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Assunzioni docenti, ANIEF: “Siamo alla farsa”

Anief Sciopero

“Non sono 5 mila le assunzioni di docenti in meno rispetto ai posti vacanti e disponibili, ma almeno dieci volte tanto: la riduzione imposta dal Mef nei giorni scorsi rispetto al contingente richiesto dal dicastero di Viale Trastevere, giustificata dalla riduzione di alunni registrata nell’ultimo biennio a causa della denatalità, è solo l’ultima sforbiciata sulle assunzioni che si dovrebbero realizzare”. Lo spiega Anief in un comunicato stampa.

Il calcolo è presto fatto: “I posti liberi censiti dopo la mobilità, infatti, sono più di 64.000 – scrive Orizzonte Scuola -, per cui nemmeno l’iniziale richiesta di 58.627 avrebbe coperto tutte le cattedre vacanti. In totale, mancano all’appello circa 12.000 posti, che andranno alle assegnazioni provvisorie/utilizzazioni e alle supplenze al 31 agosto”. A questi bisogna aggiungere quelli di quota 100 volutamente non conteggiati e quelli in deroga su sostegno ma che, per effettive esigenze, Anief stima in almeno la metà dei posti assegnati in supplenza in base ai dati statistici relativi all’aumento progressivo di iscrizioni di alunni con handicap certificato e alle richieste delle scuole. 

“Sulle immissioni in ruolo della prossima estate c’è poco da ridere: la situazione è peggiore di quello che molti pensano. Perché ci sono altri 50 mila posti che andrebbero aggiunti a questa lista, senza trascurare gli ulteriori posti che si renderanno liberi per effetto del licenziamento dei docenti assunti in ruolo con riserva dalle GaE, dopo le sentenze dell’adunanza Plenaria, nonostante abbiano superato anche l’anno di prova”, spiegano da ANIEF.

IL COMMENTO DI MARCELLO PACIFICO

“L’assurdo di tutta questa situazione – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è che dei 53 mila posti autorizzati per le immissioni in ruolo meno della metà verranno assegnati. Gli altri, andranno a rimpinguare il già altissimo numero di cattedre destinate alle supplenze annuali, che al termine di questa estate raggiungerà la quota record di 200 mila supplenze annuali. Perché le disposizioni che servono non si continuano a fare, ignorando anche la lettera di costituzione in mora per abuso di precariato, recapitata all’Italia solo qualche giorno fa dalla Commissione dell’Unione Europea”.

Fonte: Ufficio Stampa Anief

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Abbandono scolastico, i fondi europei sono spesi male: lo dice la Corte dei Conti

Bandiera dell'Unione Europea Europa Unita

Utilizzare la mole non indifferente di fondi comunitari, i cosiddetti PON, per creare un programma di contrasto reale alla dispersione scolastica, ferma al 14,5% mentre la stessa UE ci chiede di portarla al 10% entro il prossimo anno: la richiesta è giunta in questi giorni dalla Corte dei Conti, attraverso la relazione su “La lotta alla dispersione scolastica: risorse e azioni intraprese per contrastare il fenomeno”. E la sottolineatura non è sfuggita alla rivista specializzata Orizzonte Scuola, che parla di invito, da parte della Corte, ad utilizzare al meglio i fondi UE. 

Contro la dispersione scolastica un “rilevante ausilio è giunto dai fondi comunitari”. Eppure i risultati non si vedono. “Nel periodo di programmazione PON 2007-2013 – scrive la Corte dei Conti – il totale complessivo delle risorse finanziarie utilizzate per la lotta alla dispersione è stato pari a 309.690.333,10 euro. L’importo programmato per il periodo 2014/2020 è di euro 345.945.951,00”. La Corte prospetta, quindi, l’utilità di un piano nazionale programmatico e di un monitoraggio legato a un costante aggiornamento dell’anagrafe degli studenti insieme a una funzionante “rete” tra tutte le istituzioni pubbliche (in particolare quelle delle scuole) con la possibile costituzione di un comitato di esperti con competenze elevate nelle politiche e nei dispositivi di contrasto alla dispersione. 

I NUMERI PARLANO CHIARO

In conclusione, secondo l’organo di rilievo costituzionale, le ingenti somme che provengono dall’Unione Europea devono servire per combattere con maggiore efficacia la dispersione scolastica: un fenomeno che in alcune province dell’Italia del Sud, come confermano pure i più recenti risultati Invalsi sulle competenze acquisite, continua a mantenere livelli preoccupanti, addirittura superiori al 40%. Basta ricordare che la Sicilia fa registrare il record di oltre il 35% dei giovani che non arriveranno a conseguire la maturità. Pertanto, “vanno utilizzati meglio i fondi Ue”, sintetizza il Sole 24 Ore

IL PARERE DEL PRESIDENTE ANIEF

“Se si vuole davvero attuare un cambio di passo – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – occorre il supporto anche di esperti esterni, di psicologi, di assistenti sociali, di una rete territoriale pronta a subentrare nei momenti più difficili. Altro che regionalizzazione. Inoltre, al livello generale, quello che potrebbe incidere sicuramente in modo positivo per ridurre la dispersione scolastica è anche la revisione dei percorsi formativi, con l’anticipo almeno a 5 anni e l’obbligo portato dagli attuali 16 anni fino alla maggiore età. Finché tutto questo non si farà – conclude Pacifico – difficilmente il numero di alunni che lasciano la scuola prima del tempo potrà ridursi in modo sensibile”.

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Ritorna l’educazione civica a scuola… ma non si sa in che modo, denuncia Anief

aula scuola generica

È stata approvata in via definitiva dal Senato la proposta di legge che reintroduce l’insegnamento dell’educazione civica, con 33 ore della disciplina a settimana in tutte le classi a partire dalla primaria e voto in pagella. Il fatto che la legge non stanzi nuove risorse per la formazione dei docenti è un dato che pesa molto nel giudizio della norma approvata. Inoltre, rimane il problema dell’inglobamento della disciplina all’interno di altre, quindi non si svolgeranno di fatto delle ore in più. Anief, ricevuta in audizione a marzo alla Camera, aveva segnalato quali erano i punti deboli e quelli da valorizzare, ma non è stata ascoltata.

LA LEGGE 

Tutti gli alunni da sei anni in poi dovranno studiare la Costituzione: andando avanti nel tempo, si ritroveranno a trattare le istituzioni dello Stato italiano, dell’Unione europea e degli organismi internazionali; la storia della bandiera e dell’inno nazionale; l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile; l’educazione alla cittadinanza digitale; gli elementi fondamentali di diritto, con particolare riguardo al diritto del lavoro; l’educazione ambientale, sviluppo eco-sostenibile e tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari; l’educazione alla legalità e al contrasto delle mafie; l’educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni; la protezione civile. 

A dire il vero, quella approvata è una reintroduzione. Perché l’educazione civica era stata introdotta nelle scuole nel 1958 per volere di Aldo Moro, e venne soppressa a partire dall’anno scolastico 1990/1991. Rispetto a quella materia, però, poiché sono passati decenni, l’insegnamento conterrà nuovi argomenti, legati anche all’attualità, come il bullismo, il cyber bullismo, l’educazione alla legalità e stradale. L’ultima nome aveva presso quello di cittadinanza e costituzione. 

A parte i clamori per l’avvenuta approvazione, va ricordato che la legge impone anche la formazione dei docenti incaricati dell’insegnamento della disciplina: tuttavia, scrive Il Sole 24 Ore, “per la loro formazione non vengono stanziati nuovi fondi ma saranno utilizzati 4 milioni di euro del fondo previsto dal Piano nazionale di formazione e per la realizzazione delle attività formative introdotto nel 2015 con la legge n. 107”. 

I LIMITI DELLA LEGGE E LE PROPOSTE DI ANIEF

Per Anief il provvedimento introdotto rappresenta solo un minimo segno di apertura del Governo verso il problema. Ma deve essere fatto molto di più: tutti i limiti del disegno di legge n. 1264, da poche ore approvato in via definitiva, sono stati già esplicitati da Anief nel corso di un’audizione presso la Commissione Cultura della Camera lo scorso 12 marzo. In quell’occasione, il sindacato chiese l’istituzione della disciplina come materia autonoma, quindi aggiuntiva alle attuali, con un minimo annuale di non meno di 33 ore per la scuola primaria e 66 ore per la secondaria.

Per la scuola primaria e secondaria di primo grado, la disciplina si sarebbe dovuta impartire dai docenti dell’area storico-geografica, che per la scuola secondaria di secondo grado avrebbero dovuto possedere una preparazione specifica dei docenti di insegnamento giuridico-economico; Anief avrebbe voluto estendere l’oggetto degli studi alle istituzioni europee: a livello europeo, ha ricordato il sindacato, esiste una Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 (2006/962/CE), relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, delinea 8 competenze chiave, tra cui le Competenze sociali e civiche.

Sempre il 12 marzo, il presidente nazionale Anief aveva ricordato che “non si possono formare cittadini consapevoli e responsabili se non in una prospettiva più ampia che vada oltre i confini nazionali e conduca verso una coscienza eurounitaria”. 

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, afferma che “ancora una volta si vuole fare una riforma a costo zero, con la sottrazione di altre ore d’insegnamento per fare spazio all’educazione civica senza darle la dignità di materia con un coordinatore non definito che la dice lunga su quanto si tenga alla qualità dell’insegnamento. Per non parlare dell’improvvisazione con la quale i colleghi dei docenti si ritroveranno ad inizio settembre a dovere decidere a chi affidare le 33 ore di lezione annue, magari a personale presente nell’organico dell’autonomia che non ha alcuna cognizione di quello che dovrà insegnare. Ma chi deciderà chi insegna è il vero dilemma”. 

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Assunzioni docenti, ANIEF critica: “Averne tagliate 5 mila è uno scandalo ma ne salteranno molte di più”

Mobilità docenti

Arriva il sì del Mef alle immissioni in ruolo dei docenti, ma con l’imprevista riduzione di 5 mila posti: dal dicastero di via XX Settembre si giustifica tale operazione con “la marcata riduzione delle iscrizioni degli alunni, registrata specie nell’ultimo biennio, connessa con il calo della natalità”. Sono diversi gli aspetti da considerare su questa decisione: il primo è che, incredibilmente, al ministero dell’Istruzione non hanno avuto nulla da eccepire sul taglio di assunzioni, probabilmente consci del fatto che, in definitiva, cambierà ben poco ai fini delle effettive assunzioni a tempo indeterminato, le quali saranno molte meno delle cattedre autorizzate. Esattamente come accaduto un anno fa, si prevede che a due convocazioni su tre non si presenterà alcun docente, perché sono sempre più le graduatorie di merito e le GaE prive di candidati: Anief lo ha scritto due mesi al Miur, ma al ministero guidato da Marco Bussetti hanno fatto orecchie da mercante, continuando a dire che la situazione si risolverà con i concorsi ordinari e straordinari in via di approvazione: una teoria che fa acqua da tutte le parti, ma che anche oggi il ministro dell’Istruzione ha tenuto a ribadire

A Viale Trastevere si continua a giocare sulle teste dei docenti: i dirigenti Miur sanno infatti molto bene che i vincitori di concorsi annunciati, tre su quattro ancora da bandire, saranno individuati non prima di un anno e forse nemmeno si farà in tempo ad assumerli per il 1° settembre 2020. Inoltre, in molti casi il problema non è quello della mancanza di aspiranti, ma della natura dei posti vacanti. 

“Delle almeno 170 mila supplenze annuali che si andranno a ratificare quest’anno, comprendenti anche gli oltre 20 mila Quota 100 non assegnati ai ruoli – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief –, possiamo dire che più dell’80 per cento sono posti liberi, senza nessun insegnante titolare impegnato in altri ruoli, quindi dovrebbero essere collocate in organico di diritto. Invece, il Miur continua a considerarle in organico di fatto, non tentando più nemmeno di chiedere i finanziamenti necessari allo stesso Mef per attuare il passaggio in quello di diritto: quindi, produrre nuove graduatorie di vincitori di concorso non servirà a nulla se poi ci sono delle province, come Palermo, dove occorrono 60 anni per immettere in ruolo solo i vincitori degli ultimi concorsi. Le cose stanno così, tanto è vero che lo stesso ministero dell’Istruzione è costretto a confermare di anno in anno la proroga della cancellazione”. 

“Ma l’aspetto più paradossale di questo modello di reclutamento – continua Pacifico – è che una fetta di cattedre, che verranno assegnate ai precari, saranno affidate a docenti non abilitati e senza esperienza: ai dirigenti scolastici, infatti, dopo avere attinto dalle graduatorie d’istituto di seconda e terza fascia, non rimarrà altro, ad anno scolastico abbondantemente iniziato, che rivolgersi agli aspiranti docenti che hanno presentato loro un semplice foglio di ‘messa a disposizione’. Questo accade perché gli abilitati e precari di terza fascia non troveranno spazio, in quanto costretti a presentare la loro candidatura in un numero definito di istituti, al massimo 20. A quel punto, il danno sarà compiuto: con tanti docenti già formati ed esperti lasciati a casa, mentre diverse migliaia di neo laureati e alle prime armi verranno messi in cattedra”. 

Inoltre, Anief rileva che il Miur continua ad operare come se non fosse mai stata recapitata all’Italia la lettera di costituzione in mora, da parte della Commissione dell’Unione Europea, perché nel Belpaese “i lavoratori del settore pubblico non sono tutelati contro l’utilizzo abusivo della successione di contratti a tempo determinato e la discriminazione come previsto dalle norme dell’UE (direttiva 1999/70/CE del Consiglio)”. Alla lettera lo Stato italiano dovrà rispondere con atti concreti: “Fare finta di nulla su quasi 200 mila assunzioni a tempo determinato e mettere in evidenza che si sono attuate poco più di 20 mila immissioni in ruolo, tante ne prevediamo, è una politica suicida, che a nostro avviso porterà dritti l’Italia verso la condanna definitiva per abuso di precariato, con tutto ciò che ne consegue”, conclude Pacifico. 

(fonte: Ufficio Stampa Anief)

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Assunzioni 2019, la macchina al via nelle prossime ore. Anief: “Supplentite”

marcello pacifico anief

Con la fine di luglio prende avvia la stagione delle supplenze. Secondo l’Anief, fa scalpore che l’esplosione del precariato scolastico si venga a determinare negli stessi giorni in cui il nostro Stato dovrà preparare una risposta valida alla lettera di costituzione in mora all’Italia, prodotta dalla Commissione dell’Unione Europea, perché dalle indagini svolte da Bruxelles risulta che nel nostro Paese “i lavoratori del settore pubblico non sono tutelati contro l’utilizzo abusivo della successione di contratti a tempo determinato e la discriminazione come previsto dalle norme dell’UE (direttiva 1999/70/CE del Consiglio)”. E per dire basta a questo fenomeno non serve attivare altre selezioni o replicare i concorsi riservati, come invece sta facendo il Miur. 

“La dimostrazione dell’inefficacia di questa logica – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – sta tutta nei decenni di attesa, anche 60 anni che in più di una regione serviranno per smaltire le attuali graduatorie vigenti e utili per le immissioni in ruolo. Sono talmente tanti i vincitori, oltre mille solo in Campania nella scuola dell’infanzia e primaria, che il Governo è costretto a reiterarne di anno in anno la cancellazione”. 

“Lo ripetiamo ancora una volta. Per dare una svolta alla supplentite, bisogna approvare un decreto urgente utile a cambiare da subito le condizioni per permettere la stabilizzazione a chi è già stato individuato: trasformare i posti in deroga, ad iniziare dal sostegno, in cattedre vere; riaprire le GaE e il doppio canale reale di reclutamento, con possibilità di attingere dalla seconda fascia d’istituto; assumere tutti gli idonei dei concorsi, anche in altre regioni rispetto a quella dove hanno partecipato. Altre strade non fanno che allungare l’agonia delle supplenze a tempo indeterminato ed esacerbare la battaglia in tribunale, come accaduto con le 50 mila maestre con diploma magistrale, rispetto alla cui situazione – conclude il sindacalista – Anief si sente tutt’altro che vinta”. 

(fonte: Comunicato Stampa Anief)

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Il TAR dà ragione all’Anief: annullato il Bando del concorso 2018 per la scuola secondaria

tar del lazio foto flickr

Il servizio a tempo indeterminato deve essere considerato utile ai fini del punteggio, questo quanto stabilito dal TAR Lazio con la nuova sentenza di pieno accoglimento ottenuta dai legali Anief. Confermato il diritto dei docenti con servizio a tempo indeterminato alla valutazione dello stesso ai fini del punteggio nelle graduatorie di merito regionali del concorso “riservato” 2018 per la scuola secondaria di I e II grado.

Il TAR Lazio, infatti, conferma quanto da sempre sostenuto dal nostro sindacato e accoglie il ricorso patrocinato dai legali Anief Fabio Ganci e Walter Miceli evidenziando come le disposizioni impugnate “devono essere interpretate in modo costituzionalmente orientato e alla luce delle ulteriori disposizioni normative contenute nell’articolo 400 commi 1, 14 e 15 del decreto legislativo 297/1994, con cui si prevede la valutazione del servizio d’insegnamento prestato, senza che sia escluso espressamente quello svolto a tempo indeterminato”. La sentenza, dunque, riprendendo il precedente giurisprudenziale già ottenuto in Corte Costituzionale proprio dai legali Anief sull’illegittimità della Legge 107/2015 nella parte in cui voleva escludere i docenti di ruolo dalla possibilità di partecipare ai concorsi per la scuola pubblica, ha accolto senza riserva il ricorso Anief “con l’ordine all’amministrazione di attribuire ai ricorrenti il corretto punteggio spettante” e condannando il Miur al pagamento di 3mila euro di spese di soccombenza.

Il Ministero dell’istruzione, ora, dovrà procedere alla corretta attribuzione del punteggio spettante ai ricorrenti Anief senza operare alcuna distinzione tra servizio svolto con contratti a tempo determinato o indeterminato. “Siamo soddisfatti – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – non avevamo dubbi sulla fondatezza delle nostre ragioni e siamo già pronti a proporre ulteriori azioni legali contro la tabella titoli dei prossimi concorsi ordinari in cui l’Amministrazione ritiene addirittura di non dover attribuire alcun punteggio al servizio pregresso svolto dai candidati. Per un concorso utile ai fini dell’immissione in ruolo nella scuola pubblica tale determinazione è paradossale e ci muoveremo in tutte le sedi opportune per sanare quest’ulteriore stortura perpetrata a discapito dei lavoratori della scuola”. I ricorrenti Anief, nei prossimi giorni, riceveranno specifiche istruzioni per rivendicare il diritto al punteggio spettante per i servizi svolti a tempo indeterminato e non valutati nella procedura concorsuale “straordinaria” utile per l’inserimento nelle graduatorie regionali degli abilitati della scuola secondaria di I e II grado.

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Maestri con diploma magistrale, la Cassazione non annulla la plenaria del Consiglio di Stato. Anief non demorde

tribunale giustizia martelletto

La Corte di Cassazione ha ritenuto non esistente l’abuso di potere giurisdizionale da parte dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato: di fatto, la Cassazione non ha detto che le conclusioni del CdS siano corrette e condivisibili, ma ha ritenuto che la sentenza del più alto Consesso della Giustizia amministrativa, essendo frutto di una mera interpretazione delle norme giuridiche, non determini un abuso del potere giurisdizionale. La compensazione delle spese di lite e il riconoscimento della complessità delle questioni giuridiche trattate, peraltro, lasciano supporre che la decisione della Cassazione sia stata in bilico fino all’ultimo momento. 

L’Anief, unico sindacato che da sempre si è schierato al fianco di questa particolare categoria di docenti abilitati e da sempre chiede a gran voce la riapertura delle GaE, le graduatorie ad esaurimento, per sanare questa e altre illegittimità compiute a discapito dei tanti docenti abilitati esclusi dall’accesso al “doppio canale” di reclutamento, non si dà per vinta e conferma l’intenzione di procedere presso i competenti Tribunali del Lavoro per impugnare ogni singolo licenziamento che dovesse intervenire nei confronti dei docenti immessi in ruolo “con riserva” che hanno superato l’anno di prova.

L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE

Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso del gruppo di maestri diplomati fino al 2002, confermando la sentenza del Consiglio di Stato, che a fine 2017 ha escluso dalle graduatorie a esaurimento per le scuole materne ed elementari gli insegnanti in possesso del solo diploma magistrale che non avessero partecipato alle sessioni di abilitazione o ai concorsi. Secondo la suprema Corte, la decisione “rimane entro l’ambito di interpretazione e ricostruzione di una complessa normativa”. 

COSA FARÀ ORA ANIEF

Il sindacato Anief, che prima e più di tutti, si è opposto all’estromissione dei maestri con diploma magistrale dalle GaE e degli oltre 7 mila docenti di fatto licenziati dopo essere stati immessi in ruolo, non si fermerà certo qui. Impugnerà, uno per uno, tutti i provvedimenti di licenziamento che il Miur dovesse attuare nei confronti proprio dei docenti immessi in ruolo “con riserva” e che hanno svolto l’anno di straordinariato con esito positivo. 

Anief, inoltre, mentre attende entro il 2020 l’esito del reclamo collettivo già presentato al Consiglio d’Europa e dichiarato ammissibile da un anno, chiederà ai giudici amministrativi di sollevare il caso dei diplomati magistrale di fronte alla Corte di Giustizia Europea, così come è già avvenuto con la sentenza “Mascolo” che nel 2014 ha condannato l’Italia per abusiva reiterazione dei contratti a termine.

Entro il mese di settembre, infine, il sindacato, appena inserito nell’alveo dei rappresentativi e titolati a sedere ai tavoli della contrattazione nazionale, valuterà la possibilità di presentare una class action per risarcire i docenti dai danni prodotti nei loro confronti e far dichiarare la responsabilità risarcitoria dello Stato italiano, colpevole di aver ingannato per anni i docenti con diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002 negando la validità abilitante del loro titolo. 

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE NAZIONALE

Non ci fermeremo – ha detto Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – siamo abituati a lottare fino alla fine. La nostra azione di tutela non si esaurisce qui e agiremo su più fronti. Riteniamo vergognoso l’accanimento nei confronti di tanti docenti colpevoli solo di essere stati ingannati per anni dallo Stato italiano che ora continua a sfruttare la loro professionalità nelle scuole per assicurare il corretto svolgimento delle attività didattiche”. 

“Invitiamo sin da ora tutti i docenti con diploma magistrale e tutti gli abilitati ingiustamente esclusi dall’accesso alle graduatorie ad esaurimento ad intraprendere azioni risarcitorie contro lo Stato italiano per l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato”, conclude il sindacalista autonomo. 

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Regionalizzazione, il governatore lombardo Fontana: la Consulta ci ha dato ragione. Pacifico: studi

Sull’autonomia differenziata la Lega ha scommesso tantissimo. Trascurando anche il fatto che i suoi ministri, per rispettare il ruolo che ricoprono e il giuramento fatto davanti al Capo dello Stato, a difesa di tutti gli italiani, non possono uscire più di tanto allo scoperto. Costretto a mettere in atto una sottile operazione di diplomazia, anche il ministro dell’Istruzione sta operando in questa direzione: nelle ultime ore, infatti, ha affermato che graduatorie e scuola non saranno regionalizzate, cercando in questo modo di spegnere gli animi dei tanti elettori degli attuali partiti di governo, giustamente indignati per la veemenza con cui i rappresentanti del Carroccio stanno cercando di imporre la regionalizzazione a Palazzo Chigi, con l’intenzione di bissare il comportamento anche alle Camere, qualora il disegno di legge fosse approvato dal governo.

LE AFFERMAZIONI DEL PRESIDENTE DELLA LOMBARDIA

Le affermazioni di circostanza di Marco Bussetti hanno però lasciato scontento il governatore della Lombardia: intervenuto subito dopo il ministro, ha scritto Orizzonte Scuola, secondo il presidente della regione Bussetti si è dimostrato “ancora meno realista del re”, ha detto il governatore, citando una sentenza della Corte Costituzionale, la 13 del 2004, la quale afferma che “il compito di organizzare la scuola può essere demandato alle Regioni, così come succede per la sanità”. Quindi, “le graduatorie regionali le facciamo lo stesso” ha detto ancora Fontana. “È un falso problema, in consiglio regionale sia il PD che i 5 Stelle hanno votato per l’autonomia, mi sembrano tutti un po’ confusi”. Poi ha concluso “è come per la sanità, spero lo capiscano o invocherò la sentenza, che vale per tutte le Regioni”.

LA POSIZIONE DELL’ANIEF

Secondo Anief in confusione è invece chi ha chiesto di trasformare la scuola pubblica italiana in un servizio da gestire a livello locale. E se i Comuni riescono a farlo ben venga. In caso contrario, certe regioni si arrangino pure. Perché nelle intenzioni di Lombardia e Veneto, spetta alle regioni prendere una serie di decisioni, accollandosi anche gli oneri finanziari e organizzativi: bandire concorsi e trasformare i docenti in impiegati regionali; aumentare i fondi per le scuole con risorse regionali; diminuire il numero di alunni per classe; regionalizzare gli USR; integrare gli stipendi dei docenti regionali con fondi della Regione, gestire anche la mobilità dei docenti, con la possibilità di aumentare gli anni di permanenza a più di 5 dopo l’assunzione in Regione.

LA CONSULTA HA DETTO ‘NO’ PIÙ VOLTE

Proposta di legge che, secondo alcune indiscrezioni, oltre a destare molte perplessità in diversi parlamentari, ha visto in questi giorni non a caso una diminuzione da 16 a 4 punti di gestione dell’autonomia scolastica. E chi lo ha fatto, a differenza del governatore della Lombardia, ha avuto i suoi motivi. Probabilmente, a differenza del governatore Fontana, ha letto a fondo i tentativi passati andati tutti sistematicamente a vuoto sulle proposte di regionalizzazione in Trentino, peraltro dopo le sentenze della Consulta n. 107/2018 (sulla L. Regione Veneto) e la n. 6/2017 e 242/2011 sulla Legge Trento 5/2006, anch’esse tutte negative.

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Test Invalsi: dramma Sud

test invalsi esame

Secondo l’Invalsi, i dati di quest’anno non lasciano spazi a dubbi: all’ultimo anno delle superiori, l’insufficienza grave nelle prove di italiano è quasi fisiologica al di sotto del 10 per cento e quelle del Sud dove sfiora il 20 per cento in Puglia e Molise e supera il 25 in Calabria. Ne consegue che in Italiano gli alunni che hanno i punteggi più alti sono collocati tra il 15 e il 20 per cento nelle regioni settentrionali e sotto il 10 per cento nel Meridione. Sempre alle superiori, per quanto riguarda la matematica, in Calabria, Campania e Sicilia il 60 per cento dei ragazzi non ha raggiunto le competenze minime richieste dai programmi. Al contrario di regioni come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia, dove il 75 per cento ha raggiunto gli obiettivi prefissati. Ed è un problema che già si evidenzia, seppure con livelli meno marcati, già dalla quinta primaria.

Anche i test riempiti dai maturandi, per la prima volta, hanno evidenziato le risultanze prodotte dagli studenti di terza media: soltanto due studenti su tre posseggono, al termine del ciclo di studi e in procinto di svolgere gli esami di fine corso, le competenze di base richieste dai programmi. Si tratta del 65,6 % alla scuola media e il 65,4 % in quinta superiore per quanto riguarda l’italiano. Ancora peggio va per la matematica, spiega il Corriere della Sera: se in terza media tre ragazzi su 5 (61,33 per cento) hanno appreso in maniera sufficiente o di più il programma, alla fine delle scuole superiori sono solo il 58,3 per cento quelli che si possono considerare «promossi». Una situazione incredibile che diventa drammatica in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna dove addirittura la situazione è rovesciata: il 60 per cento degli studenti non è sufficiente. Non va meglio per lo studio dell’inglese: per quanto riguarda la comprensione orale solo uno studente su tre riesce a raggiungere il livello richiesto.

Secondo Roberto Ricci direttore dell’Invalsi, “molto dipende dal contesto e dalla situazione socioeconomica familiare. In alcune aree l’impreparazione è tale che è come se un terzo degli studenti non avesse frequentato la scuola: alla fine delle superiori ha conoscenze e competenze della terza media”.

Anief ha affrontato questo tema più volte. Proponendo più soluzioni: organici maggiorati, naturalmente maggiori investimenti, ma anche l’anticipo dell’obbligo formativo, almeno a cinque anni di età, con contestuale obbligo formativo a 18 anni. Di recente, il sindacato ha anche messo in risalto i risultati delCountry Report sull’Italia elaborato dalla Commissione europea, dal quale è emerso che nonostante i recenti miglioramenti nella qualità dell’istruzione scolastica, le ampie e persistenti disparità regionali nei risultati dell’apprendimento continuano a destare grande preoccupazione.In quel report si evidenziava un aspetto di cui oggi ha parlato lo stesso Invalsi: “al Sud, le differenze significative nei risultati tra e all’interno delle scuole potrebbero indicare una tendenza a raggruppare gli studenti in base alla loro capacità”, magari creando pure delle classi ‘pollaio’.

“Se gli studi nazionali insistono su questa tendenza – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – significa che si tratta di un dato su cui occorre soffermarsi. Perché se è vero che le scuole sono sempre più portate a realizzare le classi per livelli di competenze degli alunni, significa che gli istituti si sentono costretti a prendere delle contromisure all’inerzia di chi le governa: poiché non arrivano in quelle scuole delle risorse aggiuntive, non solo finanziarie, come ha fatto notare di recente la Corte dei Conti, ma anche umane; ovvero servono organici maggiorati e potenziamenti corposi, allora sono obbligati a crearsi degli ‘anticorpi’ interni. I quali, però, vanno paradossalmente a penalizzare gli alunni più deboli, i quali collocati in un contesto di basso livello, a livello territoriale e a volte pure familiare, non hanno quello stimolo positivo derivante dall’integrazione random con alunni dai tratti poliedrici e diversificati”.

“Laddove è presente un’alta percentuale di studenti in difficoltà, un numero superiore alla media di disabili e stranieri, occorrono invece misure straordinarie: anche perché è un dato inconfutabile che molti di questi allievi si disperdono senza arrivare nemmeno al diploma di maturità. Quindi il quadro è peggiore di quello che ha oggi evidenziato l’Invalsi. Stiamo producendo sempre più un sistema di formazione rivolto ad una minoranza, negando gli articoli 33 e 34 della Costituzione, che danno garanzia di istruzione a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione”, conclude Pacifico.

(fonte: Ufficio Stampa Anief)

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Abbandono scolastico: “Uno studente su tre non arriva alla maturità”

studenti liceo esame maturita

Uno studente su tre che inizia le superiori non prenderà mai il diploma di maturità. Sono numeri impietosi quelli sulla dispersione scolastica: “almeno 130 mila adolescenti che iniziano le superiori – dice Tuttoscuola – non arriveranno al diploma. Irrobustiranno la statistica dei 2 italiani su 5 che non hanno un titolo di studio superiore alla licenza media e di un giovane su 4 che non studia e non lavora. Come se non bastasse, tra chi si diploma e si iscrive all’università, uno su due non ce la fa. Complessivamente su 100 iscritti alle superiori solo 18 si laureano. E poi un quarto dei laureati va a lavorare all’estero. E tra i diplomati e laureati che restano, ben il 38% non trova un lavoro corrispondente al livello degli studi che hanno fatto. Un disastro”. 

Di buono c’è che negli ultimi anni, il tasso di abbandono scolastico è diminuito: tra il 2013 e il 2018 hanno detto addio in anticipo ai professori 151mila ragazzi, il 24,7 per cento del totale, contro il 36,7 del 1996-2000. Sicuramente risultati incoraggianti, ma ancora insufficienti, che non fermano la dispersione scolastica. Perché, continua la rivista, spesso chi abbandona i libri così precocemente finisce nel buco nero dei Neet, quei giovani che non studiano e non lavorano di cui fa parte un ventenne su tre del Mezzogiorno. 

Ma perché lasciare la scuola prima ha un costo sociale: Tuttoscuola fa degli esempi significativi, ricordando che “la disoccupazione tra chi ha solo la licenza media è quasi doppia rispetto a chi è arrivato al diploma e quasi il quadruplo di chi è laureato; l’istruzione incide sulla salute, riducendo i costi per la sanità; comporta meno criminalità e meno costi per la sicurezza”. Ne consegue che “prevenire la dispersione scolastica avrebbe costi molto più bassi di quelli che derivano dalla necessità di gestirne le conseguenze sociali. Servirebbe un grande piano pluriennale. Eppure l’attenzione oggi va molto di più al milione di migranti sbarcati negli ultimi vent’anni che ai tre milioni e mezzo di adolescenti italiani che nello stesso arco di tempo hanno abbandonato la scuola, rendendo più povero, dal punto di vista educativo e non solo, il Paese”. 

Su questa piaga, tutta italiana, Anief ricorda che pesa molto la riduzione del tempo scuola, avviata con la Legge 133 del 2008. E al decremento di ore settimanali si aggiunge la mancata adozione del tempo pieno, che nel 2017/18 riguardava solo 6.361 scuole primarie, il 42,3% delle 15.038 funzionanti, con un incremento di appena 47 nuovi istituti rispetto all’anno precedente. Con il Sud a preoccupare ulteriormente, visto che la percentuale media è al di sotto del 10%. 

Negli ultimi anni Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, ha affrontato più volte il problema, anche in audizione presso le commissioni parlamentari di competenza. Il sindacalista ricorda l’importanza, ai fini della trasmissione del valore della formazione, degli “agenti culturali che operano nei territori, del sostegno sociale da assicurare ai giovani che presentano difficoltà e spesso provenienti da famiglie non in grado di sostenerli. È inoltre indispensabile – prosegue Pacifico – introdurre degli organici in tutte le zone a rischio, facenti registrare un alto tasso dispersivo e di stranieri, immettendo in ruolo i tanti precari abilitati esclusi dalle GaE benché già selezionati, formati, abilitati e vincitori di concorso”. 

Sinora, però, anche l’attuale Governo non sembra andare in questa direzione: basta dire che nel Documento di Economia e Finanza 2019, sottoscritto ad aprile dal Governo Conte, a pagina 31 si conferma solo quanto già previsto dalla Legge di Bilancio approvata a fine 2018: “il rinnovo contrattuale per il triennio 2019-2021 prevede, in base alle risorse stanziate dalla legge di Bilancio per il 2019, incrementi dell’1,3 per cento per il 2019, dell’1,65 per cento per il 2020 e dell’1,95 per cento complessivo a decorrere dal 2021”, prevedendo quindi aumenti ben lontani dall’8% di inflazione che oggi sovrasta le buste paga di docenti e Ata. 

In generale, sempre il Def 2019 ci dice che l’investimento per la scuola passerà, a causa del tasso di denatalità, dal 3,9% del 2010 al 3,1% del 2040. Ma la riduzione non è generalizzata, perché, nello stesso periodo, la spesa socio-assistenziale e sanitaria si indica in crescita, passando rispettivamente dall’1,0% all’1,3% e dal 7,1% al 7,6%. Si prevede, quindi, una riduzione di spesa legata agli organici del personale, proprio a seguito della riduzione delle nascite e quindi del numero di alunni: dando però in questo caso per scontato che non andrà a cancellare le tanti classi “pollaio”, quelle che invece il M5S, con un apposito disegno di legge, ha detto di volere debellare.