del Lavoro di Trapani a conferma che nelle graduatorie interne d’istituto utili per l’individuazione dei soprannumerari il periodo svolto durante il precariato deve essere computato senza alcuna discriminazione e, dunque, attribuendo 6 punti per ogni anno come per il servizio a tempo indeterminato. Anief ricorda ai propri iscritti che è ancora possibile aderire ai ricorsi per la mobilità 2019 relativi alla composizione delle graduatorie interne d’istituto e alla mancata valutazione per intero del servizio svolto durante il precariato.

Il Tribunale del Lavoro di Trapani, infatti, dà piena ragione ai legali Anief Fabio Ganci, Walter Miceli e Giuseppe Massimo Abate e dichiara illegittimo il CCNI nella parte in cui discrimina il servizio svolto durante il precariato ai fini della compilazione delle Graduatorie interne d’Istituto, contrastando con la normativa comunitaria. “Abbiamo ancora una volta avuto ragione in tribunale – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – e dimostrato che il contenuto della contrattazione integrativa sulla mobilità è discriminatoria anche nelle tabelle per le graduatorie interne d’istituto che attribuiscono punteggio deteriore al servizio preruolo, valutandolo solo 3 punti per i primi 4 anni e 2 per gli ulteriori anni, mentre il servizio di ruolo vale sempre 6 punti. La giurisprudenza europea ha affermato che lo Stato ha l’obbligo di vigilare affinché tra contratto a termine e contratto a tempo indeterminato non vi sia un trattamento globalmente sfavorevole all’interessato quando l’oggetto del suo incarico e la natura delle sue funzioni restano invariati”.

La sentenza, piana e lineare nella lucida ricostruzione della normativa interna e nei riferimenti alle procedure di individuazione dei soprannumerari, evidenzia come, applicando le tabelle allegate ai contratti integrativi sulla mobilità, il “calcolo del punteggio sull’anzianità di servizio pre-ruolo per la compilazione delle graduatorie interne d’Istituto per l’individuazione dei docenti soprannumerari si pone in contrasto con la direttiva europea 1999/70 che vorrebbe lo stesso punteggio per anni di ruolo e anni di pre-ruolo”, rilevando che “l’Amministrazione non ha allegato alcun elemento per verificare se la disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria”. Per tale motivo, il ricorso Anief è totalmente accolto con la conclusione che “il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio pre-ruolo con riferimento agli effetti che produce sul piano della posizione nella graduatoria interna, rappresenta un’ingiustificata e illegittima discriminazione”, l’accertamento del “diritto della ricorrente alla valutazione del servizio d’insegnamento pre-ruolo, nella stessa misura in cui è valutato tale servizio per i docenti di ruolo e, per l’effetto, condanna l’amministrazione resistente al riconoscimento di ulteriori punti 12 ai fini delle operazioni di mobilità, con conseguente annullamento della sua individuazione come perdente posto”.

L’Anief ricorda che sulla mobilità ha attivato una serie di ricorsi volti alla tutela e al rispetto dei diritti dei lavoratori della scuola purtroppo, e ancora una volta, violati con il CCNI 2019.

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Autonomia differenziata, accelerazione post-voto. Anief: “Secessione mascherata”

Marco Bussetti Miur Ministro

Subito dopo l’esito delle elezioni dei cittadini che rappresenteranno l’Italia fino al 2024 in Europa del 26 maggio sono diventati tre gli obiettivi immediati del Governo: “Ridurre le tasse, accelerare su autonomia e infrastrutture“. A dirlo è stato il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, indicando, a caldo, i provvedimenti sui quali l’Esecutivo deve ora accelerare. Alle parole di Salvini, che ha preso il 34% sul 55% dei voti espressi, si aggiungono quelle recenti pronunciate da un altro esponente leghista, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, secondo il quale l’autonomia è un’opportunità che porta maggiori risorse: “Ribadisco: aumentare le risorse destinate alla scuola è sempre una buona notizia”, ha detto di recente il titolare del Miur ricordando anche che “l’autonomia è prevista dall’articolo 116 della Costituzione”.

A dire no all’autonomia differenziata è in realtà la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. E tutto il fronte sindacale, Anief in testa. Il suo presidente, Marcello Pacifico: “Noi abbiamo sempre detto che regionalizzare la scuola è un’operazione impossibile, perché se attuata metterebbe ancora più in crisi l’offerta in certe zone d’Italia, le quali convivono con problemi strutturali e di risorse così evidenti da rifiutare, come accaduto in questi giorni in Sicilia, un contingente aggiuntivo per attivare il tempo pieno”. 

Anief: “Secessione mascherata”

“Per rispondere alle richieste delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, le regioni che hanno richiesto l’autonomia differenziata, sull’adozione nella scuola di un sistema di servizi differenziato e non più coordinato dallo Stato, bisognerebbe drenare molte delle risorse economiche assegnate alle regioni del Centro e del Sud, così da marcare le attuali distanze in termini di servizi offerti al cittadino e sviluppo economico e aprire a una secessione mascherata”. Così Anief in una lunga e articolata nota stampa.

“Nella scuola le singole regioni avrebbero piena facoltà di stabilire il tipo di offerta formativa da adottare, le modalità di reclutamento, di utilizzo delle graduatorie dei tanti precari in lista di attesa, mobilità del personale a livello provinciale e interprovinciali, ma anche il trattamento economico dei dipendenti, docenti e Ata, aprendo alle pericolosissime gabbie salariali. Per non parlare della gestione di immani risorse da parte dei governatori, i quali in passato, anche recente, hanno spesso dimostrato di non essere in grado di gestire determinati ambiti, come la formazione, e anche, in alcuni casi, di arrivare a trarre benefici personali derivanti dal loro stato di potere. Contro questo, tutti i sindacati erano d’accordo a scioperare insieme, il 17 maggio, prima dell’accordo del Governo che tutti affermano avrebbe allontanato quanto ora richiesto dal vincitore delle elezioni europee”. 

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Sicilia e tempo pieno a scuola, denuncia Anief: “96 cattedre restituite al Miur”

Anief Sciopero

Chi si illudeva che per introdurre più ore di tempo scuola nel primo ciclo bastasse assegnare più docenti è servito: delle già poche 246 cattedre di tempo pieno nelle scuole primarie della Sicilia, assegnate dal Governo con la Legge di Bilancio 2019 proprio per favorire il tempo pieno, ben 96 (il 39%) “verranno restituite al Miur, perché – spiega La Repubblica – le richieste pervenute alle scuole siciliane durante le iscrizioni che si sono chiuse lo scorso mese di gennaio non consentono di istituire altre classi a tempo pieno”. 

La regione italiana con meno tempo pieno alla primaria è costretta a restituire al mittente quasi metà delle cattedre assegnate dal ministero per potenziare le lezioni pomeridiane. In Sicilia mancano gli spazi e le mense che permettono al tempo pieno di decollare. E pare che neppure le famiglie abbiano troppa voglia di lasciare a scuola i propri figli fino alle quattro del pomeriggio. 

“I posti non assegnati in Sicilia, a questo punto, prenderanno la strada delle regioni centrali e settentrionali che potranno utilizzarli. Dalle nostre parti, mancano i locali da adibire a mensa che consentono di prolungare la permanenza a scuola dei bambini delle elementari. E sembra che anche da parte dei genitori il servizio non sia richiestissimo. Nelle altre realtà italiane si viaggia su tassi completamente diversi: in Lombardia, il tempo pieno copre il 50% delle classi funzionanti, in Piemonte il 48% e nel Lazio si sfiora il 53%”, conclude il quotidiano. 

È chiaro, commenta Anief, che stando così le cose il gap sul tempo pieno tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud non potrà che acuirsi: “Per avviare la permanenza delle classi in una scuola – spiega il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico – occorrono delle strutture e cucine a norma, dei finanziamenti importanti per adeguare le strutture che non lo sono, delle somme rilevanti da assegnare con stabilità agli enti locali e altro ancora. Purtroppo, tutto questo nelle regioni del Sud non è riscontrabile. Noi lo abbiamo sempre detto e adesso si realizzano le conseguenze di un progetto ispirato da obiettivi nobili ma organizzato, in determinate aree del Paese, su una base fragile”. 

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Stipendio docenti, Anief: “Incontro inutile al Miur”

Anief Sciopero

“Siamo stufi, Bussetti ci convochi”. Questa la richiesta di Anief attraverso una nota stampa in cui bolla l’ultimo incontro al Miur sul tema dell’aumento stipendio docenti “inutile”.

“Le parti – si legge nel comunicato stampa – starebbero focalizzando le attenzioni sull’atto di indirizzo, il quale però non può essere emanato per il rinnovo del CCNL 2019/2021 sino a quando non si firmerà l’accordo quadro sulla nuova rappresentatività sindacale. Inoltre, non esiste in Parlamento alcuna nota di aggiornamento del DEF che vada oltre la parziale indennità di vacanza contrattuale introdotta con lo stipendio dello scorso mese di aprile e i micro-aumenti previsti da giugno, e superi gli ulteriori tagli al settore dell’istruzione fino al 2045.”.

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “si continua a parlare di aumenti degli stipendi a tre cifre ma poi ci si accorge che dopo gli incrementi del 3,48% e gli arretrati ridicoli, di un anno fa, finora si è provveduto ad introdurre solo una parziale indennità di vacanza contrattuale. Per il resto, lo stesso accordo del 24 aprile, solo vaghe promesse. Così gli stipendi rimangono da fame, tra i più bassi della pubblica amministrazione e quasi tutti i colleghi d’Europa, a livello stipendiale, continuano a guardarci dall’alto. Questo lo sanno bene alcuni raggruppamenti politici, uno in particolare, che non perde occasione di sponsorizzare l’autonomia differenziata agganciandola ad improbabili aumenti riservati, peraltro, ad alcune Regioni, nel tentativo di convincere il personale a dare supporto all’iniziativa incostituzionale”. 

“Noi, che rimaniamo con i piedi per terra, continuiamo a dire no alle gabbie salariali e sì ad un incremento di stipendio per tutti i dipendenti scolastici degno di questo nome. Come si sono trovati i soldi per il reddito di cittadinanza – conclude il sindacalista autonomo – ora si trovino per chi percepisce oggi uno stipendio ancora ben al di sotto del costo della vita”.

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Precariato, Anief: “Poca fantasia nelle soluzioni proposte dai sindacati”

marcello pacifico anief

Nella trattativa tra Miur e sindacati si defila Anief, che assume una posizione critica nei confronti degli altri.

“Nella proposta, dove si ignorano anche i docenti abilitati e gli Ata, si chiede per gli insegnanti con 36 mesi di ripristinare i concorsi riservati ex fit già fallimentari per il personale abilitato, perché per alcune graduatorie si entrerà nei ruoli fra trent’anni, migliaia di cattedre comunque sono già andate deserte e più di 100 mila posti andranno sempre in supplenza, e di eliminare la preselezione nel concorso quando si potevano fare brevi e gratuiti corsi abilitanti e riaprire annualmente le ex graduatorie permanenti riservando al concorso il 50 % dei posti”.

“Se il Miur dirà di sì, il precariato continuerà a vita, per non parlare del personale Ata che non viene stabilizzato al contro degli Lsu che svolgono alcune delle loro funzioni”, dichiara Marcello Pacifico, presidente nazionale del sindacato Anief. “L’accordo dei sindacati col Governo è fallimentare”. 

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Regionalismo e autonomia, scontro a distanza Anief – CNA

Anief Sciopero

“Per quale motivo le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna spingono per ottenere la regionalizzazione di diverse competenze pubbliche, tra cui la scuola? La risposta è nelle parole del presidente di Cna Lombardia, Daniele Parolo, intervenuto a Milano, nel corso di un convegno dal titolo “Autonomia e regionalismo differenziato: i dati dell’Osservatorio delle Cna Lombardia, Emilia Romagna e Veneto” presentati con Carlo Cottarelli. Secondo il leader della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa lombarda, l’applicazione del regionalismo differenziato diventerebbe una leva per la crescita economica: in particolare, ha detto, “l’autonomia che vogliamo è uno strumento per disporre di maggiori risorse per lo sviluppo e per la crescita””.

“Le spinte autonomiste continuano a trovare terreno fertile tra i vari esponenti della Lega. A partire dai ministri della Repubblica. In particolare dalla ministra alle Regioni, Erika Stefani, che non si dà ancora per vinta dinanzi al rafforzamento dell’ammuina pentastellata. In un’intervista ad un quotidiano locale, Stefani dice di assistere ad “una marea di polemiche e argomentazioni sui giornali, in televisione, nei convegni, insomma fuori dal ministero, ma non ho ancora visto uno che si opponga a questa riforma davanti a me. Se è propaganda elettorale, lo si dica””.

“Secondo la ministra alle Regioni, quindi, “tutto questo allarmismo su scuola e sanità propalato da alcuni è infondato, perché purtroppo già oggi ci sono cittadini di serie B, il che evidentemente non può dipendere da un’autonomia differenziata che ancora non c’è, ma da un problema di mala gestione. Noi con l’autonomia vogliamo far crescere il Paese, non certo creare differenze. Invece vengono diffuse informazioni non veritiere. Alimentare l’odio Nord-Sud è da irresponsabili: oggi c’è bisogno di condividere i percorsi, non di alimentare divisioni che fanno solo male””.

Lo sottolinea Anief in una nota che Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, commenta ritenenfo che le affermazioni del presidente di Cna Lombardia e della ministra alle Regioni siano particolarmente gravi: “siamo arrivati al punto di ammettere – spiega il sindacalista autonomo – che siccome esiste già un gap evidente tra Nord e Sud, invece di lavorare tutti assieme per colmarlo, non c’è nulla di male nel legiferare perché le regioni del Settentrione si elevino ancora di più, incrementando i bilanci locali rispetto al Pil. Le scuole del Sud, dove gli alunni se ne vanno con facilità e le strutture locali non supportano l’opera dei docenti e del personale, hanno bisogno di essere sostenute, non lasciate al loro destino”. 

“Pensare di spezzettare l’istruzione pubblica, come quella sanitaria e degli enti locali, e avere il consenso di chi sta andando a fondo – continua Pacifico -, è un’operazione che non possiamo accettare. La stessa intesa di Palazzo Chigi sul comparto Istruzione, della mattina del 24 aprile scorso, con il via libera dei sindacati maggiori, non offre alcuna garanzia sulla tenuta nazionale del sistema nazionale, va a ledere e vanifica la scuola dell’autonomia, il rapporto fra Stato e Regioni e la nostra Costituzione, né tantomeno a livello di finanziamenti, di organizzazione e di reclutamento scolastico”. 

Di fronte a questo possibile modello, Anief si è subito opposta, raddoppiando le giornate di sciopero, come ufficializzato dalla Commissione di Garanzia: sempre il suo leader, Marcello Pacifico, ricorda che “venerdì prossimo, 17 maggio, ci fermeremo di nuovo, assieme ai sindacati di base, scendendo anche in piazza a Roma, dove grideremo il nostro diniego al folle progetto di regionalizzazione che, affiancato all’inerzia sui concorsi, alla mancata apertura delle GaE, all’inconsistenza degli aumenti, alla mancata equiparazione dei diritti dei precari ai colleghi di ruolo, all’indifferenza verso la stabilizzazione di Dsga e personale Ata, rischia di affossare definitivamente l’istruzione pubblica in Italia”.

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Sciopero scuola 17 maggio, Pacifico (Anief) a Italia Stampa: “Scioperiamo per stipendi docenti e GaE, e per una scuola migliore”

marcello pacifico anief

“Protestiamo per i diritti dei lavoratori della scuola e per un’istruzione migliore. Ecco i punti della piattaforma per discutere i quali è stato richiesto un incontro con il presidente del Consiglio e si è deciso di manifestare a piazza Montecitorio, il 17 maggio, ancora una volta”.

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, a Italia Stampa, ha rilasciato un’intervista, durante la quale ha discusso dello sciopero che avrà luogo venerdì 17 maggio, con manifestazione di fronte a Montecitorio, e della necessità di riaprile le GaE, oltre alla questione dello stipendio, che andrebbe adeguato all’aumento del costo della vita

Il presidente Marcello Pacifico ha affermato che “Anief ha deciso di manifestare insieme a Cobas e Unicobas il 17 maggio a piazza Montecitorio e quindi di confermare lo sciopero a cui aveva aderito e che hanno sospeso, e non cancellato, le altre sigle sindacali dopo l’accordo con il governo, che ci è sembrato e ci sembra insufficiente: in pratica, alla fine non si risolvono i problemi concreti della scuola. Sul precariato sembra si voglia ritornare ai concorsi straordinari, quando è evidente che dopo anni e anni di insegnamento nelle scuole bisognerebbe reclutare questi precari, o attraverso la riapertura delle Graduatorie a Esaurimento o, per chi non è abilitato, attraverso i corsi abilitanti, che permettono di utilizzare il doppio canale di reclutamento” 

“Per quanto riguarda gli stipendi, anche gli impegni assunti per innalzarli continuano a essere slegati da un concetto di fondo, cioè che gli stipendi non possono essere disallineati rispetto all’inflazione; infatti bisogna adeguare gli stipendi all’aumento del costo della vita. Noi, tra l’altro, come sindacato, abbiamo trovato delle risorse da sempre appartenenti al fondo della scuola, che provenivano da tagli, cifre che non sono mai state destinate a quello per cui erano state deputate, cioè per la carriera del personale scolastico”, ha concluso il leader del sindacato risultato rappresentativo in occasione del rinnovo delle Rsu nel 2018.

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Svolgono lo stesso lavoro, ma sono pagati di meno: maestri e docenti laureati pagati con stipendi da diplomati, la denuncia ANIEF

ccnl comparto scuola soldi

Svolgono lo stesso lavoro ma vengono remunerati di meno: in questa condizione si trovano circa 300 mila insegnanti della scuola pubblica. L’Ufficio Studi del sindacato ha realizzato un focus: considerando le ore di lezione settimanali, il grado di responsabilità, il coinvolgimento professionale e la complessità dell’offerta formativa, ha constatato che non vi è alcuna differenza. Una norma afferma in modo esplicito che in Italia si considera di pari dignità la formazione iniziale di ogni docente. Nella stessa condizione sono gli Itp e i docenti di sostegno laureati. Se poi si guarda all’Europa, esce fuori il solito raffronto impietoso.

Un insegnante laureato che svolge attività di insegnamento nella scuola del primo ciclo, per quale motivo deve percepire uno stipendio inferiore a quello dei colleghi della secondaria anch’essi laureati? A chiedere spiegazioni all’amministrazione pubblica è il sindacato Anief, dopo avere raccolto una lunga serie di richieste di equiparazione stipendiale. 

LO STUDIO ANIEF

Sulla base di diversi parametri oggettivi, l’Ufficio Studi dell’organizzazione sindacale ritiene che l’osservazione sia pertinente: le ore di lezione settimanali svolte da un docente della scuola primaria e dell’infanzia sono superiori a quelle del secondo ciclo; il grado di responsabilità quotidiana nell’affidamento degli alunni, in tenera età risulta il più alto; il grado di coinvolgimento professionale, anche con le famiglie, non è certo da meno rispetto a quello che si instaura nella secondaria; se è infine vero che il livello di complessità dell’offerta formativa è minore, c’è però da constatare che la minore ricettività ad apprendere degli alunni rende comunque sempre molto impegnativo il raggiungimento quotidiano e finale degli obiettivi. 

A tutto questo c’è da aggiungere, poi, una precisa norma, contenuta nella Legge 53 del 2003: all’articolo 5 comma I lettera A, infatti, c’è scritto in modo esplicito che in Italia si considera di pari dignità la formazione iniziale di ogni docente. Questo significa che ai fini della collocazione professionale, anche stipendiale, non conta la scuola dove si opera servizio, ma il titolo di accesso: un titolo, peraltro, che per la stessa scuola del primo ciclo oggi è proprio quello della laurea. 

IL RAFFRONTO CON L’EUROPA

Tutti questi aspetti sono ben considerati in diversi altri Paesi europei, dove, infatti, lo stipendio dei docenti con laurea viene assegnato prescindendo dal tipo di insegnamento che si svolge. In Irlanda e Danimarca, ad esempio, lo stipendio iniziale è il medesimo per tutti i cicli scolastici, salvo poi differenziarsi lievemente a fine carriera. In Portogallo, Slovenia, Grecia, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, i compensi dei docenti della scuola pubblica non si differenziano mai, né ad avvio carriera né al termine. 

Ma anche laddove si attuano delle differenze tra chi insegna nel primo ciclo e chi nel secondo, va considerato che in Europa la remunerazione annua complessiva di un docente della primaria è decisamente superiore, in alcuni casi doppia, rispetto a quella dei nostri maestri laureati: il caso della Germania è emblematico, visto che appena assunto un docente delle elementari tedesche percepisce oltre 45 mila euro, contro i 24 dei nostri maestri; al termine della carriera il maestro tedesco supera i 60 mila euro, contro appena i 35 mila euro di chi svolge lo stesso lavoro nel Belpaese e a condizioni orarie e generali pressoché uguali. A questo proposito, Anief ricorda che in Italia i compensi nella scuola risultano i più bassi della pubblica amministrazione, dopo che hanno perso mille euro di potere d’acquisto solo negli ultimi sette anni, non certo compensati dall’irrisorietà degli aumenti dello scorso aprile e la quota forfettaria di arretrati insignificante e nemmeno dall’applicazione dell’indennità di vacanza contrattuale scattata ad aprile e ritoccata nel prossimo mese di giugno, peraltro anche incompleta. 

Così si giunge alla conclusione più amara, quella che in Italia i maestri laureati della scuola primaria vengono penalizzati due volte: prima di tutto perché sono pagati meno degli altri laureati e poi perché dovrebbero percepire un salario più alto di almeno il 30%. Lo stesso discorso, inoltre, vale per gli Itp laureati delle superiori, anche loro degradati economicamente. Ma l’apice dell’assurdo del nostro sistema remunerativo scolastico si raggiunge, probabilmente, con gli insegnanti di sostegno laureati, giunti a questo delicato genere di docenza attraverso il livello inferiore (il VI anziché il VII): praticamente, svolgono lo stesso lavoro dei colleghi, sono in possesso del medesimo titolo di studio, hanno quindi un’identica preparazione complessiva, ma vengono pagati di meno. 

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF

“Come presidente dell’Anief, che dalla sua nascita combatte le ingiustizie nella scuola – dichiara Marcello Pacifico, leader del giovane sindacato nazionale neo rappresentativo – ritengo che questo problema debba essere affrontato nei tavoli di contrattazione con il Ministero dell’Istruzione: l’amministrazione pubblica, infatti, non può continuare ad utilizzare certi stratagemmi per fare cassa sui lavoratori. Un insegnante laureto ha affrontato in ogni caso una lunga serie di esami universitari, con notevoli sacrifici e costi annessi, ha acquisito un’abilitazione all’insegnamento e vinto un concorso pubblico per arrivare alla cattedra. Se le condizioni di partenza solo le stesse e il lavoro che svolge è uguale o comunque rientra nella stessa professionalità, per quale motivo permane tale discriminazione?” 

(fonte: Comunicato Stampa ANIEF)